LA RISCOPERTA DI UNA REALTÀ “FUORI MODA”

IL SENSO DELL’ASCESI OGGI

 

Un’ascesi autenticamente umana e cristiana. La sua funzione educativa, purificatrice, penitenziale, liberatrice. Attualizzazione delle pratiche ascetiche tradizionali. Alcuni atteggiamenti fondamentali.

La bellezza dell’ascesi nel mondo d’oggi.

 

Con una certa fatica ritorna oggi la parola ascesi a farsi sentire nell’ambito della spiritualità cristiana e del suo studio globale. Il ritorno non è solo di carattere dottrinale, speculativo, ma di ordine pratico. Tale ritorno all’ascesi nella spiritualità contemporanea si manifesta in diverse maniere, prima di tutto con la convinzione che in realtà mai è stata abbandonata l’ascesi in coloro che vogliono rispondere sul serio alle esigenze della vita cristiana; la logica dell’ascesi infatti è radicata nel battesimo e prima ancora nella natura umana. Si attribuisce al beato Giovanni XXIII il detto: senza disciplina non c’è l’uomo; senza la penitenza non c’è il cristiano.1

Inoltre, l’ottimismo eccessivo che ha caratterizzato la considerazione della natura umana e dei programmi della vita spirituale degli ultimi decenni, cede oggi il posto a una considerazione più equilibrata delle cose, anche dal punto di vista delle scienze umane. Esiste inoltre in diversi settori della spiritualità del nostro tempo, anche da parte dei laici, un certo ritorno alle classiche forme dell’ascesi cristiana; tutto ciò costituisce un provvidenziale stimolo e una emulazione affinché gli educatori, nel campo della pastorale vocazionale e dell’educazione delle vocazioni verso la loro maturità, riprendano con serietà e con il dovuto aggiornamento le esigenze dell’ascesi cristiana.

 

ALCUNI

PRESUPPOSTI

 

Un documento della Santa Sede sulla formazione dei religiosi, ha ripreso vistosamente il tema dell’ascesi ed alcune sue esigenze fondamentali.2 Esso afferma in proposito, anche sul versante delle esigenze della moderna psicologia: «L’ascesi, d’altronde, che comporta un rifiuto di seguire i nostri impulsi e gli istinti spontanei e primari è un’esigenza antropologica prima di essere specificamente cristiana. Gli psicologi fanno notare che i giovani, soprattutto, hanno bisogno per strutturare la loro personalità di incontrare degli ostacoli (gli educatori, un regolamento ecc.), a cui resistere. Ma ciò non vale solo per i giovani, sicché la strutturazione di una persona non è mai completata. La pedagogia messa in opera dalla formazione dei religiosi e delle religiose dovrà quindi aiutarli ad entusiasmarsi per un’impresa che reclama qualche sforzo. È così che Dio conduce la persona umana che egli ha creato».3 Siamo quindi in un momento opportuno nel quale si sposta l’attenzione dal rifiuto dell’ascesi all’esigenza di una autentica pedagogia vocazionale che la esige; in realtà è esigenza per ogni cristiano, anche se con sfumature caratterizzanti nell’ambito delle diverse vocazioni.

Parliamo quindi di un ritorno, perché già molto prima del Vaticano II, una famosa inchiesta sull’ascesi in ambito francese, confermava la disaffezione dei cristiani moderni verso il concetto e i contenuti dell’ascesi tradizionale.4

Sarebbe erroneo pensare, però, che si tratti di un semplice ritorno, quasi un passo indietro, una specie di restaurazione, un ritorno delle acque al proprio alveo, dopo errori e mancanze. Oggi, nell’ascesi come in altri aspetti della vita spirituale, si tratta di cogliere la novità di una sintesi, che tiene conto della doverosa continuità con la grande tradizione ecclesiale, della purificazione delle scorie di tipo culturale che hanno prevalso in alcune sue proposte, del superamento di un tipo di ascesi che ha subito un netto rifiuto in altri momenti; si tratta di una ascesi che coglie le prospettive nuove che vengono dalla novità dello Spirito Santo. Infatti, il discorso sulla ascetica, va in qualche modo rifatto con un tono di novità. Novità che nasce da alcuni presupposti. Il primo è quello di ritrovare una impostazione teologica all’ascesi nel suo senso più positivo in modo che si possa cogliere in un momento di ricupero il vero significato e scopo della lotta e dello sforzo cristiano. Un’altro presupposto è il fatto di trovarsi oggi davanti a fenomeni di ascesi o di pratiche ascetiche che portano con sé il sigillo dell’ambiguità culturale. La conoscenza e la penetrazione nell’ambito occidentale di prassi delle religioni orientali hanno fatto vedere che certe esigenze – digiuno, silenzio, pratiche corporali, esercizi ascetici per la meditazione – non sono tipicamente cristiane, ma si trovano in tutte le religioni. D’altronde, oggi il cristiano rischia di rimanere nei suoi impegni molto al di sotto di una ascesi laica che valorizza lo sforzo per lo sport, le privazioni alimentari di certe diete, i pubblicizzati scioperi della fame, l’impegno del lavoro quotidiano, la disciplina per la riuscita nella società ecc. Per questo, mentre cerca di cogliere quale è il vero senso “pratico” e quali le finalità e motivazioni dell’ascesi classica, cerca elementi nuovi e forme più congeniali di una ascesi che risponda alla spiritualità attuale.

