UCCISO FRATEL ROGER SCHUTZ

UN PROFETA DI PACE E UNITÀ

 

Frère Roger Schutz è morto come era vissuto, pregando in mezzo alla sua comunità, in concomitanza con la XX Giornata della Gioventù a Colonia, il 16 agosto 2005. È stato ucciso durante la preghiera vespertina nella grande “chiesa della riconciliazione” di Taizé. Scompare così un profeta della pace e dell’unità tra i cristiani, ma la sua esperienza continua.

 

La Comunità di Taizé, che vive oggi un tempo di pena, così ha pregato di fronte a tanti giovani sconvolti e addolorati, all’indomani del tragico attentato in cui si è spento quel “lucignolo fumigante” che era ormai il suo novantenne fondatore: «Nella Bibbia si trovano queste parole: “Costa agli occhi del Signore la morte dei suoi amici”. Questa morte di frère Roger ci costa terribilmente. La morte è uno strappo, ma una morte con la violenza lo è ancor di più. E quando questa morte è dovuta a una persona squilibrata, siamo invasi da una sensazione d’ingiustizia che fa crescere in noi la disperazione. Alla violenza possiamo reagire soltanto con la pace. Frère Roger non ha cessato di insistere su questo».

Una mano conosciuta ha colpito il profeta dell’incontro (simbolo di una comunità ecumenica internazionale di un centinaio di fratelli, di venticinque nazioni, sparsi per il mondo), il monaco europeo che incessantemente spronava i giovani ad aprire cammini di fiducia fin nelle notti dell’umanità. Una mano femminile ha chiuso la bocca al testimone dell’invisibile, che iniziava sempre la sua preghiera appellandosi al Dio della tenerezza. Frère Alois Leser, il cinquantunenne nuovo priore, ha ricevuto la notizia a Colonia dove accompagnava con la preghiera la XX Gmg: «L’ho saputo al telefono da un fratello: sono rimasto scioccato. Frère Roger ha dedicato la vita alla pace e alla riconciliazione, ed è stato ucciso! Abbiamo deciso di continuare la preghiera, sola cosa affinché la violenza non avesse l’ultima parola». E lo stesso frère Alois ha espresso, durante i funerali, il sentimento di tutta la fraternità: «Dio di bontà, noi chiediamo il tuo perdono per Luminita Solcan, che con un gesto terribile ha messo fine alla vita di nostro fratello Roger. Assieme a Cristo sulla croce noi ti diciamo: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

 

PARABOLA

DI FIDUCIA E FELICITÀ

 

Nel 1940, venticinquenne, Roger Schutz aveva lasciato la Svizzera, per andare a vivere in Francia, il paese di sua madre. Durante la sofferenza dovuta a una tubercolosi polmonare aveva maturato il richiamo a creare una comunità in cui la semplicità e la benevolenza del cuore potessero essere vissute come realtà essenziali del Vangelo. Il piccolo villaggio di Taizé, dove si stabilì, era vicino alla linea di demarcazione che divideva in due la Francia: ben collocato per accogliere i rifugiati durante la guerra. Qui comperò una casa abbandonata da anni e propose a una sorella, Geneviève, di venire ad aiutarlo nell’accoglienza: tra i rifugiati che alloggiarono ci furono anche degli ebrei. Per discrezione nei confronti di chi era accolto, frère Roger pregava da solo, andava a cantare da solo nel bosco. Costretto a fuggire, torna nel 1944 con alcuni che avevano iniziato insieme una vita comune: accoglievano anche dei prigionieri di guerra tedeschi. Poco alla volta qualche altro venne a unirsi ai primi fratelli, cattolici e di diverse origini evangeliche. Con la sua stessa esistenza, la comunità è sin dalle origini dunque un segno concreto di riconciliazione tra cristiani divisi e tra popoli separati. Ben presto alcuni andarono a vivere in luoghi svantaggiati del mondo per essere testimoni di pace accanto a coloro che soffrono (oggi, in piccole fraternità, vivono in quartieri poveri in Asia, Africa, America latina). In quel periodo viene anche redatta la Regola e cominciano ad arrivare un sempre maggior numero di giovani sulla collina di Borgogna, vicinissima alla storica abbazia di Cluny. A partire dal 1962, dei fratelli e dei giovani, mandati da Taizé, non hanno mai smesso di andare e venire dai paesi dell’est Europa, per visitare con la massima discrezione chi era rinchiuso all’interno dei propri confini. Nel 1988 fratel Roger è insignito del premio Unesco.

