SARÀ CANONIZZATO IL 23 OTTOBRE PROSSIMO

QUANDO SI DICE “UN UOMO DI DIO”

 

Onore della Compagnia di Gesù e gloria della Chiesa in Cile, tra le cui popolazioni è tuttora viva e grata la memoria di lui, p. Alberto Hurtado rimane luminoso testimone di profezia della vita religiosa.

 

Non era stato un fascino effimero, né illusorio o tanto meno ambiguo quello che Alberto Hurtado accolse fin dagli anni più giovani dalla persona di Gesù, della cui grazia si lasciò penetrare nell’intimo, senza condizioni né ripensamenti, con entusiasmo e serietà di impegno evangelico sino alla fine.

Simpatia umana sprizzante gioia di vivere e di donarsi con tutte le sue energie e capacità al servizio concreto, molteplice e radicale agli ultimi, nutrito di amore appassionato a Dio nella sequela del Signore crocifisso: sono alcuni dei tratti della fisionomia di p. Hurtado raccolti nel denso messaggio che la 87ª Assemblea plenaria della Conferenza episcopale cilena emanò il 24 aprile 2004, riproponendone a religiosi/e del Cile il profilo esemplare; un profilo ripreso e sviluppato in diversi articoli e scritti vari da competenti e ammirati estimatori.

Ma già il superiore generale p. Peter-Hans Kolvenbach in occasione della beatificazione (1994) di p. Alberto aveva presentato con una lettera a tutti i gesuiti un prezioso compendio della sua vita, inteso a testimoniarne «l’impegno concreto di seguire le orme di Cristo nella Compagnia di Gesù».

Dalla sobrietà di tale racconto emerge una figura sorprendentemente attuale, in una storia vocazionale e apostolica vissuta tra il 1923, per indicare soltanto l’anno dell’entrata nella Compagnia, e il 1952 anno della morte: un arco breve, per l’ammirevole intensità di vita spirituale e per la somma di realizzazioni nella maggiore e più significativa parte in favore dei più poveri e dei più dimenticati. E citiamo subito quella che tuttora operante nel ricordo di lui le riassume e non solo simbolicamente in Santiago: l’Hogar de Cristo, il focolare che accoglie e riscalda Cristo stesso che evangelizza i poveri facendosi ogni giorno per essi pane e salvezza.

 

L’ITINERARIO

DI MATURAZIONE

 

Viña del Mar fu il luogo in cui Alberto nacque il 22 gennaio 1901 e dove sperimentò le prime prove in ordine alla durezza della vita: la perdita del padre – leggiamo in p. Kolvenbach – quando era ancora giovanissimo e il trasferimento della madre con i figli a Santiago del Cile presso parenti, data la scarsità delle risorse familiari. E fu proprio la madre a infondere “nei suoi bambini un senso cristiano profondo, assieme al rispetto e al servizio verso i poveri”, nonché a favorire gli studi del giovane presso il Collegio s. Ignazio.

Nel Collegio egli “modellò e irrobustì la sua fede con l’aiuto dei mezzi abituali offerti dalla pedagogia ignaziana: frequenza ai sacramenti, preghiera secondo il Vangelo, direzione spirituale personalizzata, congregazione mariana, catechismo ai bambini, opere sociali”. Un complesso formativo che si può dire contenesse già allora il progetto da lui sviluppato con fede ardente, con lungimiranza e creatività, a partire dalla risposta alla vocazione avvertita durante gli studi in Collegio e che realizzò più tardi per poter nel frattempo aiutare economicamente sua madre.

Seguirono anni di prezioso tirocinio: lavorando la sera per poter di giorno studiare diritto all’Università cattolica di Santiago, “si distinse come prefetto di un gruppo di giovani universitari della congregazione mariana e avviò un apostolato molto intenso a favore dei poveri e degli emarginati”.

Conseguita nel 1923 la laurea in legge, nello stesso anno il giovane Hurtado entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù, per avviarsi poi nel normale curriculum in preparazione all’ordinazione presbiterale – studi filosofici e teologici, dottorato in pedagogia con specializzazione in psicologia presso l’università di Lovanio – durante il quale impresse nell’animo di studenti e professori sentimenti tali che fissarono in loro “un ricordo incancellabile di uomo di Dio”.

