LE SUORE DI S. ANTIDA E LA
GLOBALIZZAZIONE
NUOVE FORME DI PRESENZA E MISSIONE
In un mondo pieno di squilibri le Suore della carità di sant’Antida Thouret
si propongono di contribuire con la testimonianza di vita e nuovi più radicali
inserimenti nei luoghi di grande povertà, di porre germi di una società nuova,
che sia segno evangelico alternativo alla logica dell’attuale sistema economico
mondiale.
Siamo in una stagione della vita
consacrata in cui i capitoli generali o provinciali rischiano, più
frequentemente che in passato, di concentrare l’attenzione sui problemi interni
della congregazione. La cosa non deve sorprendere, perché sono molte le ragioni
che spingono a questa chiusura su di sé, ma che non può non preoccupare. La
missione della vita consacrata è per natura sua estroversa, rivolta cioè al
mondo, e ogni volta che essa si ripiega su se stessa, ne esce compromessa non
solo la missione, ma la sua stessa identità. L’esperienza insegna che i
problemi interni della vita consacrata trovano una soluzione solo se vengono
proiettati sul grande orizzonte del mondo che è il regno di Dio. In caso
contrario, muore d’asfissia.
Questo è ciò che ha fatto la
congregazione delle Suore della carità di santa Giovanna Antida Thouret, una
congregazione che ha già due secoli di vita, numerosa e diffusa nel mondo
intero, che soffre oggi, come tutte le congregazioni europee, per la
contrazione del numero dei suoi membri e l’inarrestabile crescita dell’età
media e, insieme, per il cambio culturale che ha mandato fuori corso tante
opere tradizionali. L’insieme di questi fenomeni ha portato l’istituto a
decidere le necessarie ristrutturazioni che, come ovunque, sono laboriose oltre
che dolorose. In Italia contano ancora duemila suore, divise in quattro province:
Vercelli, Ferrara, Roma e Napoli. Ma da qualche anno è in atto nell’istituto un
processo di progressiva unificazione delle quattro province in vista di farle
confluire per il 2010, o giù di lì, quando sarà possibile, in un’unica
provincia italiana. Tale ristrutturazione vorrebbe essere non una mera
riduzione delle opere sulla misura della contrazione numerica del personale, ma
la ricerca di nuove forme di presenza e di missione compatibili con il ridotto
numero delle forze, coerenti con il carisma dell’istituto e articolabili in un
progetto disegnato sulle necessità del territorio.
Dopo una prima tappa di questo processo
che già da qualche anno ha unificato le province di Brescia, Vercelli e Torino
nella provincia del nord Italia, si sta ora realizzando l’unione delle due
province del centro Italia, quella di Ferrara, che si estende dal Trentino alla
Liguria e fino alle Marche, e quella di Roma che nella sola capitale ha 13
comunità e che si estende al Lazio e all’Abruzzo Molise. Insieme le due
province o, per meglio dire, la futura provincia del centro, conta 73 comunità
con 730 suore. Subito dopo il XVIII capitolo generale, celebrato nel mese di
giugno 2005, nella prima settimana di agosto, le quattro province italiane si
sono riunite ad Armeno per un capitolo unitario di applicazione.
GLOBALIZZAZIONE
TEMA DEL CAPITOLO
La cosa interessante, che merita di
essere conosciuta, è che il tema del capitolo generale, come del capitolo
unitario dell’Italia, non è stato uno dei soliti temi, tanto consueti quanto poco
incisivi, di questi anni, come la formazione, la spiritualità, la pastorale
vocazionale, la collaborazione con i laici o l’uso dei beni materiali
dell’istituto, ma un tema relativo alla missione dell’istituto nel mondo d’oggi
che è segnato dal fenomeno della globalizzazione. Non è stato, come qualcuno
potrebbe immaginare, un rigurgito o una nostalgia di temi del 1968, né una
tendenza secolarizzante a dettare questa scelta. La congregazione, che ha come
principio di azione la carità, non poteva più ignorare che la sua missione si
svolge in un mondo di squilibri sociali, economici e politici a causa dei quali
i poveri diventano sempre più poveri e non riescono a risalire la china della
loro miseria. Nelle assemblee capitolari sono state ascoltate delle voci
profetiche del grande mondo e del nostro paese che hanno mostrato alle suore
che i poveri non sono tali per un ineluttabile destino, ma sono degli
“impoveriti”, sono cioè delle vittime di strutture di peccato di cui esse, come
noi tutti del mondo ricco, sono, siamo responsabili. Senza cadere vittime della
tentazione o dilemma “orizzontale/verticale”, le Suore della carità hanno
applicato positivamente ai lavori del loro capitolo il “principio Carità”, che
è l’amore di Dio vissuto nell’amore per il mondo. Hanno preparato lungamente il
capitolo con lo studio del fenomeno della globalizzazione di cui si parla a
ogni piè sospinto e in tutte le salse, ma che raramente si approfondisce nelle
sue componenti positive e negative, soprattutto nei nostri ambienti di chiesa.
