VERSO IL CONVEGNO ECCLESIALE DI VERONA
SOLO INSIEME SAREMO LIEVITO
In vista del
convegno ecclesiale delle chiese d’Italia (Verona, ottobre 2006), la
Commissione CEI per il laicato chiede ai fedeli laici di mettersi in
atteggiamento di verifica circa la testimonianza del regno di Dio nel mondo
contemporaneo e la disponibilità a vivere la corresponsabilità.
Al recente congresso eucaristico di Bari il tavolo del
laicato ha mostrato segnali incoraggianti di nuova consapevolezza sul ruolo dei
cristiani delle parrocchie e delle aggregazioni in ordine alla nuova
evangelizzazione.
Il tema della laicità, in un momento storico segnato dal
relativismo prodotto da quella che possiamo definire una seconda
secolarizzazione, diventa sempre più scottante. Giuseppe Savagnone lo ha
indicato lucidamente: «Spesso noi cristiani oscilliamo tra un clericalismo e un
laicismo, tra il voler imitare i preti e la non testimonianza nella società dei
valori cristiani. Questa è la morte del laicato. Finiscono per essere i
giornali a dettare la linea. Vanno recuperati invece tutta una serie di stili
per essere fermento nella società. Tutta la vita della Chiesa deve diventare
germe, fermento».
INSIEME PER UNA
TESTIMONIANZA EFFICACE
Proprio a Bari ha iniziato a circolare la Lettera Fare di
Cristo il cuore del mondo, a firma di mons. Paolo Rabitti, presidente della
Commissione episcopale per il laicato. «Il compito dell’annuncio e della
testimonianza del Vangelo ci riguarda tutti: vescovi, presbiteri, diaconi,
uomini e donne di vita consacrata, laici e laiche siamo una Chiesa di
“collaboratori per il Vangelo” (cf. Fil 4,3). Ma quest’opera assume una
specifica connotazione nella vita dei fedeli laici… Solo cooperando
concordemente, vivendo «secondo la verità nella carità» (Ef 4,15), si renderanno
l’evangelizzazione e la testimonianza cristiana efficaci e credibili. Solo
insieme potremo essere lievito che fermenta la pasta del mondo in regno di Dio.
Solo coniugando i nostri rispettivi e complementari compiti, di pastori, di
religiosi e di laici, la Chiesa sarà in grado di fare di Cristo il cuore del
mondo».
La Lettera vuole mettere a fuoco le responsabilità
storiche delle nostre chiese in questo tempo singolare, perché i fedeli laici
non trascurino le loro responsabilità, ma riempiano l’oggi con la loro
testimonianza evangelica. Il testo è impostato sulla narrazione dell’incontro
di Gesù risorto con i due discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35). Per riconoscere il
Risorto, i due debbono purificare ogni desiderio frustrato, affinare il
discernimento, riconsiderare radicalmente il disegno misterioso che la
rivelazione di Dio svela. Non è facile infatti poter dire se le coordinate
culturali dell’epoca moderna siano ancora del tutto attuali o se siamo all’alba
di nuovi modi di pensare, di orientare e di organizzare l’esistenza.
La tecnologia e la scienza, l’economia e la politica
stanno ridisegnando i confini tradizionali del sapere e della convivenza, in un
crogiolo di culture che postulano nuove sintesi. Nuovi popoli e nuovi poteri
sembrano spostare il baricentro dell’ordine mondiale verso direzioni
difficilmente decifrabili.
In questo contesto, una sempre più diffusa indifferenza
all’annuncio cristiano insinua nei credenti un senso di scoramento e di
rinuncia o, al contrario, una forma di reazione frontale verso il mondo. Come
per i due discepoli di Emmaus occorre cominciare a leggere alla luce della fede
il disegno di Dio nella storia che viviamo, rimettersi per strada e portare
l’annuncio di Gesù Risorto alla gente che ci vive accanto, dentro una comunità
ecclesiale più consapevole e responsabile.
