MEETING INTERNAZIONALE INTERRELIGIOSO A LIONE

LA PAZIENTE ARTE DEL DIALOGO

 

È tempo di lavorare assieme con coraggio per un umanesimo capace di costruire la pace tra i popoli e gli individui. L’obiettivo non è l’affermazione dell’uno o dell’altro, ma realizzare una civiltà in cui si vive insieme. L’arte del dialogo è la strada paziente per costruire questa civiltà del vivere insieme.

 

 

Lo studioso americano Rudolph Rummel ha calcolato in 170 milioni di esseri umani uccisi nel XX secolo, in gran parte dalla violenza di stato. «Novant’anni fa – spiega Andrea Riccardi, storico e iniziatore della Comunità di Sant’Egidio - è stato compiuto il genocidio degli armeni e dei cristiani nell’impero ottomano... Sessant’anni fa è stato liberato il campo della morte di Auschwitz, abisso che ha divorato il popolo ebraico e tanti altri. Sessant’anni fa, a Hiroshima, è avvenuta la prima distruzione atomica, frutto di una guerra folle in Asia, segnata da tanti massacri tra cui quello orribile di Nanchino».

Prendiamo in esame altri dati. Jakob Kellenberger, presidente della Croce Rossa Internazionale ricorda che nel mondo ogni 15 secondi un bambino muore di dissenteria e che la guerra è la maggiore causa di povertà. Il dottor Leonardo Palombi, responsabile del programma Dream per la cura dell’Aids avviato da anni in Africa da Sant’Egidio, rileva che in 11 paesi del continente i bambini orfani superano il 15% del totale. Quasi un bambino su sei ha perso il padre o la madre a causa dell’Aids. Si tratta, in sintesi, di un esercito di oltre 16 milioni di orfani le cui file si ingrossano di giorno in giorno. «Le proiezioni – racconta Palombi – ci dicono che in mancanza di interventi efficaci gli orfani da Aids saranno nel 2010 oltre 25 milioni». Il 98% dei bambini privati del diritto all’istruzione si trova nei paesi in via di sviluppo. Soeur Emmanuelle, ultranoventenne, testimone di una eccezionale esperienza educativa nelle bidonvilles de Il Cairo, sottolinea l’importanza dell’istruzione nella prevenzione della guerra e dell’odio: la pace e la sicurezza, dice, hanno la loro radice nell’educazione dei bambini.

 

CONTRO LA VIOLENZA

SENZA “SE” E SENZA “MA”

 

Il nuovo millennio, dunque, si è aperto tra vortici di terrore e risposte di guerra, tra mille inquietudini e speranze, ma solo la pace e il dialogo «possono permettere di guardare con speranza l’avvenire del pianeta»: così Benedetto XVI si è rivolto ai partecipanti al convegno internazionale su Il coraggio di un umanesimo di pace, promosso a Lione dalla Comunità di Sant’Egidio e dall’arcidiocesi della città francese, dall’l1 al 13 settembre 2005, nei giorni in cui si faceva memoria della tragedia delle Torri gemelle di New York, ma anche di Auschwitz e di Hiroshima. Si tratta del diciannovesimo meeting nel solco scavato dallo spirito di Assisi. Rivolgendosi soprattutto ai giovani, Benedetto XVI rileva che «la violenza, quale che sia, non può essere un modo di risolvere i conflitti. Essa ipoteca pesantemente l’avvenire e non è rispettosa né delle persone né dei popoli».

Ed è impossibile per i capi religiosi benedire l’uccisione degli altri. Il rabbino capo di Israele Yona Metzger ha proposto da Lione una sorta di giuramento di Ippocrate, che tutti quelli chiamati a responsabilità pastorali dovrebbero sottoscrivere prima di poterle esercitare, dichiarando senza se e senza ma la loro contrarietà alla violenza. L’esempio, quasi un aneddoto, dice molto di un’aspirazione profonda che è inscritta nelle tradizioni religiose. Il cardinale Kasper, presidente del pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, attualizza il concetto e lo esplicita raccogliendo il consenso unanime di ebrei, musulmani, ma anche di buddisti e induisti venuti a sostenere, con la Comunità di Sant’Egidio e l’arcidiocesi di Lione, il coraggio di un umanesimo di pace: «I terroristi sono criminali – dichiara Kasper – non sono uomini religiosi. Dobbiamo anzi togliere la maschera religiosa dal loro volto e mostrare che sotto vi è il profilo del nichilismo. Il terrorismo non fa finire il dialogo, anzi spinge a intensificarlo per togliergli risorse».

Metzger concorda; Ezzeddin Ibrahim, consigliere presidenziale degli Emirati Arabi Uniti, assentisce. Quindi il rabbino capo di Israele insiste sull’educazione, punta sui giovani e pensa ai ragazzi palestinesi e israeliani: «Se siamo in grado di educare a non uccidere se stessi o gli altri perchè hanno un’idea diversa da noi, possiamo sperare che il terrore si fermi». «Parlo non solo come arabo musulmano, ma prima di tutto come essere umano, dice Ibrahim. Il terrorismo è condannato, proibito da tutte le religioni, islam compreso. Oggi ricorre l’anniversario di quello che è successo nel 2001: quella dell’11 settembre è stata un’azione irreligiosa, inumana, criminale. Il terrorismo è cieco; commesso non solo da musulmani arabi, ma anche da altri che dicono di ispirarsi alla religione come è accaduto in Irlanda, in Spagna o in Sri Lanka, rappresenta il fallimento globale dell’umanità». Il dialogo è il potente anticorpo allo scontro. Ibrahim ne declina lo statuto: significa mettere i problemi sul tavolo per risolverli insieme. Metzger rilancia a riguardo la proposta di un’Onu dei rappresentanti religiosi. Kasper, da parte sua, invita ad appellarsi alla coscienza sociale dei popoli. La crisi del mondo occidentale non deve far dimenticare che ci sono valori, come quelli che sono emersi a Colonia durante la Giornata mondiale della gioventù o, ancora, nella generosità di tantissimi per aiutare le vittime dello tsunami. Dialogo, allora, è globalizzazione della solidarietà, non solo dell’economia, come recita una sorta di slogan di Giovanni Paolo II che il cardinale ha evocato.