Probabilmente l’ascesi come altre forme della spiritualità deve ancora ritrovare le sue forme culturali più adatte. In realtà molte forme ascetiche portano con sé un suggello culturale, mentre per alcuni significano molto poco, per altri costituiscono un valore altissimo, decisivo.

 

UN EVENTO

PASQUALE

 

La Pasqua di Cristo, nella sua dimensione di dono del Padre e di esperienza personale, rimane la sorgente e il modello della vita dei cristiani. Per vivere di lui e come lui, non bisogna passare attraverso una morte simile alla sua in modo reale; si richiede la fede come accettazione del fatto della Pasqua, l’appropriazione sacramentale del mi­stero stesso di Cristo attraverso battesimo, una vita coerente con la fede e il sacramento che porta il cristiano a vivere in comunione di vita con il Crocifisso-Risorto.

L’ascesi cristiana, evento pasquale, non è altro che la costante attuazione del passaggio, a somiglianza di quello di Cristo, dal dolore all’amore, dalla disperazione alla spe­ranza, dalla morte alla vita in un processo simile a quello di Cristo dove, in perfetta sinergia, si incontrano il dono di Dio e lo sforzo umano: «La croce della vittoria e della luce, alla quale ci conformerà il nostro battesimo, può trasformare in morte-risurrezione, in pasqua, in passaggio verso l’eternità la situazione più disperata».

La Pasqua del Signore, la sua croce luminosa è la sorgente e il modello dell’ascesi cristiana, la sua misura e il suo compimento, è la misteriosa convivenza in noi del Crocifisso Risorto, che tende a portarci all’esperienza defi­nitiva della risurrezione attraverso il mistero della croce vivificatrice. Il mistero della Pasqua di Cristo si compie sacramen­talmente nel battesimo. Si vive in forza del battesimo, si vive a somiglianza del battesimo, in un dinamismo costante di morire per risor­gere. L’ascesi cristiana non è altro che il processo attivo di vivere l’esistenza battesimale e la capacità di assecondare le mozioni dello Spirito che compie in noi fino in fondo il processo iniziato nel battesimo. I Padri della Chie­sa hanno visto l’ascesi cristiana in questa prospettiva bat­tesimale di compimento e dinamismo della prima grazia. Valga per tutti un testo di Leone Magno: «accolto con la loro vetustà, l’acqua del Battesimo li mette al mondo rinnovati. E tuttavia bisogna compiere nelle opere ciò che è stato celebrato nel sacramento. Quelli che sono nati dal­lo Spirito Santo, non possono eliminare ciò che in essi rimane del cor­po di questo mondo senza caricarsi la croce sulle spalle».5 Si potrebbe affermare sintetizzando la dottrina dei Padri: «In fondo tutta l’ascesi cristiana si riconduce a questo: realizzare progressivamente la grazia battesimale nel suo doppio aspetto di purificazione e di illuminazione, o se si vuole, di spogliazione del vecchio uomo e rivestimento del nuovo».6

La letteratura patristica sul battesimo accentua ora lo splendore della vita nuova, ora le esigenze ascetiche che da esso derivano per conservare quanto si ha ricevuto e por­tarlo alla pienezza. La vita cristiana appare allora come il lungo cammino e la lotta senza quartiere per conservare e sviluppare la grazia del battesimo.

 

LA TRADIZIONE

DELLA CHIESA

 

Con questi presupposti di carattere teologico e avendo presente che l’ascesi deve avere sempre una dimensione teologale, come sorgente e motivazione, cioè deve essere guidata e orientata dalle virtù teologali e in modo speciale dalla carità, possiamo ricordare brevemente alcune delle funzioni che nella grande tradizione della Chiesa ha assunto l’ascesi.

