A COLLOQUIO CON SR.
ANTONIETTA POTENTE
UNO SPAZIO IN MEZZO AGLI ALTRI
La riflessione della teologa domenicana Antonietta Potente presenta una VR
che sa calarsi nella storia senza privilegi e trova le risorse di un autentico
rinnovamento attraverso una fede mistica, capace cioè di appoggiarsi
semplicemente alla profondità della vita.
Nell’accogliente Oasi Bartolomea in Lamezia Terme delle Suore di Carità, più conosciute come
suore di “Maria bambina”, dentro il contesto
socio-culturale del profondo sud d’Italia (grembo profetico e pedagogico agli
oltre 25 anni di presenza dell’istituto), in collaborazione con il Centro
interconfessionale per la pace (Cipax), la teologa
domenicana sr. Antonietta Potente ha offerto a religiose e laici quattro giorni
(21-24/7/05) di scavo sulla fede intesa come il semplice appoggiarsi alla
profondità della vita. Si ritrova in questo tema una precisa scelta della VR
femminile di guardare la storia dal basso, con una presenza tra la gente e la
disponibilità anche all’irrilevanza per testimoniare il Regno in ambienti
assetati di giustizia e verità.
La chiave di lettura proposta dalla
nostra teologa sta nella cosa più semplice che possiamo fare: accogliere la
chiamata a tornare a una vita più unitaria, meno dicotomica, meno dualista.
Perciò riscoprire oggi un senso mistico della vita è diritto di tutti, donne e
uomini, giovani, credenti e non credenti. Perché il diritto alla mistica è il
diritto a fare esperienza col proprio corpo del dono della vita. Risvegliarci
per ritrovare il senso mistico della vita è ritrovare la vita quotidiana, i
bisogni più veri della persona umana in relazione con le diverse alterità. In questo momento c’è bisogno infatti di gente
che con molta pazienza continui a costruire relazioni nuove e nonviolente. E le
persone nonviolente sono persone comunitarie.
Nel dialogo che abbiamo avuto con lei,
sr. Antonietta ha dichiarato il debito di riconoscenza verso il suo maestro p.
Dalmazio Mongillo recentemente scomparso e verso
l’esperienza attuale di totale condivisione in America latina.
ABITARE
LO SPAZIO VITALE
In un recente libro-intervista (“Cerco
il tuo volto”, EDB) il tuo confratello domenicano p. Edward
Schillebeeckx dice che la storia è lo spazio vitale
di Dio. Come abitare la nostra storia?
Senza la storia non ci siamo né noi né
Dio. Non c’è una risposta univoca, c’è uno stile da imparare per abitare lo
spazio. Bisogna mantenere vivo il contesto ampio della nostra storia specifica
e la fede serve proprio per allargare la nostra visione. Quando ci confrontiamo
con quello che non sappiamo della storia, che è esattamente il mistero,
impariamo a vivere il quotidiano con i volti e i fatti specifici e, nel
contempo, a sintonizzarsi con quel che non conosciamo. Uno degli errori della
storia pensata come luogo di missione è quello che ci prepariamo a portare
qualcosa che gli altri non sanno, e non partiamo dalla nostalgia dell’incontro
che forse ci porta a scoprire un volto di Dio differente. Io ho l’idea di
missione come ricostruzione delle relazioni. Con un atteggiamento più mistico che
ecclesiologico: come l’amante delle sapienze (il
filosofo), mi manca sempre qualcosa e devo andarlo a cercare. Proprio Schillebeeckx ha detto che il problema non è che fuori
della Chiesa non c’è salvezza, ma che fuori del mondo non c’è salvezza!
Perché affermi che occorre ormai
passare dalla vita religiosa alla religiosità della vita?
Quando sono nate queste intuizioni ero
in situazione di ricerca e di spiazzamento rispetto a
questa cristianità che significava già un privilegio. Lasciare il centro del prestigio,
come i primi consacrate/i, è un cammino di ricerca che fa riscoprire
l’essenzialità della vita e permette il risveglio di una sensibilità. Noi quasi
sempre abbiamo riletto la VR come vocazione, come qualcosa che si aggiunge alla
vita, io invece credo che sia il contrario: la nostra gioia è scoprire quello
che c’è intorno, imparare a dare il nome alle realtà del mondo. Il concetto di
VR mi suona un po’ come la croce piantata dai conquistatori approdati sul
continente latinoamericano, al posto dei luoghi simbolo della religiosità
indigena. Così sembra che la vita è diventata religiosa perché abbiamo messo
una croce! C’è da riscoprire invece come questa vita sia significativa di suo:
tutta la VR ha questa possibilità di riconciliarsi con la vita, invece di
scappare.