 

IN UN SECOLO

DAL CUORE FERITO

 

“Fu ordinato sacerdote – ricorda il preposito generale – il 24 agosto 1933 e rientrò in Cile all’inizio del 1936. In meno di sedici anni vi realizzò un apostolato così fecondo da contrassegnare ancora oggi la Chiesa e il popolo del suo paese natale”.

Proprio da quel momento, infatti, il nome di p. Hurtado si identifica tuttora con quello dei poveri, che egli rintracciava nei luoghi più impensati e per i quali escogitava aiuti non generici ma il più possibile personalizzati, poiché il suo tipico carisma riconosceva nel loro volto il volto di Cristo, pur adombrato dalle più varie condizioni anche di degrado. “Il povero è Cristo”, soleva dire in qualsiasi situazione lo incontrasse o lo trovasse avendolo cercato.

“Amava il povero concretamente, quello che incontrava; da studente vedeva Cristo negli operai licenziati delle miniere di salnitro, durante gli anni della maturità il Cristo era presente nei barboni che dormivano sotto i ponti di Santiago”.

Nessuno spiritualismo, ma un esercizio sereno e continuo dell’intelligenza, la quale leggendo i segni dei tempi dava luce sempre nuova al suo amore per Cristo povero e gli proponeva con sempre maggiore acutezza gli ampi spazi dei problemi sociali del suo Cile; così che su questi rifletteva, scriveva e sollecitava specialmente l’impegno degli studenti.

Ai giovani infatti ripeteva continuamente che “essere cattolici significa essere sociali” e la stessa università secondo lui doveva suscitare in essi la fame e la sete di giustizia: in un mondo nel quale per i poveri non bastava più la misericordia, mentre urgeva organizzare una società in cui la miseria venisse del tutto eliminata.

L’orizzonte della povertà era dunque più vasto, poiché alla miseria materiale dei suoi poveri p. Hurtado vedeva sottostare una profonda “assenza di Dio”; ed era tale pensiero che dopo la seconda guerra mondiale gli faceva dire e scrivere: «Questo secolo ha il cuore ferito. Gli uomini, privati della presenza di Dio capace di farli crescere, si sentono tristi e inquieti». Da qui il suo appello, sorridente ma pressante nel nome del Signore a realizzare anzitutto «in se stessi, al seguito di Cristo, la grande rivoluzione della vita cristiana».

 

DALLA BUONA TERRA

DEL SUO CUORE

 

Le parole di p. Hurtado non cadevano nel vuoto; affinavano anzi la sensibilità dei giovani più generosi, mentre i tiepidi e i fiacchi rimanevano scossi dal suo impegno nell’aiutare il prossimo, nel donare gioia, nel dare il suo contributo a “rendere questo mondo un poco più abitabile”.

A essi e a molti adulti che accoglievano il suo invito a seguire con vera passione Cristo in qualità di religiosi o come laici sposati aveva dedicato espressamente il suo libro La scelta di una carriera.

Non che le sue parole tornassero a lui sempre e da ogni parte in applausi, poiché – leggiamo ancora in p. Kolvenbach – «il suo lavoro con i giovani e specialmente il suo apostolato per la giustizia attirarono su di lui le critiche e le incomprensioni di molti, anche da parte della gerarchia»; alla quale tuttavia egli «esponeva il suo punto di vista con semplicità, rispetto e verità. Ma ciò che risaltava sempre in lui era l’obbedienza, l’amore e una grande lealtà verso la gerarchia».

La sua vita infatti non aveva altro scopo che vivere la gioia di sapersi compagno di Gesù nell’apostolato. Una compagnia che amava anzitutto nella preghiera, nell’amore alla Chiesa e nell’accoglienza filiale della volontà di Dio, sempre lietamente grato per i doni che amava moltiplicare attorno a sé: “Sono contento, Signore, sì, contento”.

Non stupisce perciò il fatto che abbia trascorso la vita assediato dalle innumerevoli richieste della gente. Scrisse queste righe che lo ritraggono bene: «Rientra nel piano di Dio essere divorato. Se uno ha cominciato a vivere per Dio con abnegazione e amore del prossimo, tutte le miserie busseranno alla sua porta».

 

E TUTTO

ERA COMUNIONE

 

I poveri a volte – ammoniva al suo tempo i suoi, realisticamente, s.Vincenzo de Paoli – non sono puliti, sono scontrosi e spesso non amano ringraziare, anzi “non perdonano” la minestra che si offre loro.