L’obiettivo globale (o generale) che è
stato elaborato alla fine del capitolo generale merita di essere conosciuto:
«Provocate dal gemito degli impoveriti, in questo tempo di globalizzazione,
interpellate dalle situazioni di ingiustizia che dilagano nel mondo, coscienti
di essere tra i privilegiati che hanno accesso a tutti i beni della terra,
abbiamo sentito di nuovo la voce di Dio: “Ora va’… io ti mando” (Es 3,10).
Vogliamo quindi contribuire con la testimonianza del nostro stile di vita e con
nuovi e più radicali inserimenti nei luoghi di grande povertà, a porre germi di
una società nuova, sobria, solidale e fraterna, che sia segno evangelico
alternativo alla logica dell’attuale sistema economico mondiale».
In questo obiettivo, vale la pena farlo
notare, la dimensione orizzontale e sociale, che è per tutti chiara e
perentoria, è informata da quella verticale e trascendente, dalla voce di Dio e
dalla missione che Dio, oggi come al tempo di Mosé, rivolge al suo popolo. Le
Suore della carità, in obbedienza e sintonia con Dio che vede e sente i gemiti
del suo popolo sofferente (cf. Es 3, 7-8), si propongono non genericamente di
trasformare il mondo, ma di diventare dei germi di una nuova maniera di vivere,
di una nuova società caratterizzata dai segni del regno di Dio, un popolo non
più segnato dalla sottomissione alla società dei consumi, non più diviso dalle
disuguaglianze e dall’ingiustizia, ma una famiglia di fratelli, caratterizzata
dalla sobrietà (dall’economia del sufficiente), dalla solidarietà che ci fa
coscienti di essere tutti “nella stessa barca” e quindi dalla condivisione
delle gioie e delle speranze, delle tristezze e dalle angosce dei nostri
fratelli e sorelle del mondo intero. La comunità religiosa dovrà essere una
famiglia di fratelli che partecipa in questo modo alla natura della chiesa che
è “sacramento universale di salvezza” (Lumen Gentium 48), ossia segno e
strumento della salvezza, della comunione, dell’unità, della speranza e della
pace. Le comunità di vita consacrata, impegnandosi per la missione, si
impegnano anzitutto ad offrire delle piccole realizzazioni di quello che
propongono al mondo. La testimonianza si fa missione.
PER UNA SOCIETÀ
NUOVA E ALTERNATIVA
Per essere realizzabile, l’obiettivo
globale del capitolo generale è stato poi dettagliato in cinque obiettivi
specifici. Il primo di questi mette a fuoco la missione delle comunità che si
assumono l’impegno di partecipare «con la forza evangelizzatrice ed educativa
del nostro servizio e a fianco degli impoveriti, alla crescita di una nuova
umanità secondo il progetto di Dio», attraverso la prossimità a tutti coloro
che soffrono e sono vittime dell’attuale sistema economico mondiale, attraverso
la preghiera e l’offerta delle sorelle anziane, l’inserimento nei luoghi di
maggiore povertà, la presenza accanto ai giovani, la collaborazione con i
laici, e l’impegno per il dialogo ecumenico e interreligioso.
Il secondo obiettivo si riferisce alla
vita interna delle comunità che vogliono caratterizzarsi per uno stile di vita
fraterno, sobrio e solidale, alternativo alla logica della globalizzazione in
cui prevalgono il consumo, la disuguaglianza e l’ingiustizia. La cura delle
relazioni fraterne, relazioni di pace e non di violenza, la lettura della
Parola fatta con gli occhi degli impoveriti di oggi, la compassione
sull’esempio di Cristo, la prossimità spirituale con i poveri per lasciarci
evangelizzare da essi, sono alcune piste da percorrere per realizzare
l’obiettivo.
Il terzo obiettivo tocca la formazione,
iniziale e permanente, che si propone di “rispondere alle sfide del mondo
globalizzato” partendo dall’identità carismatica dell’istituto e che mira a
inculcare la “la passione della carità”, lo “stare con” gli impoveriti, la
semplicità dello stile di vita, l’internazionalizzazione delle comunità.
