IL PAPA SU MATRIMONIO E FAMIGLIA
MATRIMONIO VOCAZIONE ALL’AMORE
Benedetto XVI, al
convegno della diocesi di Roma sulla famiglia (6 giugno 2005), ha pronunciato
un discorso chiaro ed esplicito, che riflette il tono del suo magistero e
l’importanza attribuita alla famiglia, contro le attuali deformazioni.
«Matrimonio e famiglia – ha detto Benedetto XVI – non
sono in realtà una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni
storiche ed economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra
l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda
dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui…
l’uomo è creato a immagine di Dio, e Dio stesso è amore. Perciò la vocazione
all’amore è ciò che fa dell’uomo l’autentica immagine di Dio: egli diventa
simile a Dio nella misura in cui diventa qualcuno che ama».
Il papa radica il matrimonio e dunque il rapporto d’amore
tra l’uomo e la donna nella vocazione all’amore che è la verità della persona.
“Unidualità” è il termine che Giovanni Paolo II ha usato, per esprimere in una
sola parola il senso del versetto biblico: “A immagine di Dio li creò, maschio
e femmina li creò” (Gn 1,27).1
Possiamo dire che Dio alle origini della creazione ha
scelto un modo eccellente per autopresentarsi: la coppia umana: “Facciamo
l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. Il plurale sottolinea che Dio è
pluralità di persone in comunione e non potrebbe rispecchiarsi adeguatamente se
non in una pluralità di persone destinate alla comunione. Spesso dimentichiamo
quest’originario riflettersi di Dio nella creazione, che è stata considerata la
sua prima kenosi, antecedente l’incarnazione.
Ricorda il Compendio della dottrina sociale cattolica a
partire dal fondamento biblico: «L’essere umano è fatto per amare e senza amore
non può vivere» (223). «L’amore fa sì che l’uomo si realizzi attraverso il dono
sincero di sé: amare significa dare e ricevere quanto non si può né comprendere
né vendere, ma solo liberamente e reciprocamente elargire» (Gratissimum sane,
Lettera alle famiglie di Giovanni Paolo II, 11). Perciò la coppia umana,
cristiana o meno, in quanto creata da Dio a sua immagine, realizza la propria
felicità e il proprio dover essere, se vive nell’amore reciproco rendendo
trasparente il suo Creatore. Nella reciprocità diviene evidente che il
fondamento in Dio riguarda non solo l’uomo e la donna in quanto persone
distinte, ma anche il loro rapporto: “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”
indica non solo che Dio è creatore dei due separatamente, ma anche che egli è
colui che ne “tiene” l’unità. Due sposi che si amano ritrovano pienamente se
stessi nel rimando a Dio. Il loro amore vissuto fino in fondo giunge a “bucare”
il cielo, per usare una espressione del mondo della TV, nel senso che
riallaccia l’amore umano alla sua fonte. Del resto senza il fondamento
verticale della relazione, l’io e il tu si appoggiano l’uno all’altro,
rischiando di cadere entrambi, per il fatto che mancano di quel terzo che ne è
l’armonia. L’attrazione amorosa infatti non è lontana dai rischi
dell’annullamento dell’altro, della conflittualità permanente o
dell’omologazione incapace di rispettare le differenze. Dio, come terzo tra i
due, salva l’amore umano dalla tendenza nullificante della passione, dalla
tentazione dell’annullamento dell’io nell’altro, considerato un Dio o
dell’annullamento dell’altro nell’io, elevato a Dio (Simone Weil usava
l’espressione “cannibalismo sociale”).
Ogni progetto di rievangelizzazione non può che tornare a
reinterpretare il “principio”, cercando di comprendere sempre meglio il disegno
iniziale di Dio. Al “principio” torna e ritorna perciò nel tempo un
cristianesimo che voglia approfondire la comprensione antropologica dell’uomo e
della donna nella relazione che li rimanda, ciascuno e insieme, al Creatore,
oltre che l’uno all’altra.
