SALESIANI IN AFRICA E MADAGASCAR
25 ANNI DI CAMMINI FORMATIVI
Dall’inizio del “Progetto Africa” fino ad oggi, si può scorgere una rapida
crescita delle vocazioni e delle case di formazione. Più lento, anche se
costante, è stato il cammino per costituire centri salesiani di studio.
L’aspetto più urgente è quello di una formazione solida e inculturata.
La cura delle vocazioni in Africa e
Madagascar è un’esperienza nuova per i salesiani, che sono venuti in questo
continente come missionari. Essa ha richiesto e anche oggi richiede delle
attenzioni particolari. In generale in molti paesi il cristianesimo è di
origine recente e di conseguenza i candidati alla vita salesiana hanno bisogno
di un forte radicamento nella fede. Le opportunità per una buona istruzione
scolastica secondaria sono limitate e il livello degli studi non è sempre
soddisfacente; sorge quindi la necessità di portare i candidati salesiani a un
buon livello culturale. E insieme a questo, i candidati debbono avere una
sufficiente abilità nella lingua internazionale in uso nelle case di formazione
e nei centri di studio: inglese o francese o portoghese.
Capita pure che molti giovani comincino
la loro educazione scolastica in età avanzata. Siccome in molti paesi le scuole
accademiche sono poche e anche i salesiani non hanno molte scuole, il loro
primo contatto con i salesiani avviene quando frequentano le nostre scuole
professionali, che per lo più sono rivolte a giovani in età avanzata. Ciò
significa che per coloro che scelgono di abbracciare la vita salesiana, il prenoviziato
avviene alquanto tardi, cioè quando i giovani hanno tra i 23 e 28 anni. Lo
stesso vale per quei giovani che provengono dai nostri ambienti oratoriani e
parrocchiali. È da notare che uno degli orientamenti della congregazione per
questa regione, indicato durante la Visita di insieme dell’anno 2000, proponeva
che l’età non avrebbe dovuto oltrepassare i 25 anni.
Insieme a questi fattori, in questi 25
anni si è cercato di fare un’attenta e accurata opera di discernimento dei
candidati in riferimento alle loro motivazioni e alla loro comprensione della
vita consacrata, particolarmente in merito agli impegni della castità e della
povertà. Paragonando la situazione di 15 anni fa con quella di adesso, si nota
come è diminuito considerevolmente il numero di coloro che lasciano la
congregazione durante il noviziato; nel passato tali uscite hanno raggiunto più
o meno il 50%. Si nota poi la necessità di maggior contatto con la famiglia del
candidato, per conoscere meglio il suo retroterra educativo e per fare un
cammino vocazionale anche con la famiglia.
Già un buon segno dell’impegno
formativo delle circoscrizioni africane e malgascia è il fatto che ormai molte
di loro hanno l’aspirantato. Più che una struttura edilizia, è una comunità
vivace e aperta. In essa si affrontano temi di crescita umana come la gestione
del proprio mondo interiore, l’affettività e la formazione della coscienza; si
approfondisce la propria fede e si vive una forte vita cristiana; si acquista
una solida cultura intellettuale e linguistica; si fa esperienza della vita e
della missione salesiana; con l’aiuto di un buon accompagnamento personale si
compie un discernimento serio sulla vocazione. Per abbassare l’età dei
candidati sarà necessario trovare nuove soluzioni che congiungano l’accompagnamento
vocazionale con la scuola secondaria.
L’altro sviluppo molto positivo è stata
la crescita dell’esperienza del prenoviziato, come prima vera fase formativa.
Oggi ogni circoscrizione in Africa e Madagascar ha il proprio prenoviziato. Da
un’esperienza di alcuni anni fa, in cui i prenovizi erano dispersi in diverse
comunità, oggi si è arrivato a una comunità di prenoviziato con un équipe di
formatori, che offre la direzione spirituale e un buon programma della durata
di un anno, incentrato sulla formazione umana e cristiana, e non tanto sugli
studi accademici. Mancano però ancora delle équipe di formatori ben preparati
per questo compito molto delicato e importantissimo; questa è una delle sfide
più urgenti per i prossimi anni.
