SEMINARIO DI STUDIO A SEVESO
LA VOCAZIONE E LE SUE RESISTENZE
Il Seminario di
Seveso (MI) ha messo a tema una giornata interdisciplinare per esplorare il
complesso rapporto tra la vocazione e le sue resistenze. La resistenza, segnale
di una personalità consistente capace di destrutturarsi per il Vangelo, può
essere anche segnale di difficoltà ad assumere la qualità cristiana della vita.
La giornata organizzata nella sede del Seminario di
Seveso (anno accademico 2004/5, 27 aprile 2005) ha inteso procedere
nell’esplorazione della tematica della vocazione.
Nella giornata interdisciplinare dell’anno precedente i
professori di diverse discipline teologiche si sono confrontati sulla nozione stessa
di vocazione. Nella ripresa di quest’anno i professori coinvolti hanno indicato
con il titolo “Se ne andò via triste – La vocazione e le sue resistenze”
l’intenzione di confrontarsi sulle forme che assume il rifiuto della vocazione
e sull’interpretazione che se ne può dare.
Si è apprezzata la complessità dell’argomento e proprio
per questo non siamo pervenuti a una proposta sufficientemente elaborata e
condivisa da esprimersi in una pubblicazione. Il tentativo è di raccogliere in
modo schematico i contenuti delle relazioni e di puntualizzare alcune
acquisizioni, senza la pretesa di una conclusione, piuttosto nel desiderio di
stimolare ulteriori riflessioni.
TRA RESISTENZA
E RESA
La relazione del biblista Franco Manzi (Attestazione
neotestamentaria sulle resistenze alla vocazione apostolica) ha visitato le
pagine della letteratura neotestamentaria che attestano diverse storie di
resistenze. Alcune narrazioni, collocate durante il ministero pubblico di Gesù,
presentano un esito negativo o incerto (Mc 10,17-27; Mt 8,19-20; Lc 9,59-62; Mt
16,24-25), altre l’esito positivo (Mc 14,3-5.10-11.47.50.66-72; Mc 8,31-33; Mc
9,31-32; Mc 10,32-37; Gv 15,1-7). Altre narrazioni sono collocate nella vita
della Chiesa e presentano le resistenze all’attrazione dello Spirito (Gv
21,15-19; 1Cor 15,8-10; At 26,12-18; Gal 1,13-17; At 10,9-16; At 15,28-29).
L’analisi di questi testi consente di formulare alcune “tesi”: 1. la resistenza
è una modalità con cui si vive la tensione tra lo Spirito Santo e la libertà.
Lo Spirito di Dio esercita un’attrazione sulla libertà della persona. Questa
attrazione può essere assecondata o incontrare resistenza. 2. Il racconto di
vocazione è il racconto della fede; la resistenza è una espressione della poca
fede del chiamato. La relazione con Gesù prima della Pasqua si rivela
insufficiente per la maturazione della fede e quindi per la resa all’attrattiva
dello Spirito. La libertà risulta sempre attratta e insieme distratta. 3. Lo
Spirito Santo, frutto della Pasqua, che non toglie la libertà di resistere,
rende però possibile il compimento della vocazione.
La relazione dello psicoterapeuta e psicologo Stefano
Guarinelli (Fede e personalità: processi di trasformazione e punti di
resistenza) ha preso avvio dalla constatazione che si dà la possibilità di una
vera vocazione (per esempio quella dei dodici) che manca di autenticità in
qualche momento dell’itinerario (cf. Mc 9,33-37). L’autenticità è l’esito di un
progresso che si può schematizzare in due movimenti: da un lato
l’esplicitazione di quello che effettivamente abita nell’interiorità profonda
del discepolo, d’altro lato l’esplicitazione di ciò che il Vangelo offre e
chiede.
La tesi è che il Vangelo cambia la vita là dove i due
movimenti si incontrano. L’argomentazione consiste nell’assumere la pratica
terapeutica come prototipo della relazione educativa e in particolare
nell’assumere il funzionamento della metafora come fattore terapeutico. La
metafora è una narrazione usata in psicoterapia per consentire al soggetto di
obiettivare ciò che abita la sua interiorità profonda, di portare alla
coscienza il suo vissuto anche inconscio, riconoscendolo e riconoscendosi
nell’immagine o nella narrazione proposta.
