LETTERA DELLA FAMIGLIA FRANCESCANA
COME ESSERE STRUMENTI DI PACE
Cosa significa pace
in questo mondo selvaggio e militarizzato, consumistico e prepotente? E per gli
uomini e le donne che vivono in zone di guerra? Che cosa vuol dire pace per chi
ha perso tutto? Per rispondere occorre
assumere “atteggiamenti essenziali”.
Quando si incontra un francescano è consuetudine sentirsi
salutare con il classico “Pace e bene”. È un saluto che si ricollega con quello
che san Francesco ha lasciato in eredità al suoi seguaci “Il Signore ti dia
pace”, diventato poi programmatico nel senso che l’impegno a promuovere la pace
è da sempre uno degli elementi costitutivi della spiritualità e della missione
carismatica della famiglia francescana.
È un impegno forte, ma vissuto nella “debolezza”, in
senso paolino, poiché si tratta di andare a un mondo in cui gli operatori di
pace sembrano sopraffatti dai violenti e dagli oppressori. Esso trae la sua
forza da uno stile di vita basato su quella povertà e semplicità che nascono da
una sconfinata fiducia in Dio. È lo stile vissuto e tramandato dalla prima
generazione francescana, che ha abituato a veder nell’altro non un concorrente
o un nemico, ma un fratello e una sorella in Cristo.
IN UN MONDO
AVVERSO E OSTILE
Essere “strumenti di pace”: a questo argomento è dedicata
la lettera che la Conferenza della famiglia francescana1 ha scritto in
occasione della recente solennità della Pentecoste, nella convinzione che
occorre ridare slancio a questa missione «in un mondo lacerato da tante guerre,
dal terrorismo, dall’ingiustizia sociale, dalla fame e da catastrofi naturali
di dimensioni quasi apocalittiche».
Basti uno sguardo al momento storico attuale che la
lettera così descrive: «Dopo il “secolo buio” delle guerre feroci, delle
dittature brutali, della grave e ingiusta disparità sociale fra il nord e il
sud del mondo e della guerra fredda, l’inizio del nuovo millennio era stato
pieno di speranza e anche di entusiasmo per un tempo più pacifico e più giusto.
Ma già i primi anni di questo nuovo secolo ci hanno dimostrato la fragilità
della convivenza dell’umanità e si sono aperte nuove spaccature, che minacciano
la pace mondiale e la ricostruzione del giusto equilibro fra le nazioni. Una
catastrofe quasi apocalittica ci ha poi dimostrato, con tutta la sua violenza,
che l’uomo ha perso anche l’armonia con il creato. Ci troviamo oggi davanti a
una serie di problemi che, nel nostro mondo globale, sono in un certo senso
tutti connessi: quelli ecologici, come l’estinzione di alcune specie, i
cambiamenti climatici e l’inquinamento dell’ambiente, sono spesso legati a
gravi problemi sociali, come il pesante indebitamento di tanti paesi, a sua
volta causa di ulteriori problemi come la povertà, la fame, la disoccupazione e
l’emigrazione. Vi sono poi strutture di peccato che innescano la spirale della
violenza. Fra queste quella istituzionale e militare, che spesso si fa
oppressione di cittadini indifesi, quando non spinge a scagliarsi contro altri
popoli, creando vittime innocenti e suscitando spesso, come reazione,
incontrollabili forme di terrorismo. Ricordiamo, poi, i vari fondamentalismi, i
nazionalismi e un nuovo imperialismo che oggi sono all’origine dello scontro
tra le culture e le religioni. La criminalità internazionale, inoltre,
nutrendosi del commercio di droga e di armi, porta la morte in tanti angoli del
nostro mondo. Le spietate regole, infine, di un mercato che, in nome della
libertà, subordina il valore della vita a quello economico, privilegiando pochi
e marginalizzando molti, spesso condanna ad un futuro senza speranza
soprattutto i più deboli: le donne, i bambini, gli anziani e gli ammalati. A volte
sembra davvero che i semi della pace siano soffocati dagli interessi del potere
politico ed economico, da queste strutture di ingiustizia e peccato personale».