FORMAZIONE
INIZIALE SOLIDA
La rapida proliferazione, se così si
può dire, delle case di formazione in Africa e Madagascar, che da 2 è passata a
36 in soli 25 anni, indica da una parte lo sforzo immenso e lodevole che le
ispettorie hanno fatto per realizzare le comunità formatrici necessarie per
accogliere le vocazioni mandate dal Signore; ma dall’altra parte fa risaltare
il punto di maggior debolezza della formazione in questa regione, che è la
scarsità e la preparazione delle équipe dei formatori.
Con il crescere delle vocazioni, molte
Ispettorie hanno dovuto provvedere in rapida successione nello spazio di soli
tre anni al prenoviziato, noviziato e postnoviziato. Ovviamente non è stato
possibile provvedere il personale formativo qualificato e in numero sufficiente
per tutte queste case. Oggi si corre il rischio di compiere una formazione poco
personalizzata, con detrimento della qualità stessa della formazione. Già nella
Visita di insieme della regione Africa e Madagascar del 2000, il rettor
maggiore don Vecchi osservava che «in parecchie circoscrizioni si stanno
costruendo le strutture materiali per la formazione, perché attendiamo un
numero crescente di giovani confratelli». E aggiungeva: «L’accento prioritario
però va messo sulla preparazione di équipe di formatori e di docenti. La
preoccupazione e gli investimenti per la preparazione delle persone deve
precedere, accompagnare e seguire lo sforzo di costruire le relative sedi».
C’è bisogno dunque di consolidare i
formatori nelle comunità formatrici. Siccome le risorse umane sono limitate in
quasi tutte le ispettorie, è urgente collaborare insieme ad altre Ispettorie,
almeno fino a che non si abbia la dovuta consistenza qualitativa e
quantitativa, specialmente dei formatori. Considerando che già nel 2000 più di
40% dei salesiani in Africa e Madagascar erano indigeni, occorre dare
attenzione particolare, come già si sta facendo, alla preparazione degli
indigeni a essere formatori, perché questo è uno dei fattori che maggiormente
favorisce l’inculturazione della formazione.
Le esperienze, fatte nel passato, di
mandare tutti i salesiani formandi in Europa e America non sono sempre
riuscite; è bene che la prima formazione si faccia in Africa e Madagascar,
almeno fino al postnoviziato e tirocinio, e dove è possibile, nella propria ispettoria,
perché si faccia una esperienza inculturata. Gioverebbe però che la fase della
formazione specifica sia fatta in un ambiente interculturale con altre
ispettorie o in comunità formatrici mondiali, per offrire ai giovani salesiani,
che ormai si suppongono maturi, la possibilità di una formazione più aperta.
Allo stesso tempo è necessario
assicurare una formazione intellettuale robusta, con programmi di studio
solidi, con buona incidenza pastorale, con un’impostazione carismatica, fatta
di sensibilità salesiana nel modo di affrontare le diverse materie, di scelta
delle discipline che qualificano la nostra pastorale, di studio delle
discipline specificamente salesiane. Per questo si deve privilegiare la scelta
di centri salesiani di studio, sia ispettoriali che interispettoriali (cf. FSDB
145, 168). Di fronte alla debolezza delle équipe di formatori e alla mancanza
di docenti, la congregazione, soprattutto per l’Africa e Madagascar, favorisce
la collaborazione interispettoriale.
Naturalmente ove ci sono comunità
formatrici e centri di studio interispettoriali, ci deve essere la condivisione
di responsabilità tra le ispettorie partecipanti: questo richiede la
costituzione e il buon funzionamento degli organismi di corresponsabilità. In
ogni caso occorre comunicazione e coordinamento tra i diversi centri e le
diverse comunità formatrici ispettoriali e interispettoriali per unificare i
criteri formativi, coordinare le fasi, assicurare la continuità tra una fase e
l’altra. Manca ancora una riflessione sul tipo di giovane che comincia il
cammino formativo salesiano e il tipo di salesiano che si vuole che diventi
domani; si spera che il prossimo lavoro delle ispettorie sul Progetto
ispettoriale di formazione aiuti a colmare questa lacuna.
Occorre anche menzionare che il periodo
del tirocinio attualmente è uno dei punti deboli della formazione in Africa e
Madagascar. C’è bisogno di un buon accompagnamento dei tirocinanti da parte del
direttore e delle comunità e di valide esperienze educative e pastorali.