Il Vangelo può essere utilizzato come repertorio di
metafore, al modo di altri repertori. La specificità del Vangelo è di essere
vero e non solo repertorio di metafore eventualmente utilizzabili per scopo
terapeutico: proprio nella verità del Vangelo consiste la possibilità che il
Vangelo stesso ha di cambiare la vita, di vincere cioè la resistenza alla
vocazione.
Il Vangelo cambia la vita quando la parola di Dio diventa
nella sua interezza “metafora vera” per la vita del credente. Se rimane solo
metafora parziale, repertorio di materiali utilizzabili per scopo terapeutico,
il Vangelo non cambia la vita: l’esito paradossale che si constata anche nella
pratica terapeutica è che la persona, grazie alla terapia, guarisce, ma
contestualmente decide di abbandonare la sua vocazione.
Giuseppe Como, professore di teologia spirituale, ha
proposto nella sua relazione (“Irresistibilità” di Dio e resistenze dell’uomo:
l’esperienza di chi ha detto “no”) due esperienze di resistenze alla vocazione:
quella di Agostino e quella di Simone de Beauvoir. L’interpretazione delle
esperienze è stata introdotta dall’ipotesi di lavoro formulata con la tesi
dell’“innocenza di Dio”.
Nella lettura che i protagonisti stessi offrono delle
loro vicende emerge la persuasione che la vocazione si presenta inerme, in un
certo senso impotente eppure irresistibile. Chi ricostruisce la sua vicenda
personale-vocazionale dopo aver compiuto il passo della conversione (cf. per
es. Agostino) attribuisce tutta la forza che ha reso efficace la chiamata a
Dio; e attribuisce tutta la resistenza a se stesso.
ESPERIENZE
DI RESISTENZA
L’esperienza di Agostino consente di descrivere la
resistenza alla chiamata di Dio in due fasi e in due modalità differenti. Nella
prima fase la resistenza consiste nell’orgogliosa affermazione di sé che
presume di poter essere artefice della propria salvezza. Lo sguardo credente
riconosce che questo scegliere il proprio io al posto di Dio è in realtà la
fuga dalla propria verità. Si tratta di una resistenza che ha la sua radice in
un inganno (autoinganno). Nella seconda fase la resistenza consiste
nell’inerzia prodotta dall’abitudine a soddisfare le passioni: pur riconoscendo
la verità e avvertendone l’attrattiva, Agostino resiste all’adesione perché gli
spiace staccarsi dalla consuetudine di vita che riconosce contraria alla verità
buona che lo attira. Agostino attribuisce all’iniziativa di Dio la vittoria
definitiva sulle sue resistenze. L’esperienza di Simone de Beauvoir prende
l’avvio da una pratica di vita cristiana che ha i tratti dell’esperienza
mistica e dell’orientamento alla consacrazione. Se Dio è tutto e Dio è fuori
dal mondo, allora il mondo è nulla e non ha senso vivere nel nulla. Risulta
inevitabile uscire dal mondo per consacrarsi a Dio. Simone decide di farsi
carmelitana. A questa persuasione spontanea si oppone la considerazione
riflessa della vita mondana come vita interessante, attraente, buona. Il
presupposto dell’insuperabile estraneità tra Dio e il mondo, in altre parole
una mistica senza incarnazione, finisce per convincere dell’insignificanza e
dell’inutilità di Dio. Simone de Beauvoir si decide per il rifiuto di Dio,
perché si convince che può fare a meno di Dio senza che nulla muti nella sua
vita, perché Dio non ha niente a che vedere con le dimensioni fondamentali
dell’esistenza o piuttosto ne è la contestazione. L’apprezzamento della vita,
dell’intelligenza, della corporeità sembra imporre di eliminare Dio dal suo
orizzonte.
La conclusione della relazione suggerisce che dove non
c’è bisogno di salvezza o dove Dio non è riconosciuto come salvatore, cioè
offerta di una relazione buona per la mia vita, è coerente il rifiuto della sua
parola e della vocazione.
La relazione di Alfonso Valsecchi, professore di teologia
sistematica (La vocazione mancata: interpretazioni teologiche contemporanee) ha
preso in esame quattro modelli interpretativi della vocazione e delle
resistenze alla vocazione.
Il modello di K. Barth mette in risalto l’iniziativa
irresistibile di Dio: l’elezione in Cristo comprende tutte le possibili
risposte. Perciò anche il rifiuto, anche il fallimento finiscono per
riconoscere che l’unica salvezza viene dal Signore.