 

SULLA STESSA BARCA

SENZA SEMPLIFICAZIONI

 

Metzger, attingendo alla tradizione narrativa ebraica, ha ricordato gli uomini seduti in barca su sedie diverse. Uno sfonda con una gamba della sedia la superficie della barca. Tutti guardano verso di lui, che si schermisce: “Ma non è un vostro problema”. “Invece sì – gli replicano – altrimenti affondiamo tutti”. La barca dell’umanità porta con sé credenti e non credenti insieme ai problemi e alle opportunità che li coinvolgono nel rapportarsi con gli stati.

Il ministro dell’interno francese Nicolas Sarkozy, intervenendo all’apertura dei lavori del convegno di Lione, ha affrontato il tema direttamente (a cento anni, peraltro, dalla promulgazione delle leggi laiche in Francia). Distinguendo tra fondamentalismo e integrismo, il ministro ha affermato che sono l’apertura e il dialogo a permettere ai fondamentalisti di chiarificare le loro posizioni, e non certo l’esclusione. L’islam può integrarsi in una società democratica, pluralista e secolarizzata, senza per questo perdere la propria identità: il vero problema è la promozione sociale e la lotta per la dignità dei cittadini musulmani, dal momento che una identità umiliata è un’identità che si radicalizza. Le religioni, secondo il ministro, contribuiscono a riorganizzare il mondo, la società e le idee, rispondendo alle profonde domande di senso connaturate all’umanità. Le religioni, il dialogo e l’aiuto ai poveri, possono contrastare l’idea di un conflitto di civiltà, anche perché non esiste che una civiltà: quella umana.

In un tempo di concentrazione di poteri forti, ha osservato Andrea Riccardi, i singoli, come si è visto negativamente con il terrorismo, possono destabilizzare interi paesi: ma se un singolo uomo può perdere il mondo, può anche salvarlo. Le religioni possono «rivolgersi personalmente e spiritualmente agli uomini e alle donne del nostro tempo, e renderli protagonisti attraverso la forza debole della preghiera e della pace, come Giovanni Paolo II aveva proposto ai credenti ad Assisi nel 1986». La differenza non si può risolvere in conflitti. Non crediamo, continua Riccardi, «a una conciliazione piacevole, a un relativismo a buon mercato, a creare verità buone per tutti in laboratorio. Conosciamo le differenze profonde. Anzi, nel contemplare, anche tra noi, le differenze religiose, ne capiamo la lezione: non c’è niente in questo mondo, nemmeno una religione, che possa essere egemonica. Non una cultura, non un paese, non una civiltà, non una religione, non un’ideologia: niente può essere egemonico». In questa prospettiva il dialogo rappresenta una forma concreta di realismo. Ci sono due vie, insiste Riccardi, «quella folle di piegare le diversità e di combatterle o quella saggia di accoglierle in una visione vasta e pacifica del mondo. Spesso i terribili semplificatori ci mostrano un mondo ridotto a scontri di civiltà e di religione. Ma non è così. Siamo tutti legati in profondità, anche se diversi. Ci abbraccia un tessuto culturale e spirituale meticcio, anche se differenziati nelle nostre identità».

L’appello di pace che i capi religiosi hanno firmato a Lione al termine del convegno è un invito forte a dissociare la religioni da ogni forma di violenza, tanto più importante davanti ai tentativi di usare il nome di Dio per uccidere. «Deploriamo – si legge con un chiaro riferimento alla situazione in medio oriente – la distruzione dei luoghi religiosi dell’una o dell’altra comunità: le moschee, le chiese, le sinagoghe, i templi. I simboli della fede altrui non siano calpestati, perché ricordano a tutti il nome santo di Dio che non appartiene agli uomini. Come domandiamo il rispetto per la vita umana, chiediamo pure quello per i luoghi santi della vita spirituale». E aggiungono: «È tempo di lavorare assieme con coraggio per un umanesimo capace di costruire la pace tra i popoli e gli individui. L’obiettivo non è l’affermazione dell’uno o dell’altro, ma realizzare una civiltà in cui si vive insieme. L’arte del dialogo è la strada paziente per costruire questa civiltà del vivere insieme».

È in nome della pace che «ci rivolgiamo ai nostri correligionari, agli uomini e alle donne di buona volontà, a chi ancora crede che la violenza migliori il mondo. E diciamo: è tempo che finisca l’uso della violenza! La vita umana è sacra. La violenza umilia gli uomini e la causa di chi la utilizza. Il mondo è stanco di vivere nella paura. Le religioni non vogliono la violenza, la guerra, il terrorismo. Lo diciamo con forza a tutti gli uomini!».

A Lione insomma si è vissuto un dialogo franco, illuminato dallo spirito religioso della preghiera, aperto al confronto con l’umanesimo laico del nostro tempo. Sono emerse «le profonde diversità tra religioni e culture. Il mondo, pur globalizzato, non è divenuto tutto uguale. Ma si è fatto chiaro che c’è un destino unico».

 

Michele Brancale