AMORE E ISTITUZIONE
MATRIMONIALE
La seconda riflessione parte dal seguente passaggio: «…
Dalle due connessioni, dell’uomo con Dio e nell’uomo del corpo con lo spirito,
ne scaturisce una terza: quella tra persona e istituzione. La totalità
dell’uomo include infatti la dimensione del tempo, e il sì dell’uomo è un
andare oltre il momento presente: nella sua interezza, il sì significa “sempre”,
costituisce lo spazio della fedeltà… la più grande espressione della libertà
non è allora la ricerca del piacere, senza mai giungere a una vera decisione; è
invece la capacità di decidersi per un dono definitivo, nel quale la libertà,
donandosi, ritrova pienamente se stessa… questo sì personale non può non essere
un sì anche pubblicamente responsabile, con il quale i coniugi assumono la
responsabilità pubblica della fedeltà. Nessuno di noi infatti appartiene
esclusivamente a se stesso: pertanto ciascuno è chiamato ad assumere nel più
intimo di sé la propria responsabilità pubblica. Il matrimonio come istituzione
non è quindi una indebita ingerenza della società o dell’autorità,
l’imposizione di una forma dal di fuori; è invece esigenza intrinseca del patto
dell’amore coniugale».
Si è molto sottolineato in questi anni il disagio di un
matrimonio senza amore, sino a diffondere la convinzione che la causa dei
fallimenti fosse l’istituzione stessa, di per sé superflua e in via di
estinzione. La famiglia-istituzione è apparsa una imposizione senza senso e il
matrimonio un fardello. Anche per questo sono aumentate le “famiglie di fatto”,
le convivenze more uxorio senza legame né civile né religioso, che tentano di
sfuggire agli aspetti istituzionali e giuridici, ma pongono anche nuovi
problemi alla società e alle scelte politiche relative in ordine alla
salvaguardia della dignità delle persone.
L’idea dell’istituzione matrimonio come prigione ha le
sue radici nella critica marxista e nella rivolta femminista contro la
famiglia. Ma la denuncia del marcio della famiglia borghese non ha potuto
prevalere sul desiderio degli amanti di non restare rispetto ad essa dei
singoli e di avvertire perciò che il loro amore non è solo cosa privata, ma
contiene in sé un fermento sociale che deve essere portato a visibilità. Se è
vero che l’istituzione ha spesso coperto di formale riconoscimento giuridico la
diversa e funzionale attribuzione degli oneri e degli onori e talvolta lo
sfruttamento dei più deboli, non può però essere liquidata di per sé come lo
strumento dell’ingiustizia e dell’oppressione.
PREUDO-MATRIMONIO
E PSEUDO-LIBERTÀ
Il consenso al progetto di vita matrimoniale appartiene
ai due sposi. Nella libertà della scelta, ciascuno vincola il corpo,
l’intelligenza, le disposizioni dell’energia psichica in un mutuo dono di sé
che scaturisce dall’amore e dal libero consenso di tutta la persona. Tale
consenso viene prima e dà ragione della realtà socio-istituzionale e anche
sacramentale.
Nessuno può sostituirsi ai due coniugi, al lavoro lento e
profondo di crescita nell’amore che essi fanno quotidianamente, a cominciare
dal periodo del fidanzamento, quando la comunicazione costante e profonda aiuta
a radicare il matrimonio su basi ben più salde delle sollecitazioni erotiche
verso cui spingono i mass-media.
L’istituto matrimoniale interviene a proteggere e
puntellare la stabilità dell’amore e la sua fecondità; perciò dagli antichi era
inteso come munus matris, con riferimento alla protezione del diritto della
madre e del bambino e quindi alle responsabilità connesse alla genitorialità.
L’istituzione infatti dà carattere oggettivo alla promessa con la quale
ciascuno dei due garantisce la fedeltà e l’assunzione degli impegni legati alla
dichiarazione d’amore.
Le varie forme attuali di dissoluzione del matrimonio,
tra le quali Benedetto XVI ha citato le unioni libere e il matrimonio di prova
o lo “pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso”, sono piuttosto
espressioni “di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per vera
liberazione dell’uomo”. Questa pseudo-libertà si fonda “su una banalizzazione
del corpo, che inevitabilmente include la banalizzazione dell’uomo”. «Il suo
presupposto è che l’uomo può fare di sé ciò che vuole: il suo corpo diventa
così una cosa secondaria dal punto di vista umano, da utilizzare come si vuole.
Il libertinismo, che si fa passare per scoperta del corpo e del suo valore – ha
concluso il papa – è in realtà un dualismo che rende spregevole il corpo,
collocandolo per così dire fuori dall’autentico essere e dignità della
persona».