L’ascesi ha innanzitutto una funzione educativa per il dominio delle passioni. Un’azione educativa che diventa pure a lungo andare una funzione terapeutica, come si dirà dopo parlando di san Giovanni della Croce.

Ha inoltre una funzione tipicamente purificatrice. Essa richiede il duplice sforzo della rinuncia volontaria e della mortificazione – che possiamo chiamare ascesi attiva – e quella della accoglienza dell’azione purificatrice di Dio che possiamo chiamare ascesi passiva, non meno utile e necessaria; anzi è proprio questa che si rivela la più utile perché azione di Dio al di là della nostra buona volontà e dei nostri programmi.

Finalmente la mortificazione può avere in alcuni momenti un senso autentico di espiazione penitenziale, acquista il senso vero di una penitenza con la quale intendiamo espiare mediante la croce abbracciata con amore i propri peccati e inserirci nel movimento oblativo e sacrificale di Cristo e della Chiesa.

Già la Sacrosanctum Concilium n. 12 aveva ricordato questo aspetto dell’ascesi cristiana – da non disgiungere dalla dimensione liturgica, anzi come una esigenza della vita battesimale ed eucaristica – quando affermava che l’apostolo Paolo: «ci insegna a portare continuamente nel nostro corpo la passione di Gesù, affinché la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Per questo nel sacrificio della messa preghiamo il Signore che, accettata l’offerta del sacrificio spirituale, faccia di noi stessi una offerta eterna».

Abbiamo qui tratteggiato il carattere pasquale, liturgico e cristocentrico dell’ascesi, da non disgiungere dalla dimensione ecclesiale di comunione sponsale con Cristo e dal compiere in noi quel che manca alla passione di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa. Anche questa prospettiva prettamente teologica e apostolica, cristocentrica ed ecclesiale, va assunta in qualsiasi forma di ascesi. È normale che oggi si voglia sottolineare anche un altro aspetto dell’ascesi, la sua funzione liberatrice, in senso positivo. In realtà possiamo affermare: «La Croce di Cristo che penetra nelle nostre profondità, libera, nel senso letterale del termine, tutta l’energia di vita che il nostro peccato tratteneva prigioniera. A prezzo di una “rinuncia a se stessi”, come dice il Vangelo, cioè dicendo “no” alla morte e “sì” a colui che è la vita».7

L’ascesi cristiana, come la Pasqua, può essere descritta con il termine liberazione. Questo termine ha un primo significato negativo, in quanto comporta il dominio di ogni schiavitù. Ma ha altresì un senso positivo, come esprime il testo sopra citato: liberare energie che il peccato tratteneva prigioniere. Allo stesso modo che il Cristo della Pasqua è colui che scatena nel mondo la rivoluzione con le energie nuove che sgorgano dal suo Corpo glorioso, così l’ascesi cristiana, lasciando libero spazio alla vita di Cristo in noi e all’azione del suo Spirito, potenzia l’uomo, sblocca le sue energie trattenute da complessi, egoismi, paure, ricerca di se stesso, per un servizio degli altri; potenzia le capacità di dono di sé, abilita per nuovi compiti, lo rende più dispo­nibile ed efficace perché lo invita a compiere ogni cosa con gioia e con perfezione vivendo con solennità il momento presente e cercando di fare di ogni attimo un dono a Dio.

L’asceta cristiano è quindi colui che libero da tutto, e libero specialmente da se stesso, ha rimesso tutta la sua vita e le sue energie nelle mani di Dio, e si offre al soffio dello Spirito per un servizio più autentico e più ricco nella Chiesa. Per questo i santi, attraverso la rinuncia personale e le purificazioni a cui vengono sottomessi da Dio, diven­tano persone libere con una capacità di servizio e una fioritura di attività che sembrano superare le loro qualità naturali. L’ascesi libera da condizionamenti esterni e inter­ni, e abilita per nuovi servizi nella Chiesa. Il termine dell’ascesi cristiana è appunto la disponibilità a un’azione dello Spirito più intensa e proficua, per una liberazione dai profondi riflessi personali e da ampie prospettive so­ciali nel servizio dei fratelli. L’ascesi inoltre ha un senso profondo di solidarietà e di senso apostolico. Sentendo nella propria vita il disagio e la privazione, siamo solidali con quanti soffrono a causa della scarsità del cibo e dei beni materiali o di coloro che sono nel disagio fisico, psichico e spirituale. Offrendo insieme con Cristo le nostre privazioni e sofferenze contribuiamo a completare quanto manca alla passione del Signore a favore del suo corpo che è la Chiesa. Per questo la Chiesa ha sempre considerato la vita offerta per amore, l’ascesi e il sacrificio, anche di certe esperienze monastiche, come espressione della comunione in Cristo con tutti i fratelli, sorgente di fecondità apostolica e missionaria per la salvezza del mondo.