Molti passi sono stati compiuti, negli ultimi decenni,
sulla strada della promozione dei fedeli laici nella vita e nella missione
della Chiesa. Non sempre però l’auspicata corresponsabilità ha avuto adeguata realizzazione
e non mancano segnali contraddittori. Si ha talora la sensazione che lo slancio
del Vaticano II si sia attenuato. Si evidenzia una diminuita passione per
l’animazione cristiana del mondo del lavoro e delle professioni, della politica
e della cultura.
Vi è anche un impoverimento di servizio pastorale
all’interno della comunità ecclesiale. Con coraggio i vescovi affrontano la
questione centrale: «A volte, può essere che il laico nella Chiesa si senta
ancora poco valorizzato, poco ascoltato o compreso.
Oppure, all’opposto, può sembrare che anche la ripetuta
convocazione dei fedeli laici da parte dei pastori non trovi pronta e adeguata
risposta, per disattenzione o per una certa sfiducia o un larvato disimpegno.
Dobbiamo superare questa situazione».
È indispensabile insomma uscire dall’errato atteggiamento
interiore che fa sentire il laico più “cliente” che compartecipe della vita e
della missione della Chiesa.
La riscoperta della comunione, come piena partecipazione
alla natura della Chiesa, postula che tutti scoprano la Chiesa come “patria
spirituale” per porsi al suo servizio.
Il fedele laico, pertanto, «non può mai chiudersi in se
stesso, isolandosi spiritualmente dalla comunità, ma deve vivere in un continuo
scambio con gli altri, con un vivo senso di fraternità, nella gioia di
un’uguale dignità e nell’impegno di far fruttificare insieme l’immenso tesoro
ricevuto in eredità. Lo Spirito del Signore dona a lui, come agli altri,
molteplici carismi; lo invita a differenti ministeri e incarichi; gli ricorda,
come anche lo ricorda agli altri in rapporto con lui, che tutto ciò che lo
distingue non è un di più di dignità, ma una speciale e complementare
abilitazione al servizio» (Giovanni Paolo II).
Per alimentare tale comunione, generatrice di missione,
dalla quale emerge la peculiare vocazione di ciascuno, è necessaria una
continua immersione nel pensiero, nella preghiera, nella vita di Cristo. Solo
lui comunica la sua persona, il suo piano, il suo mistero, il suo progetto,
“aprendo i nostri occhi”, rendendoci capaci di riconoscerlo, di farlo abitare
nei nostri cuori e di correre a rivelarlo ai fratelli.
RISCOPRIRE
LA COMUNIONE
Il senso della Lettera non è tanto quello di indicare le
pur necessarie e urgenti riforme intraecclesiali (in questo si spera che il
prossimo convegno di Verona non si perda in appelli o slogan, ma indichi
coraggiosamente cosa va davvero cambiato, in termini di relazioni e di
strutture di partecipazione, a partire dalle comunità locali!), quanto quello
di appellarsi ai laici affinché non abbandonino il campo, impegnandosi per le
vocazioni sacerdotali, per testimoniare coi fatti il valore del matrimonio,
rifacendo il tessuto delle comunità senza mettersi a litigare secondo la logica
delle diverse appartenenze.
Soprattutto si chiede di approfondire la relazione tra
sequela di Cristo e vita nel mondo: «per il laico cristiano, non sono due
strade separate – l’una sacra, l’altra profana – da percorrere in parallelo,
come esperienze autosufficienti e impermeabili. Sono invece l’espressione di
una medesima chiamata alla santità, in cui ogni momento, collegato agli altri,
consente la circolazione benefica di un unico flusso di amore, di grazia e di
missione. Sull’importanza di una corretta sintesi tra fedeltà al Vangelo e
responsabilità personale nell’applicarlo alle scelte quotidiane nel dialogo tra
Chiesa e mondo, dobbiamo tornare a riflettere insieme».
Vi è una duplice attesa nei confronti dei laici. Da un
lato, la Chiesa ripropone gli ampi spazi di servizio in cui essi possono e debbono
dare il proprio specifico apporto, dall’evangelizzazione alle varie forme di
educazione alla fede e alla preghiera, alla celebrazione dei sacramenti, alla
carità fraterna, all’attenzione ai poveri, soprattutto attraverso iniziative di
volontariato e scelte profetiche di condivisione e di solidarietà. Dall’altro
lato, li esorta ad assumere in pieno la prossimità con tutti gli uomini e le
donne del proprio tempo, con i loro problemi e i loro percorsi sociali e
culturali.
