VC IN CAMMINO VERSO IL FUTURO

TEMPO DI DIO TEMPO DI SPERANZA

 

I religiosi avranno futuro se non lasceranno inaridire la loro riserva di speranza, se non si disseteranno a fonti inquinate, ma si interrogheranno in maniera radicale sul Dio di Gesù Cristo lasciandosi interpellare dai compagni di viaggio loro contemporanei.

 

Il nostro tempo, per quanto fosco e minaccioso, è anche il tempo di Dio, come lo sono state tutte le epoche precedenti, un tempo favorevole o sfavorevole ai valori del Vangelo e alla loro incarnazione nelle varie culture, come in ogni altra epoca della storia. A molti tuttavia esso appare particolarmente ambivalente ed equivoco per la molteplicità di opinioni, di vedute e progetti frastornanti di vita. Ma è anche un tempo che invita alla speranza.

Si potrebbe dire: ci troviamo in un’epoca di esodo, di “uscita” del-l’“Egitto”, di abbandono di tante certezze e “plausibilità” sin qui avute che ci hanno sostenuto e dato sicurezza.

Stando ai numeri siamo chiaramente destinati a diminuire. Tante realtà cesseranno di esistere. Ma non dobbiamo avere paura per quanto riguarda la missione e il significato della nostra vita, se seguiremo quella visione che ha fondato e determinato, attraverso i tempi, la sequela di Cristo e la vita nel suo Spirito. Si tratta di testimoniare Dio in mezzo al mondo e di rendere tangibile agli altri un Dio che cammina con noi e si è fatto amico dell’uomo, che ama la vita e la sua creazione e desidera condurla al suo compimento.1

 

IN CAMMINO

COME I DUE DI EMMAUS

 

Se pertanto ci domandiamo (o ci viene chiesto): su quale fondamento poggia la tua vita in questo nostro tempo? Quale immagine di Dio, di Cristo e della Chiesa coltivi in te?, allora, mi sembra, dovremmo rimandare alla descrizione neotestamentaria (Fil 2) della via percorsa da Gesù: quella dell’abbassamento, dell’impotenza, della non violenza, del cammino con i poveri e l’intera creazione, quella che Gesù stesso ha scelto. Una spiritualità del genere (dell’annientamento e della croce), anche per il mondo postmoderno, è un presupposto indispensabile per poter stabilire un rapporto e un dialogo, per farsi compagni e vivere la com-passione con i poveri e gli abbandonati. Un atteggiamento siffatto non minaccia nessuno, né con l’ideologia, né col potere, il denaro o la saccenteria. Una spiritualità dialogica così intesa non si esprime con discorsi moraleggianti, ma soprattutto nel silenzio e nell’ascolto; è aperta alle esperienze di vita, di sofferenza e di fede degli altri. Si sente in cammino come i due discepoli di Emmaus. Con i loro dubbi e le loro oscurità. Ma anche con il Gesù ferito che aprì loro il senso delle Scritture, si manifestò ad essi allo spezzare il pane e che dice anche a noi quali “meravigliose” pieghe le crisi possono prendere.

Per il nostro cammino verso il futuro è perciò importante che anche noi, come i discepoli di Emmaus, ci liberiamo dai monologhi che ci agitano dentro, cambiamo argomento e volgiamo lo sguardo altrove. Che cosa è stato, cosa avrebbe potuto essere “se”... tutti ricordi più o meno gloriosi del passato e il rincrescimento per la mancata realizzazione di ciò che si era sognato, tutto questo ha certamente il suo fascino, ma saremmo vittime una volta ancora di queste illusioni, dei figli della nostalgia e dell’illusione.

La vita, il futuro e la speranza non nascono assolutamente da qui. I cristiani, e in particolare i religiosi, avranno futuro e costruiranno il futuro se non lasceranno inaridire la loro riserva di speranza, se non nutriranno la loro spiritualità a fonti inquinate, ma si interrogheranno in maniera radicale sul Dio di Gesù Cristo e si lasceranno interpellare dai loro contemporanei e compagni di viaggio, su come oggi lo si può sperimentare e testimoniare.