 

L’ASCESI

OGGI

 

Possiamo domandarci oggi quali prassi ascetiche tradizionali possono oggi essere al servizio del grande programma ascetico della configurazione a Cristo e del vissuto concreto del mistero pasquale.8

 

1. Vi è una ascesi della generosità nel dono di sé anche nelle privazioni e perfino nelle penitenze corporali, per amore del Signore, che può essere caratteristica di un momento della vita spirituale, dove il fervore e l’amore hanno bisogno di esprimersi con generosità, pur sotto l’obbedienza e la guida del direttore spirituale.

2. Esiste un altro tipo di ascesi che chiamerei l’ascesi del realismo nel tempo della conversione e della lotta, nel quale sembra che si fa esperienza concreta e spesso concentrata di tutte le difficoltà che possono venire dall’esterno con le sollecitazioni del mondo e dalla stessa persona che si sente sconvolta dalle passioni e dalle mille debolezze, per misurare con realismo le difficoltà e il prezzo della sequela. È il momento del realismo che punta all’accettazione di sé, sulla vigilanza, sul distacco anche materiale dalle occasioni che favoriscono l’esperienza della propria fragilità. Tutto vissuto con una grande umiltà, con incessante preghiera, con risposte efficaci di amore, in un vivo rapporto con il padre spirituale o il confessore.

3. Si deve poi considerare un’ascesi della maturazione nel tempo della grazia delle prove di Dio, che sconvolge i nostri piani e guida verso una grande apertura del cuore, verso il radicarsi delle virtù così dette passive ma che sono di una violenza estrema contro l’egoismo e la superbia: l’umiltà nei confronti di Dio, la piena carità nei confronti degli altri, l’umile sottomissione all’autorità spirituale come accettazione di una necessaria mediazione. Non sono in questo momento gli sforzi personali di una ascesi corporale, ma la docilità e l’accoglienza della prova, a segnare il progresso della vita spirituale.

4. Esiste sempre l’ascesi del quotidiano, in una dimensione di crescente fedeltà, che senza lasciare da parte gli atteggiamenti acquisiti, anzi rinnovandoli con una nuova generosità, e conservando sempre viva la vigilanza davanti alla tentazione incombente e al rischio di tornare indietro, commisura sempre meglio l’ascesi con la piena adesione attiva e passiva alla volontà di Dio che si dimostra santificante e si vive con gioia nel sacramento del momento presente.

È chiaro che questo modo di proporre l’ascesi in maniera sincronica - le forme - e diacronica - i tempi e le tappe - vuole essere indicativo e arricchente e cerca di evitare gli schematismi prefabbricati.

Infatti l’ascesi sarà sempre commisurata sui bisogni reali della persona, sul momento caratteristico che vive, sugli aspetti diversificanti della propria realtà, uomo e donna, del suo carattere, sulla situazione nella quale si trova (geografica, culturale), della tappa spirituale che sta vivendo. L’accettazione della antropologia culturale, anche nel campo dell’ascesi, senza ignorare quello che può essere comune in ogni tempo e in ogni luogo, condiziona pure l’esercizio dell’ascesi. L’ascesi cristiana, anche per il suo aspetto ecclesiale, e cioè per la sua caratteristica personale-comunitaria e non individualistica, ha bisogno di una guida; il sottoporsi a una guida spirituale non è l’ultima delle esigenze dell’ascesi cristiana.

 

DIGIUNO

CORPORALE

 

Senza rigidità e solo con il desiderio di aprire il discorso alla concretezza di una vita ascetica incarnata che si deve tradurre in forme e atteggiamenti sostenuti da una intensa vita teologale e da un forte personalismo ecco alcuni suggerimenti.