Il modello di H.U. von Balthasar legge nella vocazione
mancata il rifiuto implicito o esplicito di Dio. E. Drewermann dalla pratica
terapeutica trae la conclusione che la vocazione è frutto di idealizzazione e
di conflitti psichici irrisolti, e che non tanto il rifiuto della vocazione
quanto la vicenda vocazionale in se stessa risulta fallimentare per la persona.
K. Ranher intende la vocazione come il caso esemplare
della grazia che agisce nel quotidiano: la vita quotidiana, intesa nel senso
complessivo di stile di vita del singolo, di contesto culturale ed ecclesiale,
è il luogo in cui si decide il compimento o il fallimento della vocazione. La
considerazione schematica dei diversi modelli interpretativi conduce a registrare
la complessità del tema e a suggerire che la cura per le vocazioni impegna
nell’attenzione alla pluralità di aspetti. La vocazione è l’atto di fede con il
quale si dispone di sé totalmente e per sempre: ha dunque le dinamiche stesse
della fede, tende all’integrazione di tutti gli aspetti della persona e insieme
conosce il rischio di unilateralismi e disgregazioni.
CONVERGENZE
E INTERROGATIVI
Con il rischio di una certa semplificazione mi arrischio
a indicare alcune acquisizioni.
L’ambiguità del “resistere”. La scelta del termine
“resistenza” ha impegnato a chiarirne le ambiguità. Si dà infatti una
resistenza che può avere una accezione positiva, perché presuppone una
consistenza della personalità. La vocazione cristiana, nelle sue varie forme,
comporta una conversione, quindi impegna la persona a un cambiamento che
significa distacco, cambiamento di abitudini e di mentalità. La resistenza può
segnalare la consistenza di una persona che accetta di mettersi in discussione
e paga il prezzo, affronta la lotta e la fatica per destrutturarsi e
ristrutturarsi secondo lo stile evangelico. Una risposta “troppo facile”
segnala una personalità inconsistente, che forse si adatta facilmente alla
nuova condizione di vita richiesta dalla vocazione, ma senza mettere in gioco
le sue dimensioni profonde e perciò senza reale acquisizione di una struttura
spirituale credibile. Si dà invece una accezione negativa di “resistenza” che
equivale a rifiuto. L’esplorazione delle ragioni e della dinamica del rifiuto
della vocazione conduce nell’enigma delle radici del male, di fronte al quale
il pensiero si smarrisce.
La vocazione e la fede. La resistenza alla vocazione si
può ricondurre al dramma della fede. La vocazione è infatti la determinazione
di una modalità di praticare la fede e le relazioni mi pare che convergano nel
riconoscere che la resistenza riguarda piuttosto la difficoltà ad assumere la
qualità cristiana della vita, piuttosto che la resistenza a una determinazione
specifica dell’essere cristiani. Per essere più espliciti, sembra di
riconoscere la resistenza non tanto di fronte alla proposta di Gesù di
diventare suoi discepoli, quanto di fronte alla proposta di vivere il
discepolato con lo stile di Gesù. Analogamente si potrebbe dire che la
resistenza non è tanto di fronte alla proposta di vivere una certa forma di
vita cristiana, per esempio quella del prete, quanto nel vivere con lo stile di
Gesù questa forma di vita e di ministero.
La complessità dei fattori di resistenza. Le relazioni
che hanno proposto interpretazioni della resistenza alla vocazione hanno
raccolto elementi dalla narrazione di vicende personali esemplari. Da queste
narrazioni emergono i diversi aspetti e i molteplici fattori della resistenza.
Forse è possibile e utile elaborare una descrizione tipologica delle
resistenze, anche per suggerire modalità di accompagnamento di persone in
itinerari vocazionali. Per indicare qualche elemento posso ricordare che alcune
resistenze hanno la loro radice in una distorta immagine di Dio, quindi in una
mediazione culturale che insinua il sospetto su Dio, le sue intenzioni e il suo
interesse per la vita della persona; altre resistenze hanno la loro origine in
una distorta comprensione di sé e del proprio bene; altre resistenze sono
conseguenza della pesantezza generata dall’abitudine a uno stile di vita
contrario allo stile evangelico.
Il tentativo di una tipologia e l’esplicitamente delle
forme di accompagnamento che consentono di passare dalla resistenza alla resa
non solo può illuminare la pratica della direzione spirituale, ma forse può
fornire elementi per approfondire anche la comprensione del tema.
Mario Delpini