 

I VOTI RELIGIOSI

E LA RADICALITÀ DELL’AMORE

 

Le comunità religiose, le istituzioni di vita consacrata hanno il compito di essere cellule, oasi, case in cui Dio viene sentito come un “Dio della vita” e dove questa fede è significativa e sta alla base delle comunità e dei rapporti, dove possa essere avvertita come una realtà che è salutare, risanatrice e liberante. Esse sono state sempre creatrici di cultura umana. Hanno amato la realtà che di volta in volta hanno incontrato, l’hanno considerata criticamente e cercato di plasmarla ed evangelizzarla. Come tutta la Chiesa, esse hanno il compito di cambiare e trasformare il mondo orientandolo al definitivo compimento in Gesù Cristo, che è esso stesso opera dello Spirito Santo. I consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza devono essere compresi come un servizio alla vita, come fonti di energia spirituale con cui la Chiesa e il mondo possano essere positivamente cambiati. La vita secondo i consigli evangelici può anche oggi essere intesa positivamente come servizio alla pienezza della vita. La tendenza ancora forte di comprenderla soprattutto e quasi esclusivamente come rinuncia, nel mondo d’oggi che sfida la solidarietà cristiana, non può bastare né essere convincente. I cristiani non dovrebbero distinguersi solo per la radicalità della rinuncia, ma per la radicalità dell’amore, del rischio e del servizio alla vita.

Penso che sia lo stesso Spirito di Dio che ci guida a una comprensione vitale gioiosa dei consigli evangelici, lungi da tutti i tentativi di interpretazione ostili alla vita tipici del passato.

Certamente i consigli evangelici sono e rimangono segni della sequela di Gesù povero e crocifisso. Essi portano i cristiani che hanno abbracciato questa forma di vita a una maggiore conformità con la vita di Cristo. Consentono di condividere il suo pellegrinaggio terreno, anche per quanto riguarda la sofferenza e la morte. Tuttavia i voti sono qualcosa di più. Essi consentono di partecipare anche alla risurrezione di Cristo, alla sua glorificazione e all’invio dello Spirito, al cambiamento del mondo nel sua forma definitiva. Sono al servizio della creazione e della vita. Sono in modo tutto caratteristico memoria di Gesù e profezia di quello Spirito che è effuso nel mondo dal Padre e dal Figlio.

Ai consigli evangelici appartiene un atteggiamento di fondo: la libertà di mettersi al servizio del regno di Dio e della sua giustizia. La loro intenzione fondamentale è quella dell’amore e del servizio alla vita, e questo intento non riguarda solo la legalità, ma può essere anche molto creativo, intuitivo e liberante. La povertà, la castità celibataria e l’obbedienza sono una forma di consacrazione al Dio della vita e dell’amore. Nello stesso tempo sono espressione di un invio, rivolto a portare in tutto il mondo l’unico amore, affinché tutti abbiano la vita e riconoscano l’unico amore di Dio.

Una forma di vita del genere è significativa se viene intesa profeticamente, se orienta lo sguardo, quello proprio e quello dei nostri contemporanei, oltre l’esistente, se rende sensibili alla liberazione degli uomini, di tutti coloro che sono oggetto di abuso, di maltrattamenti e non sono amati.

 

SPERANZA

E FUTURO

 

Essa insegna a vivere in modo tale che ci sia vita per tutti e per la creazione. La logica della rinuncia “per il regno dei cieli” non è una logica di rinnegamento della vita o della libertà o di fuga dal mondo, ma un assenso alla vita e un volgersi pieno d’amore al mondo. È un’opzione per la vita e un impegno soprattutto là dove essa è minacciata. È un sì deciso all’inculturazione del vangelo nel mondo d’oggi.

Nella forma di vita secondo i consigli evangelici non si tratta di idealizzare il bisogno, la privazione o la rinuncia, ma di un più concreto sì detto alla vita, a un divenire più ricchi in libertà, un sì alle possibilità di vita e di futuro per tutti e per la creazione.

La speranza si fonda nel ricordo, non nel ragionamento. Come il ricordo delle ferite del passato ci devono preservare dal ripetere ciò che ci ha ferito, allo stesso modo anche il ricordo dell’amore vissuto, delle cose positive deve infonderci speranza nella difficile situazione attuale e nel cammino verso il domani. Il ricordo non ci collega solo col nostro passato, ma ci mantiene in vita anche nel presente e ci apre cammini di speranza per il futuro.

Siamo invitati a un tipo di ricordo, simile a quello a cui giunsero alla fine anche i due discepoli di Emmaus, dopo che Gesù si era fatto loro compagno. Dimenticata la sofferenza per la perdita di ciò che avevano sperato, cresce la convinzione che, così come sono andate le cose, ciò doveva derivare da una logica più profonda che si rivela sempre a coloro che sono aperti alla sorpresa. Il Signore doveva soffrire e risorgere. E come si dice bene: solo dopo si scopre il segreto.