L’ascesi corporale che non è guidata da un concetto erroneo della materia, né si compiace in certo masochismo, può e deve essere oggi proposta come una forma di ascesi e di mortificazione. Sarebbe erroneo pensare che il corpo non debba esprimere la sua sottomissione allo spirito e sarebbe mancanza del realismo dell’incarnazione voler sottrarre il proprio corpo alla dimensione della lotta, dell’oblazione della vita.

Forme ascetiche come il digiuno, con tutta la forza simbolica e terapeutica, come si dirà, la preghiera con il proprio corpo, possono aiutare ad esprimere la libertà spirituale e la sinergia con la quale il nostro corpo diventa il miglior l’alleato dello spirito, e per esprimere anche l’amore verso Dio e la bellezza dell’ascesi cristiana. Non dimentichiamo le parole di Paolo che sono alla base di una certa ascesi corporale: “Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù...” (1Cor 9,27).

Del digiuno oggi si sottolineano alcuni valori: quello del dominio di sé in un aspetto fondamentale della vita umana: privazione dell’uso e delle bevande con sobrietà, preparazione per una maggiore disponibilità alla preghiera, per prendere decisioni, dimensione del corpo in attesa di Dio, esperienza del Cristo in noi che digiuna, un certo distacco rispettoso dall’abuso delle creature che Dio ha pure posto al nostro servizio.

Ha scritto O. Clément: «Il digiuno significa un cambiamento radicale del nostro rapporto con Dio e con il mondo. Dio e non – l’ego – si colloca al centro e il mondo è visto come sua creazione: dialogo degli uomini tra loro e con il creatore. Il digiuno impedisce all’uomo di identificarsi con il mondo nella sola prospettiva del possesso, e gli fa vedere il mondo in una luce venuta d’altrove. Ogni essere, ogni cosa diviene allora oggetto di contemplazione. Il digiuno introduce tra l’uomo e il mondo la distanza del rispetto e della meraviglia, permette all’uomo di avere fame anche di Dio e di accogliere, di riflettere in sé la fame, il “sospiro” del creato”.9

È di attualità quanto ha cercato di mettere in luce la Nota pastorale della CEI sul digiuno e l’astinenza, nella quale vengono anche sollecitate nuove forme penitenziali e identificati alcuni settori del consumismo in atto nella nostra società.10

C’è anche l’ascesi del lavoro faticoso, umiliante che se inoltre è espressione di servizio e di carità concreta verso il prossimo esprime chiaramente il dono della vita per gli altri, la dimenticanza di sé, l’amore incarnato, il sacrificio del proprio egoismo sull’altare del fratello.

Spesso l’esperienza della fragilità del peccato che macchia i nostri sensi, richiede come compensazione spirituale e psicologica l’ascesi corporale, non escluse anche, con discrezione, alcune penitenze classiche, non del tutto sparite anche nella prassi di alcuni settori della Chiesa, e non solo monastici, come il cilicio e la flagellazione.

 

DIGIUNO

SPIRITUALE

 

Probabilmente il digiuno nella nostra società, senza trascurare l’aspetto prettamente corporale di privazione o regolazione del cibo, che dovrebbe essere coltivato forse con più regolarità in alcuni ambienti religiosi e monastici, acquista oggi una valenza simbolica che rimanda ad altre privazioni, ad altri digiuni. La tradizione della Chiesa ha sempre considerato questa espressività simbolica, come lo esprimeva molto bene un inno della liturgia di Quaresima: Utamur ergo parcius verbis, cibis, et potibus, somno, iocis et arctius perstemus in custodia. Uso più moderato delle parole, del cibo e delle bevande, del sonno e dei giochi per essere più vigilanti. Oppure secondo la parafrasi approssimativa dell’inno italiano: “Sia parca e frugale la mensa, sia sobria la lingua ed il cuore; fratelli è tempo di ascoltare la voce dello Spirito”.

Oggi l’ascesi deve fare i conti non solo con un dominio dei bisogni del corpo, ma con una società del consumismo che ha moltiplicato insieme con i bisogni i desideri, eccitando positivamente l’immaginazione e i sensi e provocando e rivelando anche al nostro subcosciente il modo di soddisfare effettivamente tali desideri.

Nel mondo consumistico di oggi una ripresa della propria libertà davanti ai bisogni, indotti dalla propaganda e dalle necessità fasulle, passa per un salutare digiuno degli occhi, fatti per contemplare altrimenti Dio, i fratelli e le sorelle, il mondo; si tratta anche del digiuno delle parole che hanno bisogno di essere più sostanziali e scaturite dal silenzio, per essere parole di amicizia vera, di sapienza, di carità. Si tratta di assaporare con umiltà che si può vivere anche con poco e che certe abitudini contratte di dipendenza dal fumo, dalla televisione, da giochi, sono niente altro che schiavitù ormai accettate e davanti alle quali ci siamo arresi, giustificando poi in mille modi, consapevoli o no, i nostri comportamenti.

