ANCORA UN SEGNO PER IL MONDO

SUORE CHE FANNO NOTIZIA

 

Due gemelle che entrano in monastero, una suora nominata commendatore al merito della Repubblica italiana, un’altra riconosciuta come “giusto fra le nazioni”, altre premiate da fondazioni varie.

Che cosa può dire il fatto che i mass-media anche laici se ne interessano?

 

Due gemelle “si chiudono” in monastero: la notizia è insolita, benché la scelta di vita consacrata che accomuna ulteriormente Anna e Rosa Mete, bergamasche, 42 anni, non sia avvenuta nello stesso tempo, ma a distanza una dall’altra, né per lo stesso luogo. Anna, infatti, è entrata dieci anni fa tra le Sorelle Povere di s. Chiara ad Assisi, e ora Rosa tra le monache Benedettine del Lago d’Orta.

Prendiamo la notizia non da una rivista interna a un movimento vocazionale ma da Madre 2005/5, p. 28, mensile cattolico per le famiglie attento alla condizione femminile in Italia e nel mondo.

Curiosità ha destato un’altra notizia “fuori dal normale”, che l’anno scorso si poteva leggere anche su Famiglia Cristiana 2004/24, p.19: «Suor Giuseppina Raineri, 74 anni, lombarda di nascita ma dal 1956 in Brasile, ha ricevuto l’onorificenza di “commendatore al merito della Repubblica italiana”. La religiosa appartiene alla congregazione delle suore Marcelline ed è laureata in medicina. Con altre consorelle, ha fondato un ospedale – che continua a dirigere – nel degradato quartiere di Itaquera, alla periferia di San Paolo del Brasile. Suor Raineri ha anche collaborato con l’ex imprenditore, divenuto missionario laico, Marcello Candia nella cura dei lebbrosi».

Ed è del 19 febbraio 2005, a p. 19 del quotidiano Corriere della Sera l’ articolo di R. Cotroneo, Il sacrificio di suor Dorothy spinge Lula a fare i parchi. Di suor Dorothy Stang e del suo martirio a causa della giustizia che propugnava in nome del Vangelo ha scritto anche Testimoni (cf. 5/15.3.2005, 19-20), e già molti giornali di diversa ispirazione ideologica e colore politico avevano dato spazio alla sua figura di «suora che amava la foresta» (Liberazione 18.2.2005) «assassinata per la sua campagna in difesa dell’Amazzonia».

Ma notiamo che sono tante altre le religiose alle quali negli ultimi tempi – pur senza pensare alle figure recentemente elevate agli onori degli altari – ad aver suscitato oltre la soglia degli istituti religiosi un’attenzione forse non soltanto di curiosità.

Figure di suore come tante altre, quelle che segnaliamo senza alcuna pretesa di sistematicità, sembrano infatti porre domande destinate forse a rimanere aperte, ma che potrebbero portare a qualche non inutile considerazione.

 

IN OGNI PARTE

DEL MONDO

 

Non è di tutti i giorni la storia della settantenne suor Theresa Ying Mulan raccontata sul settimanale allora intitolato Sette n.17/2004 del citato Corriere della Sera, nell’articolo di Marco Del Corona dal titolo Come si dice passione in cinese. Nata a Pechino in una famiglia cattolica Theresa sognava da giovane la vita religiosa e studiò medicina, ma la sua esistenza incrociò i noti tempi sfavorevoli per il cattolicesimo, conobbe la deportazione e persino a 38 anni l’obbligo di sposarsi; finché col regime di Deng Xiaoping nel 1979, ed essendo rimasta vedova, la sua vita cambiò ancora: «Nel 1994 – racconta – divenni finalmente suora: anche se ho l’età che ho... come suora sono giovanissima. Da allora ho messo al servizio della comunità i miei talenti di medico, organizzando anche l’apertura di tre ospedali». Attualmente suor Theresa, oltre a essere felice di poter pregare liberamente «anche per il papa», ricopre diversi «incarichi ufficiali: è membro dell’Associazione patriottica della Chiesa cattolica in Cina, vice presidente del suo ramo amministrativo e fa parte della Conferenza politica consultiva di Pechino»: incarichi che naturalmente le impongono di esprimersi con molta prudenza sulla situazione attuale della Chiesa cattolica in Cina con quel suo “contraltare” che è la cosiddetta chiesa patriottica.

Non molto diversa è l’atmosfera che circonda la figura di Una monaca riconosciuta giusto fra le nazioni. La prendiamo dal citato periodico Madre 3/2004, p.43 in un articolo di Carla Guglielmi. Tempi ormai lontani ma non dimenticati e da ricordare sempre, quelli della catastrofe ebraica, quando il 20 settembre 1943 «due donne e due bambine ebree sostano alla porta del monastero benedettino SS.Trinità di Ronco di Ghiffa (VB; altre due signore vi approderanno più avanti) nella speranza per altro molto ardita, dati i rischi per la vita che l’ospitalità comporta per tutta la comunità religiosa, di esservi accolte».