Come reagiscono le consacrate che
incontri di fronte a questa tua ri-lettura?
Mi sembra che le donne siano in
particolare sintonia. Certo c’è il problema di trovare poi le forme adeguate
perché questa religiosità della vita si faccia spazio attraverso le strutture e
le diverse tradizioni delle congregazioni. Ma io sento che c’è sintonia, anche
con i laici. Si tratta infatti di una chiave di lettura utile per tutti.
Rispetto all’America latina, in Europa sento che nella VR c’è molto la paura di
“perdere lo specifico”. Ora lo specifico è il segreto di te che conosce solo
Dio, il nome nuovo scritto sulla pietruzza: non credo dunque che il problema
consista nel salvare qualcosa di nostro, ma di imparare a vivere con altri. Chi
ci può togliere lo specifico? Queste sono paure istituzionali, come se
l’istituzione ci garantisse l’identità! L’identità invece è realtà complessa
che cresce se si alimenta con il contributo di tutti.
Come collaboratrice della Conferenza
dei religiosi latinoamericani (Clar) come percepisci
lo sviluppo della riflessione sul tema dell’identità e dell’inculturazione
della fede?
Ci sono due prospettive circa il tema
della identità culturale o religiosa. Una è quella che usa di più il termine
dell’inculturazione: una visione postconciliare che
lascia aperta la possibilità che ogni cultura possa interpretare il Vangelo. Si
è trattato di un passo importante, ma solo di un passo. Credo che il nuovo
passaggio sia oggi quello dell’interculturalità, più
dinamico perché comporta il continuo scambio delle culture. Vigilare
continuamente su questo interscambio significa non solo aspettare che l’altro
ritraduca il Vangelo nella sua cultura, ma che ognuno scopra il mistero che non
conosce ancora. Mi sembra che così si sia più in sintonia con le identità reali
delle persone. Occorre essere più umili per non trasferire impostazioni
occidentali in altri contesti.
Come partecipante al recente Congresso
mondiale della VC hai visto emergere queste istanze?
Forse ero distratta, ma non ho percepito
questo né nello Strumento di lavoro né durante i lavori. È stato un congresso
molto teorico, con l’esposizione molto occidentale di bei concetti. La contestualizzazione della VR è mancata: anche gli europei
non l’hanno fatto! Forse qualcosa è emerso nei lavori di gruppo, ma si
percepisce (anche nei contributi che stanno uscendo su come continuare i frutti
dell’incontro) come non ci sia stata attenzione alla contestualizzazione.
È emersa una VR preoccupata di se stessa. Anche noi latinoamericani siamo stati
contagiati dal clima generarle: forse lo stesso tema Passione per Cristo,
passione per l’uomo ha contribuito a disperdersi nei concetti più che nelle
esperienze. E poi è mancata proprio la passione! Come se il gridare la
sofferenza della nostra vita fosse in fondo uno scandalo nella Chiesa. Perché
parlare sempre delle passioni degli altri crocifissi della storia, come se noi
fossimo sempre gli spettatori puliti? Invece abbiamo grandi passioni in cui
siamo coinvolti. Eppure non ci siamo chiesti cosa ognuno di noi soffrisse nel
proprio contesto.
SVILUPPARE
IL SENSO MISTICO
Il prossimo anno, a Verona, la Chiesa
italiana si confronterà sul cammino e le prospettive del laicato. Come
religiosa che vive da sette anni con una famiglia, quali riflessioni stai elaborando
circa la relazione VR e laici?
Ci viene richiesto un salto di qualità,
una conversione, Fino ad ora il problema è di lavoro o di missione con i laici,
non di vita coi laici! Fino a quando la VR non accetta di essere in mezzo agli
altri, i laici saranno sempre qualcuno da utilizzare per portare avanti le
strutture, visto il calo delle vocazioni. Bisogna scendere dai gradini
rappresentati dai ruoli, appassionandosi alle persone e alle situazioni. Ma la
Chiesa ha davvero voglia di scoprire il volto laico di Dio?... Se non avessi
trovato questo spazio di famiglia (una madre anziana con cinque figli, alcuni
sposati con prole) probabilmente sarei tornata in Italia, perché per me la
missione non è vivere in parallelo con la realtà. Questa esperienza è stato un
parto anche per la comunità domenicana, che comunque mi ha dato grande fiducia.