Il miglior digiuno spirituale sarà sempre il dominio di qualche atteggiamento personale peccaminoso o difettoso che impedisce in modo concreto e totale che passi in noi la linfa vitale della volontà di Dio. Si tratta di un digiuno che scioglie i piccoli nodi che impediscono lo scorrere in noi della linfa vivificante dell’amore di Dio.

Si tratta di una vera e propria ecologia del corpo e dello Spirito che oggi può essere praticata.

 

DISPONIBILITÀ

TOTALE

 

È imprescindibile per l’ascesi, personale e comunitaria, la puntualità e la fedeltà con le quali si segue un orario, un programma concreto di vita, si compiono gli impegni contratti, si è fedeli alla parola data. Tutto questo nella complessità della vita moderna che ci impone di essere flessibili e vigilanti per accogliere la volontà di Dio nel momento presente. Esso è il vero sacramento dell’ascesi dell’accoglienza della volontà di Dio nella nostra vita, con tutte le sorprese che ogni giorno sconvolgono i nostri piani, per entrare nei piani di Dio, con una ginnastica della mente e del cuore e una grande dose di carità per concentrarsi nel volere di Dio, con il quale ci si comunica, quasi come con la sua parola e con l’Eucaristia. Questo tipo di ascesi richiede una grande capacità di vigilanza, una educazione alla vita teologale, al camminare costantemente, fin dal mattino alla presenza di Dio, a ritagliare tutto quello che non è necessario, lasciar cadere tutto quello che non è la sua volontà per immergersi con gioia e fatica insieme nell’attimo presente di un impegno, di un lavoro, di un incontro, dell’ascolto di una persona.

È l’ascesi della disponibilità totale che richiede unificazione interiore e che postula anche un equilibrio che ricupera tutte le energie interiori e tutta la libertà liberata dall’amore di Dio e del prossimo.

Si tratta di acquistare una leggerezza ascetica, per nulla rigida, anzi sorridente e simpatica, di vivere il martirio bianco, come lo chiamava Pavel Evdokimov, con il quale si attua la migliore misura dell’ascesi che è quella del dono della vita: dono sacrificale dell’offerta di sé, del proprio tempo, delle proprie qualità, negazione del vivere per se stessi ma per Dio e per gli altri, dono oblativo santificante (anche di sé) perché si lascia che Dio viva in noi con la sua volontà, e salvifico per gli altri in quanto diventa carità che vivifica.

Oggi siamo anche invitati al realismo per considerare come esiste tutta una ascesi non cercata, non programmata da noi, ma ben intrecciata nella vicende di ogni giorno, nella trama sociale del nostro vivere e che richiede vigilanza e spesso anche la testimonianza della serenità del cristiano che reagisce con calma e talvolta con sereno senso dell’umore là dove altri manifestano palesemente il loro nervosismo nelle innumerevoli piccole o grandi frustrazioni della vita moderna, così ben congegnata per suscitare nervosismo e stress nel traffico caotico della città, nelle file interminabili degli sportelli pubblici, nelle attese che logorano...

Scrittori del nostro tempo invitano a valorizzare anche questa ascesi moderna: «Nelle condizioni attuali, sotto il peso del superlavoro e dell’usura dei nervi, la sensibilità cambia; la medicina protegge e prolunga la vita, ma diminuisce al tempo stesso la resistenza alle sofferenze e alle privazioni. L’ascesi cristiana non è che un metodo al servizio della vita, e cercherà di accordarsi alle nuove necessità. La Tebaide eroica imponeva severi digiuni e costrizioni: oggi il combattimento si sposta. L’uomo non ha bisogno di un dolorismo supplementare; cilicio, catene, flagellazioni, rischierebbero di spezzarlo inutilmente: la mortificazione può essere vista come la liberazione dal bisogno delle droghe: velocità, rumori, eccitanti, liquori di tutti i tipi.

