TESTIMONIANZA DALL’ALBANIA
QUANDO L’AMORE SFIDA LA PAURA
Siamo dieci suore stimmatine Povere
Figlie delle Sacre Stigmate di Scutari tuttora viventi che hanno vissuto sotto
il regime comunista.
Nel 1946 hanno chiuso la nostra chiesa
a Scutari e noi siamo state cacciate dal nostro convento e siamo ritornate
nelle nostre famiglie. Partecipavamo alla santa messa andando qualche volta in
cattedrale a Scutari, ma più spesso dai frati nella chiesa di S. Francesco a
Gjuhadol. In un primo periodo i sacerdoti e i frati, che vivevano nelle loro
famiglie, con molta cautela, se richiesti, si recavano nelle case per portare
il viatico ai malati più gravi. Ma negli anni seguenti la situazione peggiorò:
i sacerdoti e i frati furono calunniati, denunciati, arrestati e condannati
alcuni ai lavori forzati, altri a dure prigioni, altri ancora addirittura messi
a morte.
In mezzo a questa persecuzione, noi
suore stimmatine, molto addolorate e preoccupate, pregavamo, soffrivamo per la
sorte dei nostri sacerdoti e ci adoperavamo, con prudenza, a mantenere viva la
fede presso il nostro popolo.
Visitavamo i sacerdoti dove erano
costretti a stare, nelle prigioni, nelle loro famiglie, perché questo non ce lo
negavano. Approfittando di queste visite portavamo delle ostie da consacrare. Essi
ce le riconsegnavano affinché le conservassimo in tutta segretezza, le
portassimo ad altri di fede sicura o le dessimo a qualche malato grave. Così le
suore stimmatine hanno iniziato ad avere il privilegio di avere il Santissimo
Sacramento in casa. Riponevamo le ostie consacrate in piccole scatole tra i
teli di lino nei cassetti della biancheria, senza che nessuno sapesse nulla,
nemmeno i familiari.
Le giovani aspiranti, che crescevano in
numero e in età, erano le più impegnate e le più ardite: si erano procurate
l’apparato apposito per fare le ostie e di notte lavoravano per farle. Di
giorno poi le portavano ai frati, alle suore disperse e a laiche sicure. Tra le
aspiranti c’era sr. Giorgina Burgaleci, che aveva avuto la macchinetta per fare
ostie dai frati di Sant’Antonio a Tirana, sr Maria Kaleta, che l’aveva avuta
dallo zio sacerdote, sr. Adelaide e diverse altre.
Non era facile trovare la farina per le
ostie. Questa la procuravano i frati come p. Marjan e Dom Zef Bici. Per
consacrare le ostie si sono adoperati molto p. Viktor Volaj,
i due fratelli francescani p. Shtjefni
e p. Konstantin Pistulle, dom Injac Demaj, i quali o erano in carcere o in
famiglia.
Sr. Giorgina e sr. Adelaide più volte
sono arrivate fino a Vlora per portare le ostie alle suore Serve di Maria. Sr.
Giorgina e sr. Maria andavano nella famiglie per dare il viatico ai malati, o
alle suore anziane, nella città di Tirana o nella città di Scutari. Dopo il
1967 la persecuzione si fece più dura e capitava che alcuni sacerdoti, usciti
dopo anni di dura prigione non venivano più accolti dai loro parenti, perché
era troppo compromettente. Per questo due suore stimmatine sorelle, sr.
Michelina e sr. Marta Suma, hanno accolto in casa loro per 15 anni, in gran
segreto, il sacerdote dom Gilaj. Lo posso attestare io stessa, sr. Pina, perché
mi andavo a confessare da lui in casa delle due sorelle e mi dava la comunione.
Sr. Giuseppina Nikaj racconta che in
Troshan di Lezha si stabilì il gesuita p. Mhil Troshani presso i suoi parenti
dopo lunghi anni di prigione; e lì celebrava la santa messa di nascosto e ci
dava particole consacrate da distribuire a cristiani malati.
Ora sentiamo direttamente dalla voce e
dalle parole di sr. Maria Kaleta la sua testimonianza di come ha vissuto il suo
rapporto con l’Eucaristia in quel periodo.
Nel 1946 io ero ancora una giovane
aspirante delle stimmatine e, insieme alle altre suore e aspiranti, fui mandata
a casa. Me ne tornai in famiglia e trovai molti che mi dicevano di non pensare
più a essere suora. Anche mio zio sacerdote un giorno mi disse: «Tu sei ancora
troppo giovane e qui non si vede quanto durerà questa dittatura, è meglio che
tu ti sposi e ti faccia una famiglia!». Io invece mi sentivo proprio chiamata a
consacrarmi al Signore e volevo essere una suora stimmatina. Fu così che restai
aspirante fino al 1990, quando ritornarono le suore a Scutari e potei
riprendere la vita comunitaria in convento.