Il quarto obiettivo riguarda il modo di
esercitare l’autorità in modo più partecipativo di quanto finora sia stato, per
valorizzare «sempre più la ricchezza delle diversità in alternativa alla
cultura unica della società globalizzata» che è ormai la cultura preponderante
nel mondo d’oggi, una cultura che erode e livella i valori anche più
fondamentali come quelli della persona umana, della famiglia, della religione e
della cultura locale.
E ultimo, ma certamente non per
importanza e serietà, il quinto obiettivo che dice: «Noi esprimiamo la nostra
fiducia nella Provvidenza e la solidarietà con i poveri, amministrando i beni
in maniera alternativa alla logica economica dominante fondata sul profitto».
In questo campo si suggerisce di perseguire acquisti solidali (il mercato equo
e solidale), investimenti nelle banche etiche, i cui investimenti siano
finalizzati a progetti di sviluppo nei paesi più disagiati, e il consumo
critico per evitare di consolidare, senza saperlo e volerlo, le strutture
produttive ingiuste e oppressive del sistema attuale.
NELLA CONCRETEZZA
DEL QUOTIDIANO
Nel capitolo unitario di applicazione
questi obiettivi sono stati dettagliati in un documento chiamato Linee
operative che ha come titolo: Insieme verso una società nuova sobria, fraterna
e solidale. È interessante notare come il cammino di riunificazione delle
province italiane per camminare insieme verso una sola provincia comprendente
tutte le comunità d’Italia, sia stato anch’esso progettato sull’orizzonte del mondo
globalizzato e in risposta alle sfide che gli impoveriti ci rivolgono qui nel
nostro paese.
Oltre che delineare un impegno comune
ineludibile per la missione dell’istituto, questo documento rivela sapienza e
profezia da parte delle Suore della carità di santa Giovanna Antida, che
riprendono così una preoccupazione espressa dalla loro fondatrice quasi due
secoli fa: «Abbiamo sentito la voce del nostro prossimo che si trova ovunque,
abbiamo percepito la voce dei poveri che sono le membra di Gesù Cristo e nostri
fratelli. In qualsiasi paese si trovino, debbono esserci ugualmente cari».
Sembra di sentire una risposta, anticipata di un secolo e mezzo, alla domanda
profetica di Paolo VI ai religiosi in Evangelica testificatio (n.18): “Come
troverà eco nella vostra esistenza il grido dei poveri?”.
Infine le superiore (“sorelle
serventi”) delle due province di Ferrara e di Roma si sono riunite alla fine di
agosto a Rocca di Papa per studiare insieme come realizzare nelle loro comunità
gli obiettivi del capitolo generale e le linee operative del capitolo unitario
e hanno offerto ai rispettivi consigli provinciali un piano di azione comune
articolato in due obiettivi concreti da mettere in pratica nel corso di questo
prossimo anno. Si sono impegnate anzitutto a riformulare o a rivedere il
progetto comunitario apostolico di ogni comunità alla luce delle indicazioni
sulla sobrietà, sulla fraternità e sulla solidarietà offerte dai due capitoli,
usando il momento della lettura della Parola e il consiglio di comunità. In
secondo luogo hanno deciso di assumere uno stile di vita che sia nella logica
del “semplice necessario”, alternativo al sistema consumistico che invade
tutti, realizzando un “consumo critico” che porta a boicottare i prodotti di
alcune aziende che sono compromesse con le strutture di ingiustizia della
società odierna.
La scelta degli impegni non deve trarre
in inganno. Non sono scelte secolaristiche. La loro base è e resta la carità di
Dio che le Suore della carità si propongono a partire dalla Carità di Dio,
quale è rivelata nella Parola e che si vive nell’Eucaristia. Sono quindi, nella
vita e nella storia di tutti i giorni, l’espressione di una Presenza mai
dimenticata che è la sorgente di ogni altra scelta. Avendo partecipato
all’ultima fase di questi lavori, mi pare di poter affermare che questo nuovo
modo di affrontare i problemi della vita religiosa è veramente una piccola luce
che si è accesa nel mondo della vita consacrata, ma che illumina o può
illuminare il cammino anche di altri istituti in questo tempo in cui, a causa
dei problemi numerici e logistici della vita consacrata in Europa, questi
ultimi rischiano di soffocare la ricerca e gli orizzonti della vita consacrata.
Sono impegni che aiutano a trasmettere alle nuove generazioni una vita consacrata
viva e vitale, una garanzia per il suo futuro.
Gabriele Ferrari s.x