Un punto di particolare interesse in
questo momento è la formazione specifica del salesiano coadiutore. Nel passato
gli si offriva un corso della durata di qualche mese a Yaoundé (Cameroun)
altrove gli si dava la possibilità di frequentare dei corsi speciali. Nel prossimo
anno scolastico invece si sta per cominciare a Nairobi un programma di
formazione specifica della durata di due anni per tutti i salesiani laici di
lingua inglese dell’Africa. Si sta pure prospettando fra non molto una
soluzione simile nella lingua francese.
Rimane però il fatto che, nonostante
tutti i nostri migliori sforzi, siamo talvolta costretti dalle circostanze
sociali e politiche in forte evoluzione, come le guerre, a trovare altre
soluzioni eccezionali. Questo è il caso del Rwanda che deve provvedere a tutte
le case di formazione dentro la propria delegazione perché non può mandare i
suoi formandi, come faceva nel passato, in Congo. E anche l’Eritrea, dove c’è
una sola casa salesiana, deve cercare soluzioni interne per la formazione delle
proprie vocazioni, essendo ormai chiuse le possibilità di invio fuori dal
paese.
FORMAZIONE PERMANENTE
LUNGIMIRANTE
Iniziative di formazione permanente si
trovano in tutte le ispettorie e in tutte le comunità. Ci sono dei raduni a
livello ispettoriale per categorie di confratelli e anche raduni locali; ci
sono dei corsi che vengono offerti. Mi sembra che in questa regione occorra
puntare sulle seguenti tre linee d’azione, che possano rendere vivo e fecondo
il carisma.
Anzitutto occorre fare in modo che ogni
confratello sia responsabile della propria formazione. Il che vuol dire creare
in lui, fin dalla sua formazione iniziale, la convinzione che la sua vita
consacrata è fondamentalmente la chiamata a una progressiva configurazione al
Signore, che quindi richiede l’impegno giornaliero di crescita nella propria
vocazione. Questo sforzo non sta principalmente in momenti straordinari, come i
corsi di rinnovamento. È invece il suo stile di vita, di lavoro, di rapporti
nel quotidiano; la capacità di darsi tempo per la riflessione, la condivisione,
la preghiera e lo studio; il suo contatto con esperienze pastorali stimolanti
ed esigenti; il suo interscambio di esperienze con i confratelli, con i laici e
con i giovani; la sua attenzione alle sfide che vengono dalla realtà culturale,
sociale, giovanile. Ecco il cammino più efficace per crescere nella vocazione.
Il confratello deve saper darsi tempo per coltivare il suo progetto di vita,
gustare l’esperienza della sua vocazione di consacrato, verificare il cammino
di crescita, prevenire il logoramento, qualificarsi per la missione.
In secondo luogo si tratta di
potenziare l’animazione al livello ispettoriale e primariamente la formazione
dei direttori. Da più parti si è sentita in tutti questi anni la necessità di
avere direttori che siano più maestri di spiritualità e animatori delle loro
comunità, che persone occupate con compiti amministrativi; allo stesso tempo,
accompagnatori dei loro confratelli, specialmente nel colloquio, nella
direzione spirituale, nel progetto personale. Ci vogliono anche iniziative a
diversi livelli per la formazione di quei formatori che già prestano il loro
servizio nelle case di formazione. E più largamente, occorre pensare alla
qualificazione di tutti i confratelli. Oggi questa regione salesiana di Africa
e Madagascar sta offrendo ai giovani confratelli l’opportune di
specializzazioni soprattutto a Roma e particolarmente nella nostra Università
Pontificia salesiana. Questi non sono problemi facili da risolvere,
specialmente quando manca la consistenza numerica delle comunità; ma allora è
su questo punto che l’attenzione deve venire spostata.
E finalmente diventa sempre più
importante fare della comunità locale il luogo della formazione permanente.
Questo implica lo stabilire nella comunità «una forma e un ritmo di vita che
favoriscano e quasi predispongano per l’animazione: comunicazione,
discernimento, progettazione, verifica, preghiera condivisa, sensibilità
culturale e tensione educativa pastorale, capacità di contatto con i giovani»
(CG 24 237). Si tratta di creare una mentalità progettuale che vede nella
giornata comunitaria e nel progetto comunitario degli strumenti efficaci per la
riflessione insieme, la condivisione delle esperienze, l’aggiornamento costante
delle competenze, specialmente quando si tratta di trovare la strada per una
pastorale inculturata.
Don Francesco Cereda
Consigliere generale per la formazione