56a SETTIMANA LITURGICA NAZIONALE

PARROCCHIA COMUNITÀ EUCARISTICA

 

La parrocchia deve diventare il volto concreto della comunità eucaristica, perché essa custodisce l’accesso per tutti alla fede. Questa universalità non va intesa solo in modo generico e quantitativo,

ma va compresa in modo qualitativo, come un essere vicino a ognuno perché ciascuno trovi il suo posto e la sua vocazione.

 

La 56a Settimana liturgica nazionale si è svolta quest’anno per la prima volta in Sardegna, ed è stata Olbia, dal 22 al 26 agosto, a offrire agli oltre ottocento presenti da tutta Italia uno scenario unico e una bella esperienza di Chiesa. Non sono mancate le novità, anche organizzative. All’impegno del Centro Azione Liturgica (C.A.L.) si sono affiancate quattro diocesi del nord Sardegna: Tempio-Ampurias, diocesi ospitante guidata dal suo amministratore don Andrea Raffatellu, Sassari e il suo pastore metropolita mons. Paolo Atzei, Ozieri con il vescovo Mons. Sebastiano Sanguinetti e la diocesi Alghero-Bosa, con il delegato inviato dal vescovo mons. Antonio Vacca. Uno sforzo organizzativo notevole che ha dimostrato quale livello di sintonia ecclesiale si può raggiungere quando energie e risorse sono indirizzate a un progetto comune e condiviso. La Sardegna, le sue bellezze naturali e la tradizionale ospitalità – significativa in questo senso la visita nelle zone interne di Ardara e Ozieri così come l’esibizione di gruppi di canto religioso – hanno inoltre avuto un ruolo non secondario nel creare ulteriori condizioni favorevoli per un’autentica esperienza di Chiesa. La preghiera ha arricchito le giornate motivando in profondità la partecipazione e offrendo ogni mattina una lectio divina proposta da don Mauro Morfino.

Il tema affrontato Parrocchia comunità eucaristica, un solo pane un solo corpo (1Cor 10,17), ha messo in evidenza alcuni contenuti, soprattutto quelli che aiutano a capire che c’è uno stretto rapporto tra l’Eucaristia e la parrocchia. Ne presentiamo i più significativi.

 

“GIORNO DEL SIGNORE”

ED EUCARISTIA

 

Introduciamo i contenuti emersi con le parole di p. Raniero Cantalamessa, della cui relazione parleremo più avanti. Ricordando infatti l’affermazione dei martiri di Abitene: Sine dominico non possumus (Acta ss. Saturnini et sociorum martyrum), p. Cantalamessa ne ha riferito la traduzione più suggestiva: “Noi non possiamo vivere senza la domenica”. In realtà, ha aggiunto, questa traduzione è inesatta. L’accento va posto infatti non tanto sulla domenica, quanto sull’Eucaristia, in quanto il sostantivo neutro dominicum indica la “celebrazione dei misteri del Signore”, “il convito del Signore”, quindi la “celebrazione domenicale dei misteri del Signore”.

La domenica come “giorno della risurrezione” è anche “giorno della comunità”, della parrocchia. Franco Giulio Brambilla, docente di dogmatica alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, nel suo intervento ha presentato i tre elementi in gioco: domenica, eucaristia e parrocchia, indicandone i rapporti e presentandoli come elementi essenziali per “dare forma alla vita parrocchiale”.

La ricchezza teologica del giorno del Signore ha il suo fondamento nella pasqua di Gesù. Esso contiene tutti gli eventi fondatori della fede cristiana: la risurrezione, le apparizioni, l’effusione dello Spirito. I testi del Nuovo Testamento, mentre da una parte manifestano un legame con il sabato ebraico, rivelano la coscienza di una comunità cristiana sempre più consapevole che il “giorno del Signore” è il giorno della memoria della risurrezione e del dono dello Spirito, giorno dell’assemblea dei credenti, riuniti attorno alla parola, all’Eucaristia e alla carità.

