SUPERIORI MAGGIORI ROGAZIONISTI
RIPARTIRE DA AVIGNONE
Avignone, il
quartiere messinese trasformato dalla santità e dalla carità di sant’Annibale
di Francia.
Le priorità
apostoliche della preghiera per le vocazioni e della testimonianza evangelica
nei confronti degli ultimi. Centralità della vita comunitaria. Il ruolo dei
laici. Una verifica attenta del progetto apostolico.
A un anno dalla celebrazione del X capitolo generale e
nell’anno di ringraziamento della canonizzazione del fondatore, sant’Annibale
di Francia, nella prima settimana di giugno u.s., si è svolta a Messina la
conferenza annuale dei superiori e dei consigli di circoscrizione dei
rogazionisti.
Lo scopo della conferenza, a cui hanno partecipato poco
meno di una trentina di superiori maggiori dell’istituto, era quello di
riflettere insieme sulle priorità programmatiche post-capitolari, ampiamente
illustrate dal superiore generale, p. Giorgio Nalin, riconfermato dal capitolo
generale per un secondo sessennio. Alcune di queste priorità tendono a
«risvegliare la gioia della consacrazione, ritrovare nuove e più profonde
motivazioni carismatiche, ridare senso alla vita fraterna, favorire la
condivisione e la partecipazione al programma comune». Altre, invece, si
riferiscono più direttamente all’apostolato vero e proprio e «s’interrogano
sulla modalità di espressioni carismatiche, creative e nuove, inculturate e
adeguate ai segni dei tempi, sul significato della presenza nel territorio».
Altre, infine, puntano «sulla qualità ed efficienza stessa dell’apostolato,
sulla progettazione e programmazione, sulla preparazione e formazione
permanente del personale, sulle problematiche strutturali del riequilibrio
delle opere, sulla capacità di condivisione e collaborazione con il laicato».
Di fronte alla complessità da una parte e alla novità
dall’altra che emergono dal mondo ecclesiale e sociale attuale, di fronte al
“peso” della storia e della tradizione di un istituto religioso, anch’esso
toccato, oggi, dalla carenza di personale, «non è semplice individuare un
percorso sicuro per rinnovare il nostro apostolato». Non per nulla il capitolo
stesso, nella piena assunzione delle parole-chiave di tutta la tradizione
rogazionista (pregare, annunciare, agire), si era posto con coraggio alcuni
interrogativi sulla dimensione profetica del carisma di fondazione e della
missione, sulla qualità della preghiera e della testimonianza evangelica
personale e comunitaria.
AVIGNONE,
LUOGO TEOLOGICO
Nell’anno di ringraziamento della canonizzazione del
fondatore, la sede della conferenza annuale non poteva non essere Messina, la
“città di sant’Annibale di Francia”. Volendo delineare alcune piste
programmatiche per il futuro, i rogazionisti non potevano, simbolicamente, non
“ripartire da Avignone”, il quartiere messinese letteralmente trasformato dalla
carità e dalla santità del loro fondatore.
“Ripartire” oggi da Avignone, per un rogazionista,
significa anzitutto ricomprendere questo luogo «come luogo teologico e
carismatico che compendia le ansie, i progetti, le realizzazioni del santo
fondatore». Significa ancora «recuperare la dimensione integrale del servizio
agli ultimi, proprio della nuova evangelizzazione, realizzare il passaggio
dalla conservazione alla profezia, dalla comunità che gestiva l’apostolato al
suo interno verso una comunità apostolica più inserita nel territorio e
coinvolta nella vita della Chiesa locale». Significa, infine, “riappropriarsi”
del carisma nella sua specificità e nella sua forza dirompente per la missione,
attraverso l’intelligenza e lo zelo di sant’Annibale.
La testimonianza di vita religiosa e sacerdotale del
proprio fondatore può sicuramente aiutare ogni istituto, sull’esempio dei
rogazionisti, a ritrovare “nuove motivazioni” per una riproposta della propria
spiritualità e del proprio servizio apostolico nella Chiesa e nel mondo. Nel
caso specifico, l’esempio e l’insegnamento di sant’Annibale ricordano a tutti,
soprattutto nel momento attuale, il dovere di uno sguardo di fede «rivolto alla
messe, che si fa preghiera perché il Signore mandi in essa numerosi operai».