Ma la badessa madre Maria Giuseppina Lavizzari spalanca le porte e d’accordo con la comunità sistema le ospiti nella tranquilla sicurezza di ambienti interni adatti. Finché nel mese di giugno del 1944 scatta un allarme: incombe una perquisizione per la sospetta presenza di ebrei, e madre Giuseppina non esita a nascondere le ospiti nella zona soggetta a clausura del monastero, dove rimarranno fino al termine delle operazioni belliche, in quella guerra che parve avere inghiottito tutta l’umana pietà.

Poi silenzio, per tanto tempo, finché il gesto di madre Giuseppina (morta già nel 1947) venne fatto conoscere all’organo ufficiale competente in Israele (due delle allora rifugiate sono viventi), e l’11 novembre 2003, con cerimonia nel monastero di Ronco di Ghiffa il consigliere dell’ambasciata di Israele in Roma, Shai Cohen, ha conferito alla memoria di madre Giuseppina il massimo riconoscimento attribuito a coloro che hanno rischiato la vita per salvare qualche ebreo tra i perseguitati dal nazismo, quello appunto di Giusto fra le nazioni.

 

E DA UN PREMIO

ALL’ALTRO

 

A non poche suore impegnate su fronti missionari che si direbbero estremi viene attribuito l’ormai tradizionale premio Cuore amico, istituito dalla citata rivista Madre, come per il 2002 a sr. Lucia Sabbadin, medico missionario delle Suore Maestre di s. Dorotea, operante a Bukavu in Congo non solo nella cura diretta ai malati ma anche nella realizzazione di centri nutrizionali per bambini malnutriti e altri per bambini diabetici, nonché per la formazione di personale infermieristico locale; e per il 2003 a sr. Fosca Berardi, la missionaria comboniana che in anni più giovani aveva fondato l’Università di Asmara in Eritrea e recentemente si è dedicata alla promozione della cultura negli Emirati Arabi Uniti; qui ha insegnato, diretto scuole e fondato insieme con sr. Maria Nora Onnis istituzioni cattoliche; ha espresso così la sua convinzione che «la scuola sia un potente mezzo per creare un dialogo interreligioso» e il suo impegno di coltivare la pace e la tolleranza nel mondo arabo.

Alla figura esemplare di s. Rita da Cascia è intitolato il Riconoscimento internazionale, giunto quest’anno alla XVII edizione, che viene assegnato a donne distintesi per meriti morali, civili e religiosi. Tra le suore che finora ne sono state insignite c’è nel 2005 sr. Elvira Petrozzi, fondatrice a Saluzzo (CN) della Comunità Cenacolo per il recupero di giovani «stanchi, delusi, disperati, drogati e non drogati alla ricerca della gioia e del senso della vita». Motivazione del premio, riportata anche in Famiglia Cristiana 24/2005, p. 19, aver saputo «trasformare vite perse in gioiose aurore di resurrezione».

Lo stesso Riconoscimento internazionale s. Rita da Cascia era stato attribuito nel 2003 a Maria Negretto, una consacrata nell’istituto secolare “Maria ss. Annunziata”, per essersi dedicata lungo oltre trent’anni ai malati di lebbra in Camerun.

Anche la Presidenza del Consiglio della Valle d’Aosta ha accolto la segnalazione di una suora per il premio Donna dell’anno 2003, e l’ha assegnato a sr. Maria Grazia Faccioli, infermiera in mezzo a un popolo di poverissimi in Ecuador dove lavora specialmente tra i malati mentali e gli epilettici (notizia su Madre 2/2004, p. 29).

 

AFRICA

UN FASCINO SPECIALE

 

È noto il prestigio di cui gode il premio Mela d’oro della Fondazione Marisa Bellisario: è stato conferito a sr. Francesca Leonardi, pescarese, che da 27 anni vive in Marocco dove, con la sua piccola comunità di Francescane missionarie di Maria (quattro suore), cerca di concretizzare l’intenzione di «essere presenza di Chiesa là dove non c’è comunità cristiana». L’intento è perseguito con entusiasmo da sr. Francesca, la quale ha “organizzato” la testimonianza comune di dedizione ai più poveri della provincia di Ourzazate – leggiamo su Famiglia Cristiana 23/2005, p. 61, L’angelo del Marocco, di Rosanna Biffi – secondo tre associazioni: Aurora, per la cura e abilitazione dei sordi; Orizzonti, per i disabili fisici e psichici in genere; Ossigeno per la promozione delle donne, comprese madri in difficoltà e bambini a rischio di abbandono.

È lo stesso orizzonte missionario nel quale dal 1995 è presente in Africa – a Adua, nel Tigrai al confine tra Etiopia ed Eritrea – l’opera di sr. Laura Girotto (foto in questa pagina), e di alcune altre Figlie di Maria Ausiliatrice. Un’opera che ha dato vita all’Associazione Amici di Adua, alla quale l’Accademia nazionale dei Lincei ha assegnato il premio A. Feltrinelli per una impresa di alto valore morale e umanitario.