Non è certo un modello da copiare, ma una possibilità che ogni congregazione
dovrebbe darsi. In questo senso mi aiuta la riflessione continua con le mie
consorelle e la mentalità della mia famiglia, aperta all’ospitalità di persone
che condividono momenti di ritiro con me.
In questi giorni stai parlando di fede
“mistica”. Come si inserisce nella tua visione di vita e cosa intendi
esattamente?
Intendo l’allargarsi dell’esperienza di
fede, che non dipende dalle certezze ma dall’amore. Si tratta di sentire la
vita, di incontrare il mistero. Non faccio distinzione tra preghiera, studio e
vita quotidiana con una famiglia così diversa dalle mie origini medio-borghesi. La spiritualità domenicana mi ha aiutata in
questa apertura. Sono certa che senza la mistica non c’è azione vera: essa è
l’anima della vita, il senso vero delle relazioni, della ricerca di giustizia e
anche della riforma della Chiesa. Con l’atteggiamento mistico riscopri la tua
identità e responsabilità. Quando siamo in tempi di grandi riforme, quando
vogliamo rinascere, dobbiamo sempre chiederci chi siamo e come partecipiamo
alla storia in atto. Qui c’è l’atteggiamento di passione profonda per la vita.
Nella mistica c’è la relazione di parità tra donne e uomini; la dottrina e i
costumi culturali invece ci tengono separati. Sono temi delicati, ma quando
l’uomo e la donna vivono a partire da questa prospettiva di profondità della
vita, non si fanno guerra ma entrano in sintonia profonda. La mistica allora
diventa una chiave importante per la missione e il dialogo interreligioso. Qui
in occidente ho sempre un po’ la paura dell’esoterismo
che è un modo di sfuggire alla quotidianità.
Nel libro del Qoelet
si parla di vanità, che tu proponi di tradurre anche come “porcheria o
schifezza”: l’invito è a non schifarci della vita. Ma come fai a vivere il
sogno di Dio nel mercato?
Il mercato è sempre esistitito:
si tratta di una falsa relazione con le persone e le cose che diventano puri
oggetti. Tutto diventa strumento di sopravvivenza personale. Non dobbiamo
scandalizzarci ma resistere. La fede infatti la vivo lì, non uscendo dal
mercato. Nessuno ha una soluzione per uscire dal mercato, ma questo non ha il
potere di toglierci la possibilità di pensare in altro modo con una fede mistico-politica. Sono consapevole che il mio linguaggio o
la mia prospettiva sono positivi, un po’ new age,
però si tratta di affrontare la vita quotidiana. Con il mercato ci vivi, magari
molti se lo devono inventare per vivere! La mia proposta è quella di non avere
paura, resistendo non da profeti di sventura ma nell’attesa di generare sogni.
Per potere convertire il mercato nello shalom biblico
bisogna starci dentro. Vorrei solo invitare a non pensare che le realtà si
risolvono per esclusione, per penitenza o per sofferenza. Il concetto
pericoloso è l’accumulazione, che va contro la giustizia. Negli ambienti poveri
si impara proprio a non accumulare. Il contrario dei nostri ambienti religiosi,
dove il voto di povertà, spesso per taccagneria, è diventato accumulazione. I
laici infatti sanno tutto di noi, tranne che gli aspetti economici! Il non
consumo è così diventato accumulazione e ricchezza. Il segreto forse sta nel
far circolare i beni e le cose. In questo modo si riscopre la povertà insieme
alla castità, che va vissuta come non-violenza reciproca. Occorre sorvegliare
che la VR non diventi solo una forma di compensazione.
Mario Chiaro
1 Dopo aver conseguito il dottorato, ha
insegnato teologia morale a Roma e Firenze; dal 1994 vive in Bolivia in
comunione con famiglie indigene e insegna nell’Università cattolica di Cochabamba e nell’Istituto superiore di teologia andina di La Paz. Ha pubblicato
presso il Cipax di Roma: La resistenza dei deboli.
Una lettura del Cantico dei Cantici (1995); Un tessuto di mille colori.
Differenze di genere, di cultura e di religione (1999); Sapienza quotidiana.
Una lettura del Qoèlet dal sud del mondo (2000); Gli
amici e le amiche di Dio: Benedetto, Francesco, Domenico e le donne che hanno
condiviso la loro ispirazione (2000); La religiosità della vita. Una proposta
alternativa per abitare la storia (2004); Molta gioia. La spiritualità
domenicana come stile di vita quotidiana (2005).