Qual è il rapporto tra giorno del Signore ed Eucaristia? C’è un rapporto diretto, prosegue Brambilla. Nella domenica la comunità cristiana è generata dall’alto, nasce dell’Eucaristia e la Chiesa sente “che il dono del corpo di Cristo fa della comunità il suo corpo, perché sia spezzato per tutti e condiviso con ogni uomo”. L’Eucaristia, aggiunge Brambilla, è chiamata a favorire l’atto di fede. Tutto (ritmo, momenti, presenze, gesti e parole) possono contribuire a costruire la fede come atto e la fede negli atti. Al contrario, quando predominano i difetti della celebrazione la predica diventa istruzione, le preghiere e i canti sono affrettati o ingombranti, le persone non rispettano il senso della celebrazione. L’Eucaristia è chiamata invece a introdurre i singoli e la comunità nel mistero stesso di Dio, ripetuto e mai vano incontro con il roveto ardente dell’esistenza, motore segreto che genera gratuità e creatività in chi si lascia animare “dal dono che viene dall’alto, dal pane che viene dal cielo”. Per la parrocchia, prosegue Brambilla, “la domenica non è solo un intervallo alla fatica, ma è il riposo che apre all’incontro, fa riscoprire l’altro, dedica tempo per il fratello, entra nello spazio della gratuità e apre alla speranza”.

Certo, non da oggi ci accorgiamo dei limiti sociali che relativizzano la domenica; essa è sempre più vissuta come tempo di dispersione e frammentazione, tempo di una settimana che tende a dilatarsi sempre più. La famiglia, in particolare, vive la domenica più come tempo “libero” che come un tempo della “festa”. Ma proprio per questo è necessario celebrare la domenica come il “tempo della festa”, facendo capire che lo stesso desiderio di divertimento e di gioia è in realtà desiderio di futuro e di speranza. “L’uomo e la donna sono più del loro lavoro: essi sono fatti per la comunione e per l’incontro”. La parrocchia deve diventare per Brambilla il volto concreto della comunità eucaristica, perché essa “custodisce l’accesso per tutti alla fede, ma questa universalità non va intesa solo in modo generico e quantitativo, ma va compresa in modo qualitativo, come un essere vicino a ognuno perché ciascuno trovi il suo posto e la sua vocazione”.

 

UN AUTENTICO

CULTO EUCARISTICO

 

L’anno dedicato all’Eucaristia e l’attenzione all’adorazione eucaristica rientrano tra i temi che sono stati affrontati in diversi altri interventi, con riferimento – tra l’altro – anche a una necessaria pedagogia eucaristica e al rilievo che assume nelle nostre comunità la pietà popolare. Ci piace ricordare in primo luogo, affrontandone alcuni aspetti, quello che mons. Luca Brandolini, presidente del C.A.L, ha più volte sottolineato: non c’è Eucaristia e, quindi, comunità, senza lo stupore e la gioia. Stupore che fa inginocchiare il credente di fronte a un tabernacolo e lo mette in adorazione, gioia che porta a prendere la forma del pane eucaristico, imparando così a offrire la propria vita. Per don Fabio Trudu, docente di liturgia alla Facoltà teologica della Sardegna, “sostare” e “vedere” sono i due aspetti antropologici più significativi per esaltare l’importanza del culto eucaristico. La sosta, che pur implica una staticità, valorizza la dimensione della comunione e del dialogo orante; il “vedere”, coinvolge la sensibilità ed esprime il bisogno di rendere visibile Dio, l’assolutamente invisibile: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,8-9). Certo, ricorda Trudu, la storia della devozione eucaristica non è esente da limiti e sbilanciamenti, soprattutto per il rapporto con la celebrazione eucaristica. Basti pensare all’adorazione eucaristica fuori della messa, che ha rischiato di isolare un aspetto della celebrazione dal suo contesto; oppure l’accento posto esclusivamente sul corpo sacramentale del Signore, identificato nell’ostia, dimenticando il corpo ecclesiale che invece era particolarmente marcato nel primo millennio cristiano. Oggi, grazie al magistero, afferma Trudu, siamo certi che “la totalità del mistero di Cristo comprende anche il mistero della Chiesa, così la presenza di Gesù nell’Eucaristia si allarga per abbracciare anche il suo corpo mistico”. Questa dimensione ecclesiale che “nella mentalità comune non è ancora abbastanza valorizzata” aiuta a rimarcare che la comunione sacramentale ha come finalità l’edificazione della Chiesa.