L’accordo delle intenzioni personali di un uomo e una
donna dà al matrimonio un carattere sacro, creando le basi per quell’amore
fedele che rende i due felici di vivere insieme e corresponsabili del peso
della cura. Il compito dell’istituto matrimoniale è di fissare puntelli
normativi che riconoscano l’importanza e la stabilità della famiglia, ne
garantiscano la soggettualità e tutelino i soggetti più deboli. Se accade per
una ragione o per un’altra, che un coniuge si rende colpevole nei confronti
dell’altro, allora l’istituzione garantisce il rispetto dell’equità. Il «sì
personale non può non essere un sì anche pubblicamente responsabile, con il
quale i coniugi assumono la responsabilità pubblica della fedeltà. Nessuno di
noi infatti appartiene esclusivamente a se stesso: pertanto ciascuno è chiamato
ad assumere nel più intimo di sé la propria responsabilità pubblica… Il
matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o
dell’autorità, l’imposizione di una forma dal di fuori; è invece esigenza
intrinseca del patto dell’amore coniugale».
UN CONSENSO RIPETUTO
OGNI GIORNO NELLA VITA
Certo non sempre vi sono le condizioni giuste per
stabilire un patto matrimoniale solenne e pubblico. Si pensi ai casi di ragazze
madri che si sposano solo per il sopraggiungere di gravidanze inattese, quando
il matrimonio subentra a sanare situazioni critiche.
In tal caso i fidanzati si espongono al rischio di
fallire, avendo posto basi troppo fragili a un’unione vista come “riparazione”.
È importante sottolineare che il rapporto con l’istituzione non è a senso
unico: impegnarsi pubblicamente nell’alleanza coniugale con la relativa
responsabilità in confronto ai figli è anche una richiesta di impegno, nel senso
che gli sposi in qualche modo “costringono” la società tutta a prendere atto
dell’esistenza del loro matrimonio e a impegnarsi a sostenerlo. Anche quando le
condizioni sono ottimali, gli sposi non possono essere lasciati soli. La
comunità tutta accoglie con gioia e rispetto la promessa dei due, impegnandosi
alla solidarietà con quei coniugi di fronte ai problemi della casa, dei figli,
dell’economia, del lavoro, specie nel mondo contemporaneo quando il sostegno
delle famiglie d’origine viene meno e il matrimonio diventa più fragile di
fronte alle molteplici sfide della società complessa.
Se l’istituzione senza amore è uno scheletro, l’amore
senza istituzione è più fragile, esposto alla precarietà e al non
riconoscimento da parte di quella società che si è evitato di coinvolgere. Il
consenso richiesto dall’alleanza coniugale non può essere soltanto puntuale,
ossia limitato al sì davanti al prete o al sindaco; è ciò che quotidianamente i
coniugi ripetono con la vita l’uno all’altro perché vogliono conservare
all’amore la sua freschezza. Il matrimonio infatti può divenire la scusante per
pretendere ciò che si ritiene dovuto. Il rinnovo quotidiano del consenso negli
sposi è “obbedienza reciproca” nel quadro dell’amore che vuole la felicità
propria e dell’altro, anche se essa comporta la rinuncia alla propria volontà.
«Dio ha creato, il che significa non già che egli ha
prodotto qualcosa fuori di sé, ma che si è ritirato, consentendo a una parte
dell’essere di essere altro da Dio. A questa rinuncia divina risponde la
rinuncia della creazione, cioè l’obbedienza. L’universo tutto intero non è
altro che una massa compatta di obbedienza... Tutto obbedisce a Dio, di
conseguenza tutto è perfettamente bello.
Sapere questo, saperlo realmente, è essere perfetti come
è perfetto il Padre celeste... Quando si concepisce l’universo come un’immensa
massa di obbedienza cieca, disseminata di punti di consenso, si concepisce
anche il proprio essere come una piccola massa di obbedienza cieca, con al
centro un punto di consenso.
Il consenso è l’amore soprannaturale, è lo Spirito di Dio
in noi... Nel momento in cui consentiamo all’obbedienza, noi siamo generati
dall’acqua e dallo spirito. Siamo da quel momento un essere composto unicamente
di spirito e acqua. Il consenso a obbedire è mediatore fra l’obbedienza cieca e
Dio. Il consenso perfetto è quello del Cristo» (Simone Weil).
Giulia Paola Di
Nicola e Attilio Danese
condirettori di
“Prospettiva Persona”
1 Quanto siano importanti le riflessioni del papa lo
dimostra – qualora ce ne fosse ancora bisogno – anche l’approvazione, avvenuta
nelle settimane scorse, a Strasburgo al parlamento europeo, della “Risoluzione
sulla protezione delle minoranze e le politiche contro la discriminazione
(Rapporto Moraes) con 360 voti a favore, 272 contrari e 20 astenuti, in cui
viene chiesta la ridefinizione del concetto di famiglia nei singoli paesi
membri dell’Unione Europea, includendo tra i discriminati gli omosessuali.