Spetta al laico trovare le parole per comunicare, in modo
vero ed efficace, l’unica Parola che salva, portare l’annuncio della
misericordia e del perdono nella città degli uomini, inserendolo nelle sue
leggi, dialogare con le culture in cui è immerso, imparare ad ascoltarle, a
metterle in crisi, a rianimarle alla luce del Vangelo.
«Alle soglie del nuovo millennio cristiano, invitiamo il
laicato delle nostre chiese ad aiutarci a leggere la mappa del nostro tempo e a
concorrere efficacemente per far crescere un nuovo modello di vita ispirato ai
più alti valori umani e cristiani. In tal modo potranno dare un grande
contributo al progetto culturale della Chiesa italiana».
Le zone più delicate di questa mappa (dove l’assenza del
Vangelo appare oggi più grave e la necessità di una nuova semina missionaria si
rende più urgente) sono condensate intorno alla categoria della “relazione”,
che trova nel mistero della comunione trinitaria la sua radice e la sua forma.
UN DONO
OFFERTO A TUTTI
Dobbiamo ritrovare il senso ultimo del nostro incontro
con Dio in Cristo nel cuore stesso di ogni apertura relazionale, a cominciare
da quella relazione riflessiva, dell’io con se stesso, dalla quale dipende la
nostra identità personale, per arrivare alla relazione con gli altri nella
fraternità universale e a quella con il creato affidato alle nostre mani. Qui
ci vengono offerti gli spunti più interessanti.
In primo luogo, la possibilità di incontrare il Signore
della vita, nel cuore della più profonda interiorità in cui si incontra se
stessi, distingue la fede da qualsiasi evasione alienante e ne fa uno
straordinario “valore aggiunto” recato dal cristianesimo, che consente di
unificare il vissuto umano, nel segno di un’autentica integrità antropologica.
In secondo luogo, in un mondo globalizzato, continuamente
in bilico tra il sogno di un nuovo ordine mondiale e feroci sussulti di
violenza terroristica, in una convivenza umana ferita dal peccato personale e
mortificata da vere e proprie strutture di peccato, il cristiano deve
alimentare la profezia evangelica di una civiltà fraterna, traducendola in una
nuova sintesi di giustizia e amore, capace di mettere in equilibrio, nella
città degli uomini, l’obbedienza alla legge e la gratuità del dono. Infine, i
vescovi riconoscono che spetta al laico il compito di adoperarsi concretamente
per spingere in profondità la sonda dell’umana intelligenza e ridisegnare
continuamente i termini di un corretto equilibrio fra azione e contemplazione
nel nostro rapporto con il creato.
Il cristianesimo è grazia, è la sorpresa di un Dio che,
non pago di creare il mondo e l’uomo, si è messo al passo con la sua creatura.
«Questa sorpresa di Dio, tenuta in serbo dalla comunità cristiana come un dono
assolutamente gratuito e sorgente di stupore, è affidata a noi tutti; a voi
laici soprattutto, che sperimentate ogni giorno il miracolo della vita e la
fragilità dell’esistere, la gioia degli affetti e la fatica del lavoro, la sete
di felicità e lo scandalo del male. Anche voi siete chiamati a comunicare
questa sorpresa di Dio, nelle forme dirette dell’annuncio e del dialogo, e in
quelle – più discrete, ma non meno eloquenti – della condivisione e della
testimonianza. Nella vostra vita parla, in un certo senso, tutta la comunità
cristiana, che, proprio per questo, ha bisogno delle vostre parole e delle
vostre mani, della vostra intelligenza e del vostro cuore».
Si chiede al laicato di “venire nella vigna”, operosi e
missionari, così che questa nazione, che ha avuto la grazia di ricevere il
Vangelo nella prima ora dell’era cristiana, sia in grado di custodirlo e di
irradiarlo nel nuovo millennio.
Mario Chiaro