Della missione salesiana di Adua capeggiata da sr. Laura si è occupato più volte il settimanale femminile Io donna del citato Corriere della Sera, informando sulle origini e lo sviluppo di un’opera che si avvale anche della generosa collaborazione di volontari italiani; e che pur facendosi imponente – per l’intensità del servizio più che per il raggio d’estensione – si vede sempre inadeguata ai bisogni di una popolazione provata da tante tragedie con strascichi di malattie e povertà estrema specialmente riguardo alle donne e ai bambini; a questi si riferisce l’altra Associazione, James non morirà (ispirata a un bimbo di quattro anni ucciso dalla leucemia), finalizzata a rendere sempre migliore l’accoglienza dei numerosissimi piccoli orfani, da accudire, nutrire, istruire, far crescere sereni e fiduciosi nella vita.

 

E VEDENDO

DIANO GLORIA A DIO

 

Degni di nota sono i particolari nei quali si concretizza la realtà-Adua e sui quali si è dilungato un articolo di Niccolò d’Aquino su Io donna 48/ 29.11.2003.

Ma ci soffermeremo più avanti sulla storia di una “vocazione per l’Africa” germogliata proprio in quel clima a contatto con religiose dedite oggi al riscatto dei più poveri e umiliati della terra e al compito immenso di restituirli dopo tanto soffrire alla piena dignità di figli di Dio.

Sappiamo bene che ciò non accade soltanto in Africa, e che dietro tanti protagonisti/e che emergono dall’anonimato ci sono comunità femminili e maschili – e c’è una Chiesa – che ne sostengono gli sforzi mentre essi/e piantano nel mondo segni originali dell’amore del Padre per i suoi poveri, così che possono spostare verso di lui l’ammirazione che senza volerlo attirano su di sé.

Anche l’opera trentennale di sr. Dorothy Stang in Brasile culminata nel martirio porta sì un timbro spirituale specifico: quello della sua appassionata azione personale; ma che coincide col mandato ricevuto dal proprio istituto e dalla chiesa brasiliana impegnata a difendere i diritti dei “senza terra”.

Di conseguenza, ci fa riflettere il fatto che all’ondata di sdegno che ha bollato di ferocia il suo assassinio ha fatto seguito, in memoria di lei, da parte del presidente Lula il gesto significativo di cui hanno parlato i giornali: decretare «un pacchetto “verde” anticrisi, approvato dal consiglio dei ministri, al cui centro c’è la creazione di cinque aree protette in Amazzonia». Un segno forse piccolo, data l’immensità dei problemi locali circa l’ambiente e soprattutto le attese dei sem terra, ma un segno leggibile quale esito di una tra le “opere belle” che danno gloria a Dio.

Tanto più quando ne sorgono nuovi testimoni della sua misericordia, direbbero anche altre esperienze come in Adua quella accennata sopra del volontario romano Francesco Romagnoli, 33 anni e una laurea in economia e commercio. Indeciso sul proprio futuro, del resto ricco di opportunità interessanti, «dopo aver visto sr. Laura in televisione da Enzo Biagi, era andato ad Adua tra le salesiane, “in prova e per riflettere”. E ora, dopo vari mesi, la scelta: “Resto”. La scelta può cambiare non soltanto la sua vita, ma anche quella di almeno un centinaio di bambini di Adua e dintorni. E per una quarantina di donne». E già per tale impresa si dedica alla costruzione di una ventina di case per cinque-sei bimbi ciascuna, «dove i piccoli saranno accuditi da una “madre” e da una “zia” di supporto, selezionate tra le donne dei dintorni, debitamente formate e stipendiate»... E avanti con la creatività.

Una storia simile è quella di Sabrina Vivan (foto in questa pagina), prima donna pilota di aerei della compagnia Alpi Eagles: la racconta Alberto Laggia in Famiglia Cristiana 23/2005, pp. 58-59.

Sabrina, trentacinque anni, di Sesto Al Reghena (PN), raggiunto col superare durissimi ostacoli il sogno di volare, nella sua felicità avverte che le manca qualcosa e tra un volo e l’altro si domanda che cosa davvero le manchi. Tramite l’adozione a distanza di cinque fratellini congolesi propostale da sr.Rita Panzarin, delle Missionarie del Sacro Cuore e in Africa dal 1976, la crisi; e la scoperta di un mondo che contiene la risposta: un senso al suo volare deriva dal cooperare creativamente alla missione di sr. Rita tra i bambini Baka. «Ho visto bimbi morire di rosolia e malaria. Ragazzi che dalla fame si mangiavano i gessetti della lavagna e il polistirolo. Ma ho visto anche quanto può fare il coraggio e la fede di una suora».

 

Zelia Pani