Proprio nel momento in cui si intende “ripartire da
Avignone”, i rogazionisti sono anche sempre più consapevoli dell’urgenza e
della necessità di una lettura attenta e profonda dei “segni dei tempi”, in
modo da poter individuare risposte adeguate in linea con l’ispirazione
carismatica, le esigenze della Chiesa e della società. Anche in questo il
modello a cui guardare è quello del loro fondatore che ha sempre saputo «dare
risposte concrete, innovative e profetiche alle situazioni di povertà e di
bisogno che si presentavano», intervenendo spesso anche «con pubbliche
denunce». Basti ricordare, fra tutte, la vicenda della “caccia ai poveri” a
Messina o l’intervento su un giornale barese a proposito dei ragazzi sbandati
della città.
L’INCULTURAZIONE
DEL CARISMA
I rogazionisti, anche se complessivamente sono poco meno
di 400, vantano però una loro presenza un po’ ovunque nel mondo.
L’inculturazione del proprio carisma, oggi soprattutto, è un problema cruciale
per tutti gli istituti religiosi. Basta rileggere anche solo gli atti del
recente congresso internazionale sulla vita consacrata per rendersene conto.
Anche i figli di sant’Annibale non potevano ignorare le diversità culturali da
loro incontrate nell’esercizio della loro missione apostolica. Così, ad
esempio, l’occidente, nel contesto della secolarizzazione e della modernità,
evoca necessariamente la crisi della dimensione religiosa con tutte le
conseguenze a livello giovanile e vocazionale e con tutte le esigenze che si
pongono a livello formativo.
In oriente, invece, si impone con sempre maggior evidenza
una società multietnica, multiculturale e multireligiosa, «con situazioni
tipiche da terzo mondo che offrono grandi opportunità nel campo della carità e
dell’educazione». Qui le vocazioni non mancano. Ma proprio l’alto numero di
quanti bussano alle porte di una casa religiosa, impone una «maggiore
attenzione al discernimento e un maggiore impegno formativo». Il continente
sud-americano, poi, è ormai noto un po’ ovunque non solo per la vivacità delle
sue espressioni di religiosità popolare, ma anche per la presenza di tante
strutture ingiuste sociali «che chiedono denuncia coraggiosa e profetica al
fianco dei poveri». La passata dolorosa esperienza nell’Africa centrale,
infine, sollecita un rinnovato impegno di evangelizzazione, di soccorso dei
poveri e di riconciliazione.
Ora anche i rogazionisti, immersi in queste diverse
realtà sociali, culturali e religiose, sono chiamati ad incarnare la propria
missione carismatica non ignorando ma valorizzando queste differenti
problematiche ambientali e culturali. Al tema specifico della inculturazione
era stata prestata una particolare attenzione già nel loro capitolo generale
del 1992, sulla scorta dell’enciclica Redemptoris missio, facendo propri i
criteri, i principi, i passi suggeriti da Giovanni Paolo II. Volendo evitare la
frantumazione e il depauperamento del proprio carisma, non rimane alternativa
al cercare l’unità nella diversità. Con un sempre più attento discernimento e
nel rispetto dei tempi e dei ritmi diversi, è necessario, perciò,continuare nel
cammino avviato.
VITA FRATERNA
E LAICI
Non è, però, possibile parlare di missione senza il
soggetto primo di riferimento, la comunità. Più che di vita comunitaria, ha
osservato p. Nalin, si preferisce oggi parlare opportunamente di vita fraterna.
L’accoglienza reciproca e la convergenza degli intenti sono molto più
importanti della semplice regolarità di una convivenza. Giustamente, allora, la
vita fraterna non può non essere una delle “colonne” più qualificanti dello
stile di vita, della consacrazione e della missione. Il fondatore dei rogazionisti
era solito parlare dello “spirito di famiglia” come di un presupposto
indispensabile per l’attuazione della missione. «La comunità religiosa come
luogo e soggetto della missione, è detto nel documento finale del loro ultimo
capitolo, progetta l’attività apostolica perché sia il risultato di un sentire
condiviso ed espressione della comunione fraterna».
Se la fraternità è presupposto, soggetto e luogo di
esercizio della missione, questa, però, a sua volta caratterizza e influenza
l’espressione della comunità stessa. Sono queste le ragioni di fondo per le
quali occorre oggi «tornare a riflettere e richiamare il senso, l’importanza e
l’essenzialità della vita fraterna in comunità». Al di fuori di una dimensione
comunitaria non ha senso, infatti, parlare di progettualità condivisa e
collegiale, di partecipazione, di coinvolgimento non occasionale, ma
sistematico ed organico ai vari livelli. Ed è sempre all’interno di questa
stessa dimensione fraterna della vita consacrata che oggi il ruolo del
superiore è sempre più quello di chi è chiamato ad essere «punto di raccordo
del dinamismo apostolico della comunità».