L’ascesi piuttosto come riposo imposto, la disciplina della calma e del silenzio, periodici e regolari, in cui l’uomo ritrova la facoltà di fermarsi per la preghiera e la contemplazione, anche in mezzo a tutti i rumori del mondo, e soprattutto di ascoltare la presenza degli altri. Il digiuno, anziché la macerazione che ci si infligge può essere la rinuncia al superfluo, spartendolo con il povero, un sereno equilibrio. Le modalità dell’ascesi, come il volto dei santi, riflettono il tempo in cui si vive... L’ascesi moderna va vista al servizio dell’umano che l’incarnazione ha assunto; si opporrà perciò violentemente alla diminuzione e alla dimissione dell’uomo... L’ascesi negativa della regolazione si allea a quella positiva di acquisizione e di crescita dei carismi. In senso lato l’asceta è il cristiano attento agli appelli dell’evangelo, alla gamma delle beatitudini, che cerca l’umiltà e la purezza del cuore per liberare il prossimo».11

Un altro autore spirituale ha scritto: «Le penitenze più indicate per il nostro tempo sono probabilmente la preoccupazione per la gentilezza e la proprietà, una buona igiene e una giusta misura di cibo e di sonno, poveri ma sufficienti, lo sforzo prodotto per dominare la febbre del lavoro e riservarsi tempi di silenzio e di preghiera, la preoccupazione per la fedeltà all’altro e lo zelo nel rendergli servizi, piccoli e grandi».12

 

DIMENSIONE COMUNITARIA

ED ECCLESIALE

 

Oggi quindi, senza nulla togliere alle funzioni e alle forme di una ascesi tradizionale, si cerca di proporre l’esercizio della lotta illuminato dalla carità e quindi orientato verso la piena realizzazione dell’immagine e somiglianza di Dio, verso la trasfigurazione della persona in un effettivo equilibrio umano e divino. E quindi normale che in una ascesi che appartiene più al momento perfettivo che a quello agonico che si situa in un dinamismo di crescente fedeltà alla grazia si insista di più sull’equilibrio degli aspetti che si devono coltivare, in maniera che sia la carità, l’amore di Dio e del prossimo, a riordinare dal di dentro tutta la vita delle persona in modo che in essa si esprima la perfezione dell’immagine e la maturità del cristiano che vive in Cristo. In questo modo, in una visione che tiene ancora conto di quanto Goffi chiama l’antropologia culturale, la temperie spirituale del nostro tempo, la persona, possa indurre una ascesi positiva e teologale che esprima la ricchezza del Vangelo nella propria vita.

Bisogna ricordare che secondo alcuni scrittori orientali, l’ascesi non solo favorisce la bontà del cuore e delle opere, ma esprime al vertice la bellezza della persona, l’armonia della redenzione e della salvezza. L’ascesi ha anche la funzione di ridonare alla persona l’estetica dell’uomo nuovo, a immagine di Cristo.

Da una parte è necessario nel tempo del pensiero debole, e non solo del pensiero, ricuperare anche nella prospettiva dell’ascesi cristiana, tutta la forza del personalismo, cioè l’impegno personale, forte e maturo di fronte a Dio, alieno dalla superficialità di programmi senza fatica e senza esigenze, o dal collettivismo facile. La preghiera, come l’ascesi hanno, come la vocazione cristiana, una forte caratteristica personale. I programmi comuni non colmano le esigenze del proprio carattere, della propria vocazione, delle fragilità e delle esigenze di Dio. Oggi più che mai bisogna lodare chi si sa impegnare in prima persona davanti a Dio, alla Chiesa, ai fratelli. È chiaro che oggi i programmi comuni non favoriscono l’ascesi e la mortificazione. Difficilmente dal gruppo come tale provengono proposte esigenti di ascesi, di rinuncia. Regna la mediocrità comunitaria. Bisogna far appello alla sincerità e all’eroismo personale, specialmente in un cammino vocazionale e nelle sue singole tappe.

Il personalismo ecclesiale si misura con la mediazione utile se non necessaria di una verifica con gli educatori, confessori o direttori spirituali che siano; solo in quest’ottica l’ascesi può essere ben orientata, in modo da salvaguardare con il confronto la sincerità della propria situazione, cercare e applicare i rimedi più adatti, stimolare la generosità o pilotare le intemperanze, verificare i progressi. Inoltre nella prospettiva di una spiritualità più comunitaria e apostolica, l’educazione ascetica dovrà aprirsi alla misura della carità che diventa ascesi della comunione e alla generosità apostolica che esprime ilo senso positivo della ascesi e della mistica cristiana. Infatti l’ascesi, per riprendere l’immagine cara a Giovanni della Croce, segue la logica della trasformazione del legno verde in fuoco incandescente che illumina e riscalda e la massima espressione del cristiano, che si è purificato ed è stato purificato da Dio, è in tutte le tappe della progressiva risposta vocazionale un cristiano che ha vinto in sé l’egoismo che accentra in sé e paralizza, e lo rende trasparente e generoso uomo della carità, capace di donarsi senza stancarsi. Si tratta di orientare l’ascesi nella dimensione della carità e della comunione, un aspetto forse nuovo nell’impostazione attuale della spiritualità.