Oggi, ogni settimana, intere famiglie e migliaia di giovani di diversi continenti arrivano a Taizé. Andando alle sorgenti della fiducia in Dio, intraprendono un pellegrinaggio interiore che li incoraggia a costruire delle relazioni di apertura reciproca. Sono accolti da una comunità di consacrati impegnati per tutta la vita al seguito di Cristo (vedi un passaggio chiave della loro professione: «Il Signore Cristo nella compassione e nell’amore che ha verso di te, ti ha scelto per essere nella Chiesa un segno dell’amore fraterno. Vuole che tu realizzi, insieme con i tuoi fratelli, la parabola della comunità»). Al centro degli incontri, tre volte ogni giorno, la preghiera comune riunisce tutti nella stessa lode a Dio, attraverso il canto e il silenzio. Ogni giorno si propongono letture bibliche seguite da momenti di riflessione e dalla partecipazione a lavori di comune utilità. È anche possibile passare una settimana in pieno silenzio. Si sperimenta così l’assenza completa di relazioni di dominio. Nell’accuratezza paziente e silenziosa di ogni azione dei religiosi, tutti sperimentano un’obbedienza amante, che è il contrario di una sottomissione o di un vagabondare. La comunità non impone infatti un modello costrittivo, ma una esortazione amichevole: questa è la tranquillità condivisa che rappresenta la felicità della vita. Incontrandosi così, nell’ascolto reciproco, si scopre che possono sorgere percorsi di unità, nel rispetto della diversità di culture e tradizioni spirituali. Perciò, perseguendo un pellegrinaggio di fiducia sulla terra, Taizé non organizza un movimento intorno alla comunità, ma propone una spiritualità e uno stile: ciascuno è invitato a vivere ciò che ha scoperto nel suo quotidiano, con una maggiore coscienza della vita interiore che lo abita e dei legami con altre persone.

 

CONSACRAZIONE

DI BONTÀ E PREGHIERA

 

Oggi tutti ricordano frère Roger per il suo impegno dedicato a costruire l’unità, per il rapporto fraterno che sapeva instaurare, sciogliendo prima di tutto i cuori. Mons. Aldo Giordano (Consiglio delle Conferenze episcopali europee) e il rev. Keith Clements (Consiglio delle Chiese europee) – presenti ai funerali in mezzo a oltre 10mila persone, con mons. Ricard (Conferenza episcopale francese), mons. Tessier (arcivescovo di Algeri), rev. Arnold de Clermont (Conferenza Chiese europee), rappresentanti delle Chiese anglicane e ortodosse – sottolineano che egli è stato un uomo che ha costruito ponti di preghiera e di dialogo tra i cristiani e ricordano il suo contributo determinante nell’assemblea ecumenica di Graz (1997).

Secondo Enzo Bianchi, priore di Bose, egli è stato una figura carismatica e profetica, che aveva letto in anticipo i segni dei tempi, aprendo sentieri ecumenici nella teologia, nella liturgia, nella spiritualità: per questo era stato invitato come “osservatore protestante” al Vaticano II. «Frère Roger, era un grande tessitore di dialogo, grazie alla sua semplicità evangelica: trasparente nel cuore come i suoi occhi azzurri, mostrava una grande semplicità, lontano da ogni arroganza, da ogni pregiudizio. Già allora tutti convenivano: era un “uomo di Dio”; era stimato e venerato quasi come un santo, ma lui restava semplice e povero, mai inorgoglito dal successo inatteso e impensabile. Quando dalle sue labbra uscivano le parole di sapienza, era l’autorevolezza stessa del Vangelo: diventava allora naturale porsi in atteggiamento di ascolto. Quante volte nella sua cella ho assistito a dialoghi talora anche duri, in cui chiedeva con risolutezza ad autorità delle chiese venute da lui pazienza, misericordia, audacia nel porre gesti concreti in vista della riconciliazione e della comunione… Ideò un “concilio dei giovani”, cogliendo lucidamente il rischio di una rottura della tradizione e la difficoltà nel trasmettere la fede: comprendeva l’incessante anche se confusa ricerca dei giovani ed era convinto che bisognasse raggiungerli là dove loro stavano cercando, piuttosto che invitarli a venire dove volevamo noi. Così le setti­mane di Taizé e i raduni mondiali per i giovani, vissuti ogni anno in una grande metropoli diversa, hanno anticipato e ispirato le Giornate mondiali della Gioventù volute da Giovanni Paolo II».