Come tutti gli istituti religiosi, anche i rogazionisti
si stanno ponendo seriamente il problema del rapporto con il laicato. Sono
andati maturando la convinzione di fondo che i laici non sono semplicemente uno
dei tanti temi oggi “di moda” o una “risorsa di supplenza”. L‘interesse nei
loro confronti «nasce da una riflessione ecclesiologica sia sul fronte della
complementarietà delle vocazioni come della comunione dei carismi». Anche la
codificazione delle modalità giuridiche di “appartenenza” dei laici alla
“famiglia rogazionista” non ha altro scopo che, in una piena condivisione del
carisma, aiutarli a diventare effettivamente una realtà in tutto l’istituto e
un campo specifico della “missione” rogazionista a cui dedicare «interesse,
lavoro e persone».
Gli ambiti specifici, poi, in cui impegnare i laici
rientrano a pieno titolo nel carisma proprio rogazionista: giovani, realtà di
coppia, volontariato. È il capitolo generale stesso che invita i rogazionisti a
rispondere ad una ricorrente richiesta dei laici «di un’attenta formazione
spirituale e di un loro inserimento significativo e valido nelle opere
pastorali e sociali dell’istituto».
ATTUAZIONE
DEL PROGETTO APOSTOLICO
A questo scopo, il testo capitolare richiede
esplicitamente ai rogazionisti di elaborare con loro progetti comuni, di
intraprendere assieme attività pastorali, di partecipare concretamente alle
iniziative di pastorale giovanile e vocazionale e a quelle educative e sociali
a favore dei piccoli e dei poveri, ad essere, in altre parole, «qualificati
punti di riferimento e centri di promozione delle associazioni laicali
rogazioniste, accompagnandone la crescita con carità spirituale e coinvolgendole
nella loro azione apostolica». Il fatto di aver assegnato per la prima volta a
un consultore generale specifico questo apostolato, indica chiaramente la loro
volontà di compiere un “salto di qualità” anche in ordine al ruolo dei laici
nell’ambito dell’istituto.
Ogni direttivo generale, all’inizio del proprio mandato,
ha sempre davanti a sé un compito preciso: attuare il progetto apostolico
post-capitolare dell’istituto. È quanto si sono proposto, nel loro incontro
messinese, i rogazionisti, chiamati a verificare la rispondenza tra l’ideale
carismatico e la sua attuazione nei prossimi anni, mediante la revisione, il
rinnovamento e il rilancio del proprio progetto apostolico. Non basta
accontentarsi di un “glorioso” passato. In questo preciso momento storico,
all’inizio del terzo millennio, alla luce del cammino della Chiesa e della vita
religiosa, del fenomeno ambivalente della globalizzazione, di una più matura
comprensione del carisma, del cammino internazionale dell’istituto, della
santificazione del fondatore e dell’ulteriore riconoscimento ecclesiale del suo
carisma, i rogazionisti si sentono impegnati a «valutare i percorsi in atto in
vista delle scelte da fare, per rilanciare la missione secondo gli orientamenti
che il capitolo stesso ha dato».
In un attento discernimento delle situazioni, delle
risorse in termini di persone, dei mezzi e degli ambienti, ha detto il
superiore generale, «dobbiamo individuare meglio gli ambiti del nostro servizio
perché risponda in maniera sempre più attuale all’ideale carismatico del Rogate
che ci ha lasciato il santo fondatore». A tale scopo non sarà mai del tutto
inutile ogni sforzo finalizzato alla ottimizzazione dell’uso delle risorse
disponibili «con le scelte adeguate, affinché le nostre capacità non si disperdano
in scelte e servizi impropri». Se il progetto apostolico non è sufficientemente
determinato e condiviso in ordine ad alcune ben determinate priorità, «c’è il
rischio di perdere la propria identità».
L’invito a verificare e a rilanciare la missione, ha uno
scopo ben determinato, quello di qualificare in senso carismatico le proprie
attività apostoliche, individuando, nello stesso tempo, «quali possano essere
le modalità “nuove” e in linea con i tempi perché il carisma possa diffondersi
ed incidere nella vita della Chiesa». Una sana verifica e una coraggiosa
revisione, richieste a tutti i livelli dell’istituto, ha concluso padre Nalin,
tendono a rafforzare i fronti specifici dell’impegno apostolico di
rogazionisti, vale a dire «quello della preghiera per le vocazioni e della sua
diffusione nel largo diagramma della Chiesa locale e quello dell’attenzione
agli ultimi, piccoli e poveri».
A. A.