 

RADICALITÀ

DELL’ASCESI CRISTIANA

 

La necessità e la bellezza dell’ascesi nel mondo di oggi è tutta misurata dalla bellezza di una piena vita cristiana, di una esperienza della comunione con il Signore, in una esistenza che assapora per connaturalità del dono il modo di essere e di vivere di Cristo e che è impossibile senza un immedesimarsi con i sentimenti di Cristo Gesù. È qui la misura e l’impegno di una vera ascesi. E ancora l’ascesi al servizio della vera vita in Cristo e sotto l’azione dello Spirito. Essa dovrà quindi ritrovare le sue radici nelle esigenze della sequela, nella grazia della comunione con lui, per rileggere in modo personale quelli che sono scelte caratterizzanti di un vissuto cristico di quello che chiamiamo ascesi. Basterebbe pensare al periodo ascetico di Gesù posto all’inizio della sua vita pubblica: l’esperienza del deserto e della solitudine, il digiuno e la preghiera, la tentazione subita e vinta, la risposta esemplare data alla triplice tentazione superata; la misura ascetica delle beatitudini e delle esigenze del discepolato, la libertà da ogni condizionamento umano... Ma qui bisognerebbe riprendere tutto il discorso evangelico e scoprire l’ascesi “cristica” per viverla dal di dentro, dalla vita in Cristo. Non c’è dubbio che il Cristo rimane la misura e la motivazione essenziale di ogni ascesi che non può non prospettare come limite il vissuto del mistero pasquale, la morte-risurrezione o la morte vivificante, come dicevano i Padri; e questo non è possibile senza un amore che stia alla base come motivazione di ogni ascesi. Lo diceva Santa Teresa: Così si deve aderire a Cristo, in modo che come in lui trova tutto, è capace di lasciare tutto.13

La radicalità dell’ascesi cristiana, come cammino verso la conformazione con Cristo, mette in luce la triplice esigenza fondamentale della verginità per il regno, della povertà e dell’obbedienza, che la tradizione cristiana ha individuato come grandi consigli evangelici che insieme sono imitazione esteriore e configurazione interiore a Cristo. E non deve essere tralasciata dall’orizzonte della propria esperienza la prospettiva del martirio, quello violento che immerge nel sangue stesso di Cristo, e quello quotidiano, il “martirio bianco” della perseverante fedeltà nell’amore.

 

P. Jesús Castellano Cervera ocd.

 

1 Relazione abbreviata, tenuta al Corso di Formazione per Consigli Generali e Provinciali (7-12 febbraio 2005) sul tema Quale spiritualità per i nostri istituti oggi?, presso la Comunità di Preghiera “Mater Ecclesiae” delle Suore Dorotee di Cemmo, Via della Pineta Sacchetti, 502 - 00168 - Roma.

2 Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, Potissimum Institutioni, Direttive sulla formazione negli Istituti religiosi, nn. 36-38.

3 Ivi, n. 37.

4 L’inchiesta, promossa dalla rivista Christus nel 1956, è stata riportata in sintesi da G. BARRA, Cristianesimo adulto, Milano 1962, pp. 249-252.

5 Cfr. LEONE MAGNO, Sermo 70, 4: PL 54, 382, citato da .M. MAGRASSI, Novitas Natalis. Il Battesimo come vita nuova negli antichi for­mulari liturgici, in Il Battesimo. Teologia e pastorale, p. 246.

6 M. MAGRASSI, o.c., p. 245.

7 I. HAZIM, o.c., p. 78.

8 A. GENTILI, Dio nel silenzio, Milano 1986, pp. 167-174.

9 O. ClEMENT, Alle fonti con i Padri, Roma, Città Nuova, 1987, p. 138.

10 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, Roma 1994.

11 P. EVDOKIMOV, Le età della vita spirituale, Bologna 1964, pp. 60-61.

12 L. Leloir, citato da A. Gentili in Dio nel silenzio… p. 168.

13 Cf.. Cammino di Perfezione 9,5.