Ne derivano allora alcuni pressanti interrogativi: «Cosa
significa pace in questo mondo selvaggio e militarizzato? Cosa significa pace
in un mondo dove regna un sistema consumistico e di appropriazione? Che cosa
vuol dire pace per gli uomini e le donne che vivono in zone di guerra? Che cosa
vuol dire pace per chi ha perso tutto?».
Se si vuole essere convincenti promotori di pace,
risponde la lettera, è necessario assumere alcuni “atteggiamenti essenziali”
che si trovano già presenti nelle fonti del carisma francescano, così
individuati:
– mantenere Dio al centro dell’azione;
– procedere sempre in comunione con fortezza e sapienza;
– identificare le vere cause della violenza e chiamarle
con il loro vero nome;
– promuovere la conversione e la riconciliazione di tutte
le parti;
– cercare di sanare e restaurare le relazioni piuttosto
che risolvere le dispute;
– ristabilire la giustizia come base della vera pace;
– riconoscere che tutte le relazioni sociali sono
asimmetriche e che ogni situazione di conflitto implica uno squilibrio e un
cattivo uso del potere;
– rimanere disarmati (cf. Memoriale Propositi, 16);
– rifiutare la demonizzazione di una delle parti e
riconoscere in tutti dei fratelli e delle sorelle;
– affrontare i conflitti attivamente, esponendosi in
prima persona e lasciandosi coinvolgere.
«Questi atteggiamenti, sottolinea la lettera, ci presentano
un vero e proprio cammino per promuovere la pace ed esigono di agire senza
prepotenza e forza. Un simile comportamento è però possibile solo a partire da
una fiducia incondizionata in Dio. Solo mantenendo il suo Spirito e la sua
Signoria al centro della propria azione il tentativo di una riconciliazione e
di una pacificazione può avere qualche speranza».
RIPARTIRE
DALLA RICONCILIAZIONE
Come punto di partenza la lettera indica la
riconciliazione: una riconciliazione che deve iniziare da se stessi per
estendersi poi a tutte le comunità e a tutti gli ambienti, quale condizione per
giungere a favorire una vera e propria “cultura di pace”.
Scrivono infatti i firmatari della lettera: «Poiché la
pace comincia a essere vissuta come valore profondo nell’intimo di ogni persona
per poi estendersi alle famiglie, alle nostre fraternità e comunità fino a
coinvolgere tutti gli ambiti in cui viviamo, per creare una vera e propria
cultura della pace (cf. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 495)
sarà necessaria la nostra personale riconciliazione con Dio, con noi stessi,
con i fratelli, le sorelle e con tutto il creato. Pur essendo questo un momento
molto personale e intimo, tale riconciliazione deve comprendere anche le nostre
strutture, il nostro stile di vita, il nostro lavoro e la nostro missione,
affinché tutto serva veramente per la costruzione della pace, della giustizia e
dell’amore. Solo attraverso una credibile conversione dei nostri cuori, delle
nostre strutture personali, del nostro stile di vita, del nostro modo di
programmare, pensare e lavorare diventeremo fruttuosi operatori di pace. Il
nostro impegno per la pace richiede poi, in modo particolare, di procedere con
quello spirito fraterno che caratterizza in modo speciale la nostra forma di
vita e di non lasciare che alcuni fratelli e sorelle con una particolare
vocazione profetica si impegnino da soli a favore della pace, della giustizia e
della salvaguardia del creato».