Proprio il papa polacco, nel visitare Taizé nel 1986 e richiamandosi alle parole di Giovanni XXIII (“Ah, Taizé, quella piccola primavera!”), affermava: «Il mio augurio è che il Signore vi mantenga come una primavera che sboccia e che vi mantenga piccoli, nella gioia evangelica e la trasparenza dell’amore fraterno… senza che l’abbiate cercato, avete visto venire a voi, a migliaia, dei giovani da tutte le parti, attirati dalla vostra preghiera e dalla vostra vita comunitaria… può suscitare lo stupore e incontrare l’incomprensione e il sospetto. Ma a causa della vostra passione per la riconciliazione di tutti i cristiani in una comunione plenaria, a causa del vostro amore per la Chiesa, saprete continuare, ne sono certo, a essere disponibili alla volontà del Signore. Ascoltando le critiche o i suggerimenti di cristiani di diverse Chiese e comunità cristiane per accoglierne ciò che è buono, rimanendo in dialogo con tutti, ma non esitando a esprimere le vostre attese e i vostri progetti, non deluderete i giovani, e contribuirete affinché non si allenti mai lo sforzo voluto da Cristo per arrivare a ritrovare l’unità visibile del suo Corpo, nella piena comunione di una medesima fede. Volendo voi stessi essere una “parabola di comunità”, aiuterete tutti quelli che incontrerete a essere fedeli alla loro appartenenza ecclesiale che è il frutto della loro educazione e della loro scelta di coscienza, ma anche a entrare sempre più profondamente nel mistero di comunione che è la Chiesa nel disegno di Dio».

A Taizé non si parla di ecumenismo: lo si vive come un’utopia realizzata, poiché, prima che incontro tra chiese, è incontro tra persone che si riconoscono nella loro diversità. Durante le esequie il cardinal Walter Kasper ha parlato della fede di frère Roger in un ecumenismo della santità, riallacciandola a quelle “fratture” che l’hanno sempre tormentato: quelle fra i cristiani e quelle fra popoli o nazioni. Proprio qui si comprende allora il suo dono per tutti: il legame tra un’esperienza spirituale profonda e un’apertura creatrice sul mondo. Infatti più si diventa persone di preghiera, più si diventa persone di responsabilità. La preghiera rende ancora più responsabili. È davvero importante comprenderlo e farlo comprendere ai giovani. E l’aveva ben compreso anche il celebre filosofo Paul Ricoeur, di casa a Taizè fino alla sua morte (20/5/2005): «Che cosa vengo a cercare a Taizé? Direi una specie di sperimentazione di ciò che più profondamente credo, e cioè che quello che generalmente si chiama “religione” ha a che fare con la bontà… Ora, qui a Taizé, vedo, in qualche modo, delle irruzioni di bontà, nella fraternità tra i fratelli, nella loro ospitalità tranquilla, discreta e nella preghiera. Vedo migliaia di giovani che non esprimono un’articolazione concettuale del bene e del male, di Dio, della grazia, di Gesù Cristo, ma che hanno un tropismo fondamentale verso la bontà. Siamo sommersi dai discorsi, dalle polemiche, dall’assalto del virtuale che, oggi, creano come una zona opaca. Ora, la bontà è più profonda del male più profondo. Dobbiamo liberare questa certezza, darle un linguaggio, e il linguaggio che viene dato qui a Taizé non è quello della filosofia, neppure della teologia, ma quello della liturgia; e per me, la liturgia non è semplicemente azione, è un pensiero… Questo raggiunge la mia questione sulla bontà poiché la bontà non è soltanto la risposta al male, ma è anche la risposta al non-senso. Nella protesta c’è la parola “testimone”: si pro-testa prima di poter at-testare. A Taizé si fa il cammino dalla protesta all’attestazione e questo cammino passa attraverso la legge della preghiera, la legge della fede».

Così il mite monaco europeo rimane vivo nei cuori, motore invisibile di una forma di vita consacrata aperta al futuro: «A Taizé, certe sere d’estate, sotto un cielo colmo di stelle, dalle nostre finestre aperte sentiamo i giovani. Restiamo meravigliati di quanto siano numerosi. Essi cercano, pregano. E noi ci diciamo: le loro aspirazioni alla pace e alla fiducia sono come queste stelle, piccole luci nella notte» (dall’ultima lettera di frére Roger, Un avvenire di pace).

 

Mario Chiaro