Anche il beato Hurtado li conobbe così, e solo l’amore gli permise, come leggiamo in un articolo di Jaime Castellón, di superare un normale senso di ripugnanza. «Andava a raccogliere i bambini che vivevano sotto i ponti del fiume Mapocho, fra le immondizie, e li trattava con amore paterno. Con la stessa delicatezza cercava di aiutare gli alcolizzati in cui, lo diceva lui stesso, gli risultava particolarmente difficile vedere il volto di Cristo».

Ma la consapevolezza della dignità di tutti i figli di Dio lo portava a trattare con rispetto anche coloro che non se ne sentivano degni. «Nel momento in cui riceveva i bambini e i barboni nell’Hogar de Cristo, chiedeva loro sinceramente perdono per non aver altro da offrire che un letto e qualcosa da mangiare».

Certo, capitava che anche dei confratelli criticassero «il suo eccesso di attività, che non gli permetteva di prendere parte ad alcuni momenti di ricreazione comune»; ma la sua comunità sapeva quanto e in quali modi concreti egli profondamente e con quale delicatezza la amasse.

«Operava sempre – afferma p.José M.Guerrero – con libertà evangelica al cospetto dei superiori e in comunione con loro» e smorzava attorno a sé le spinosità con la testimonianza dell’ affettuosa comprensione che lo portava a valorizzare le doti di ciascuno e, pur soffrendone, scusarne le mancanze specialmente nei suoi confronti.

Gioioso, comunicativo e leale, proseguiva per la sua strada, sapendo “che la ricchezza di una comunità sono le persone, con le loro originalità e le loro debolezze”, poiché la vita di una comunità religiosa è molto di più di una sempre possibile fragilità; e i suoi confratelli non potevano non convenire con lui quando diceva che “Non si possono lasciar morire di freddo tanti Cristi sofferenti”.

Del resto, la comunità non era altro che l’espressione più concreta e vicina a lui della Chiesa che amava e della quale avvertiva “l’incanto della comunione”, mentre, nello stesso tempo, gli dava sicurezza la fiducia dei superiori religiosi e dei vescovi che gli affidavano incarichi di responsabilità, nel ministero, come quello di assistente dell’Azione Cattolica.

 

UNA VISITA DI DIO

ANCHE OGGI

 

Con la sua personalità così armonicamente integrata padre Hurtado – citiamo ancora p. Kolvenbach – “amava intensamente la Chiesa, sposa e corpo del Cristo: “Non distinguere il Cristo dalla Chiesa”. Lavorò con essa e per essa. Si teneva informato dei suoi successi e dei suoi fallimenti nel mondo intero. Le encicliche erano per lui doni di Dio; le studiava e le divulgava con tale amore che gli meritò l’appellativo di “uomo delle encicliche”, capace tuttavia, con la sua lucida dedizione alla volontà di Dio, di «conciliare dimensioni opposte quali, per esempio, contemplazione e azione, la pastorale e il sociale, l’assistenza ai bisognosi e la promozione di un nuovo ordine sociale, l’opzione per i poveri e la mobilitazione dei ricchi, l’attività asfissiante e una visione d’insieme, a lungo termine, della missione».

Ci si può domandare, come fa p.Kolvenbach, come abbia potuto, all’interno di queste dimensioni, evitare gli squilibri che noi talora non sappiamo evitare.

«È precisamente perché il p. Hurtado ha realizzato la loro integrazione profonda in una missione unica, al seguito di Cristo e per amore di lui», conservando fino alla morte la gioia di essersi fatto totalmente uomo di Dio.

Il p. Hurtado morì il 18 agosto 1952 per un cancro al pancreas. Due mesi prima aveva accolto la notizia della sua prossima morte come un grande dono di Dio: “Ho vinto la lotteria! E sono felice, felice”.

Per tutto ciò, «il suo esempio ci viene offerto come un regalo del Signore e come una interpretazione vigorosa della nostra vita consacrata». La vita consacrata non soltanto della Compagnia di Gesù, ma di quanti e quante nella Chiesa intendono seguire Cristo, secondo il proprio carisma, “più da vicino”, e accolgono del beato Alberto Hurtado la visita che oggi rinnova al popolo di Dio che vive in Cile e nel mondo intero.

 

Zelia Pani