NON “CONTRO”
MA “A FAVORE”
«A partire da questa personale conversione, prosegue la
lettera, proponiamo una visione della pace come superamento del peccato
personale e strutturale, superamento della sofferenza, del dolore, dell’ira,
delle profonde ferite nella riconciliazione. Come testimoni della Buona Novella
vogliamo impegnarci nella nostra missione nel mondo a favore di questo cammino
di riconciliazione, che richiede di distinguere fra un’azione contro il male,
la violenza, l’ingiustizia, da un agire a favore della pace e della giustizia,
escludendo ogni forma di violenza per rendere possibile una vera
riconciliazione. La nostra missione di pace non può basarsi su un atteggiamento
caratterizzato dall’essere “contro”, ma deve nutrirsi della ricerca costante
del bene della vita. Questo agire a favore del bene comporta lo smascheramento
delle cause del male e la condanna coraggiosa di ogni forma di violenza
ingiustificata, perché parlare di pace e di giustizia senza smascherare le
istituzioni, i sistemi e i peccati responsabili dell’ingiustizia, della
violenza e del male è più che ipocrita. Solo quando le cause della discordia,
delle guerre, dell’ingiustizia e dei piccoli e grandi peccati umani saranno
profeticamente individuati, sarà possibile una profonda guarigione di tutte le
ferite. Senza una tale guarigione il cammino verso la riconciliazione sarà
difficile. Noi francescani e francescane vogliamo giungere a questa guarigione
delle ferite attraverso il dialogo fraterno e caritatevole. Un dialogo
rispettoso che sappia valorizzare ogni persona, ogni cultura e ogni religione
promuovendo il bene, il bello e il vero presente nell’altro. Vogliamo iniziare
questo dialogo nelle nostre fraternità e comunità, nelle nostre famiglie, fra i
nostri istituti francescani, nella Chiesa, fra le diverse culture e religioni,
nei diversi paesi dove noi siamo presenti, esponendo noi stessi, assumendo
tutte le eventuali conseguenze e partecipando alla missione e alla passione di
Cristo (cf. Rnb 16,10-11). In modo particolare vogliamo iniziare questo dialogo
nei luoghi di conflitto, di tensione, di disperazione e di discordia, di
intolleranza e di emarginazione. Con il nostro dialogare vogliamo dare
testimonianza di quel dialogo salvifico che Dio stesso porta avanti con
l’umanità nel suo Figlio Gesù Cristo e nella potenza dello Spirito Santo».
UN IMPEGNO
A SERVIZIO DELL’AMORE
«Sulla base della nostra ricca tradizione vogliamo, con
la nostra disponibilità al dialogo, rifondarci nella spiritualità del perdono,
della misericordia e della gratitudine, per superare, con la vera pace, che
solo Gesù Cristo può donarci (cf. Gv 14,27), le piccole guerre della vita
quotidiana e le grandi guerre del mondo; rifondarci nella spiritualità della
fratellanza e dell’uguaglianza per superare, con la legge dell’amore (cf. Gv
15,9-17), l’intolleranza e le tante forme di discriminazione e di
emarginazione; rifondarci nella spiritualità della semplicità per superare, con
la stima e la benevolenza per ogni forma di vita, il consumismo e le tante
forme di abuso contro la vita e il creato. Ritrovando le nostre radici profonde
nella nostra vocazione francescana non solo possiamo trovare la pace nei nostri
cuori, nelle nostre fraternità, comunità e famiglie, ma possiamo anche
diventare fruttuosi operatori di pace e di riconciliazione in questo mondo.
Ricordando la nostra particolare vocazione di francescani
e francescane di essere messaggeri della pace in questo mondo, incoraggiamo e
stimoliamo il dono di essere profeti di un nuovo stile di convivenza basata
sull’amore e sulla familiarità e quindi sulla nonviolenza, sulla giustizia e
sulla cura integrale della nostra madre terra (cf. Cant); difendiamo il diritto
alla vita a tutti i livelli e la possibilità di accesso alle risorse essenziali
per tutti; in modo particolare soffriamo e vogliamo essere vicini alle
innumerevoli vittime di questo mondo. A partire da questa dimensione profetica
della nostra vocazione alziamo la nostra voce a favore del disarmo a tutti i
livelli (cf. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 508s);
denunciamo l’utilizzazione di bambini e adolescenti come soldati in conflitti
armati (cf. o.c. 512) e ogni forma di discriminazione e sfruttamento delle
donne; condanniamo ogni forma di terrorismo; protestiamo contro ogni forma di
colonialismo o imperialismo militare ed economico; rifiutiamo i fondamentalismi
e le tendenze all’integralismo; lottiamo con mezzi pacifici contro le strutture
e gli autori di qualsiasi forma di schiavitù e di soppressione».
1 La lettera è firmata dai superiori maggiori delle
rispettive famiglie francescane: Rodríguez Carballo José, Giermek Joachim,
Corriveau John, Zivkovic Ilija, Del Pozo Encarnación, Thomann Carola M.