Quali caratteristiche deve avere oggi la liturgia? Se l’è chiesto don Silvano Sirboni, parroco e liturgista di Alessandria. “Vi sono alcuni segni – ha risposto – che denotano il rischio di una recezione della riforma liturgica più formale che sostanziale, con il pericolo tutt’altro che ipotetico di riesumare un vecchio ritualismo e una cerimonialità tanto affascinante quanto lontano dalla serietà, dalla semplicità e dalla bellezza del culto cristiano in spirito e verità”. Su questo punto anche mons. Brandolini ha parlato del pericolo di un “nuovo formalismo”, soprattutto nei giovani preti, e di un “ricorso ingenuo alla spettacolarizzazione e all’esteriorità”. Per Sirboni, una liturgia seria non sopporta l’improvvisazione, rispetta la verità ed è essenziale e semplice come il Vangelo.

Qual è il rapporto tra la liturgia e la pietà popolare? Ne ha parlato in uno dei gruppi tematici don Raimondo Satta, che dirige l’ufficio liturgico della diocesi di Tempio-Ampurias. Non mancano a suo parere pregiudizi e reazioni critiche verso la pietà popolare, così come quest’ultima si è spesso arroccata sulla difensiva di fronte alla teologia liturgica. Partendo dall’affermazione del concilio Vaticano II, che invita sapientemente ad accogliere la pietà popolare in quanto “la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia” (Sacrosanctum concilium, 12), don Satta ha messo in evidenza che la ricchezza di umanità del rituale popolare va valorizzata come spazio che apre la dimensione umana al trascendente. Siccome la religiosità popolare esprime la vita reale dell’uomo e porta con sé anche tutti i segni e i gesti presenti nella natura, essa può essere “una pietra sulla quale edificare una liturgia più vicina all’uomo di oggi, voce profetica che indica la strada da intraprendere per avvicinare l’uomo a Dio, rituale ricco di umanità per risvegliare l’uomo moderno dal torpore tecnico nel quale è caduto e dal quale anela risorgere, per recuperare l’homo ludens e festivus”.

Interessante e suggestiva la tesi della pedagogista Maria Piacentini su come educare oggi alla liturgia, soprattutto eucaristica. Bisogna iniziare nell’età prescolare. Non tanto una messa “per i fanciulli” ma “con i fanciulli”. “La pedagogia ha ormai mostrato come il nostro futuro si giochi nei primissimi anni di vita e come, fra le varie forme di intelligenza, vi sia anche un’intelligenza spirituale”. Servono genitori e catechisti motivati e formati. “Ogni comunità deve trovare le sue vie per far con-celebrare i bambini nella comunità parrocchiale; penso ad esempio alle omelie separate, quando dopo il Vangelo vengono portati in processione in un altro locale per spiegare loro le parole difficili, oppure al gesto di far baciare il Vangelo dopo la proclamazione”.

 

PERSONE RIGENERATE

DALLA RISURREZIONE

 

Le parole conclusive le affidiamo ancora a p. Raniero Cantalamessa. Nella sua relazione: La celebrazione eucaristica: un progetto di missione, ha ripercorso il significato di una antichissima formula, rimessa solennemente in uso dalla riforma liturgica: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Sottolineiamo, in particolare, quella parte che ha spiegato: “proclamiamo la tua risurrezione”. Dopo aver messo in evidenza che, in riferimento alla domenica, siamo tornati oggi a essere più vicini alla situazione dei primi secoli che non a quelli del medioevo – non essendoci più una legislazione civile che la “protegge” facendone un giorno speciale – p. Raniero ha chiesto alla comunità ecclesiale la riscoperta “del carattere pasquale e misterico della domenica”, mettendo in pratica la visione espressa nella lettera apostolica di Giovanni Paolo II Dies Domini del 1998. E ha detto, tra l’altro: “Se ogni messa annuncia, per sé e in primo luogo, la morte del Signore (1Cor 1,26), per il giorno della settimana in cui si celebra e il clima che vi regna la messa domenicale deve annunciare in primo luogo la sua risurrezione”. Bisogna mettere l’intera celebrazione domenicale sotto il segno pasquale della risurrezione. Questo, ci è sembrato di capire, facendo molto più di quello che si fa e si dice, perché “nessun fedele dovrebbe tornare a casa dalla messa domenicale senza sentirsi, in qualche misura, anche lui rigenerato a una speranza viva dalla risurrezione di Gesù dai morti” (1Pt 1,3).

 

Antonello Mura