Nella concezione cristiana, ricordare o ripensare a un avvenimento nel suo insieme significa ben più che superarlo concettualmente come qualcosa di passato o presente: il ricordo si basa sull’esperienza di fede, sul fatto che la creazione di Dio, l’incarnazione del suo Figlio e l’invio dello Spirito non sono avvenimenti una volta per sempre, ma processi che continuano nella storia, con cui noi possiamo entrare in vivo contatto. Per questo, ogni ricordo concreto è sempre un incontro con il Dio della vita e della storia.

È contemplazione, espressione di stupore e di ringraziamento per la presenza di Dio in tutto, per la venuta e la donazione di vita di Gesù, per la perdurante presenza di ambedue nello Spirito Santo, nella Chiesa. ma anche oltre. nel mondo e nelle altre religioni; espressione infine di certezza che la presenza di Dio porterà tutto a un buon compimento finale.

Il ricordo avviene anche nell’eucaristia che è annuncio della morte e risurrezione del Signore fino al suo ritorno. Questo ricordo eucaristico abbraccia tutta la storia umana e l’intera creazione vivente o non vivente e la pone nella luce dell’amore di Dio che tutto può cambiare. Non è in definitiva un ricordo nostalgico e storicamente dimenticato, ma qualcosa di quanto mai spiritualmente presente: come per le vergini prudenti del Vangelo, esso tiene davanti allo sguardo ciò che è importante quando il Signore verrà. Quello che conta è così descritto, a modo suo, da A. de Mello: «Un discepolo chiese al suo maestro: posso fare qualcosa per essere illuminato? E il maestro: così poco quanto poco tu cooperi al sorgere del sole il mattino. E allora a che servono le pratiche spirituali che tu prescrivi? Per essere sicuro che tu non dorma quando il sole sorge».

Siamo invitati a un nuovo incontro “contemplativo” con il mondo. Solo allora potremo capire che cosa dobbiamo fare e dove forse dobbiamo andare. La contemplazione, sia quella in clausura sia quella nel mondo, è un continuo esercizio di fede nella vita. Non è compito o privilegio di pochi: è il cuore sensibile, il l’intuito spirituale e profetico che tutti i cristiani hanno per i “segni dei tempi”, per ciò che è salutare e ciò che non lo è, per il bello e il brutto. «Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,16ss).

La contemplazione secondo una spiritualità “contemporanea” ci insegna a scavare pozzi prima che la sete ci faccia soccombere, ci insegna ad avere quello sguardo profondo che, secondo un proverbio asiatico, riconosce «nel grano il fiore e nell’uovo l’aquila».

La contemplazione è anche la necessaria fonte di energia per plasmare in maniera significativa il mondo. Gesù stesso dopo l’incontro con il Padre “in un luogo solitario”, scese dalla montagna e uscì dal deserto per tornare alle folle dei poveri, malati e ai bisognosi di aiuto, a coloro che speravano. Allo stesso modo anche noi abbiamo bisogno di luoghi cristiani di silenzio, della parola e del gesto che risana, della comunicazione amichevole: non credere contro il mondo ma nel mondo, con il mondo e per il mondo.

Lo Spirito di Dio ricorda alla Chiesa il fondamento sui cui poggia la sua vita. La introduce sempre di nuovo alla vita e alle parole di Gesù (cf. Gv 16,13). Infatti la Chiesa è via non meta: è mezzo non fine a se stessa. Sulla via verso il regno di Dio essa deve continuamente evangelizzare se stessa. Lo Spirito le mostra come deve comprendere il presente, come superarlo e come cambiarlo e le anticipa con dei segni e dei cenni il futuro.

Questa percezione, questa anticipazione avviene meno nelle parole quanto piuttosto nell’esempio, nella cultura di vita degli uomini che si orientano all’esempio di vita di Gesù, e in maniera liturgica sacramentale nella celebrazione dell’Eucaristia. Infine, lo Spirito di Dio è anche il garante e la “caparra” che il futuro sarà buono.

 

1 Le riflessioni qui presentate sono ricavate in forma molto sintetica da una conversazione che p. Hermann Schalück ha tenuto, lo scorso mese di settembre, in occasione della giornata dei religiosi/e che ha avuto luogo a Limburg (Germania).