Ma anche se solo aspirante, potei fare
tante cose per tener viva la fede tra la mia gente. Vivevo a Pistull e nel villaggio
godevo della stima e del rispetto di molti.
Da mio zio sacerdote che era parroco a
Pistuil, come ha detto Sr. Pina, avevo ereditato la macchinetta per fare le
ostie. Mi procuravo la farina e di notte facevo le ostie. Di giorno cercavo il
modo di farle consacrare, andando a visitare qualche sacerdote o frate in tutta
segretezza.
Custodivo il Santissimo Sacramento in
scatole modeste, nascoste negli armadi della biancheria e nessuno dei familiari
era al corrente della presenza in casa di Gesù Eucaristia.
Questa presenza divina in casa era una
grande forza per la mia fede personale, per la mia preghiera quotidiana, ma
anche e soprattutto per un servizio ai malati e agli altri.
Portavo l’Eucaristia sempre e solo
dietro richiesta: mi chiamavano per malati gravi, nelle case e negli ospedali
sia a Scutari sia a Tirana. Veramente il popolo era affamato di Dio e io ero
cosciente che il mio servizio nascosto e segreto quietava la loro fame e
nutriva la loro fede. Il mio primo e ultimo pensiero del giorno era per Gesù
Eucaristia, tenuto sempre vicino: lo sentivo come una grande responsabilità.
Dentro il villaggio mi potevo muovere
senza essere fermata dai poliziotti. Ma quando mi allontanavo da Pistull per
andare, per esempio, a Scutari, allora capitava spesso che i poliziotti mi
fermassero. Avevo sempre una grande paura quando avevo con me il Santissimo e
dovevo passare vicino a un controllo della polizia. Di sicuro, se mi avessero
scoperto, ci sarebbe stata una profanazione della presenza reale di Gesù, ma anche
non so quanti anni di prigione per me.
Una volta mi trovarono un rosario in
tasca e per questo si insospettirono e dopo di allora molte volte mi fermarono.
Soprattutto volevano sapere se portavo ostie con me. Io negavo sempre
risolutamente. Era vero: io non portavo ostie per i poliziotti e per loro non
le avevo di certo. Il più delle volte bastava la mia parola per convincerli.
Una volta vollero perquisirmi nonostante che io avessi detto che non ne avevo,
e davvero quella volta l’ostia non l’avevo perché l’avevo appena data per la
comunione di un malato e quindi non la trovarono. In questo modo non ci fu mai
nessuna profanazione. Il Signore ci ha dato tanto coraggio, non solo a me, ma
anche alle mie consorelle.
Dopo il 1967, quando chiusero
sistematicamente tutte le chiese, noi sentivamo che dovevamo occuparci ancora
di più di tenere l’Eucaristia e metterla a disposizione dei malati e dei
moribondi.
Da ultimo desidero ricordare il mio zio
materno, dom Ndoc Suma, il quale mi diede sempre tanto coraggio. Quando fu
imprigionato mi lasciò anche l’olio santo perché lo portassi insieme con le
ostie consacrate. Un giorno lo portai a un sacerdote moribondo in carcere.
Mio zio ha fatto tanti anni di dura
prigione. Tanto è stata dura per lui quella prova che quando usci e tornò a
casa, visse solo tre anni e poi morì.
Porto questa testimonianza
sull’Eucaristia, per dare gloria a Dio e per dire a tutti che la forza di
resistere e di perseverare nella vocazione in tanti anni di prova l’abbiamo
avuta proprio per la presenza reale di Gesù, che abbiamo avuto la grazia di
custodire in casa, come l’Ospite più prezioso e più nobile.
Desidero terminare questa testimonianza
con una preghiera: «Signore della Vita e del Bene, quanto ti abbiamo amato,
desiderato, adorato nel segreto delle nostre case e dei nostri cuori. Ti
ringraziamo per averci concesso di vivere questa tragica avventura avendoti
nelle nostre mani, al posto dei nostri sacerdoti torturati o condannati a
morte.
Ti diamo lode perché come stimmatine ti
abbiamo custodito nelle nostre povere case, tra bianchi lini nascosti; abbiamo
sfidato la polizia per portarti ai malati, alle sorelle in attesa di te; ti
abbiamo portato, invisibile, nella povertà e nel dolore degli ospedali, nel
buio delle carceri, affrontando grandi rischi. Grazie, Signore Gesù! Resta
sempre con noi, Pane di vita eterna!».