ANCORA SULLA FIGURA DEL FORMATORE

UN UOMO DI DIO E UN CONTEMPLATIVO

 

Deve essere un uomo che nel suo modo di vivere e di agire lascia trasparire e comunica l’amore del Signore, un vero “contemplativo in azione” che scopre in ogni cosa il Signore e tutto riferisce a lui. Dovrà formare con lo stile che Gesù ha usato

con i suoi discepoli.

 

Quando si parla di formazione è ovvio affermare che il formatore per eccellenza è Dio, ma che egli tuttavia si serve delle mediazioni umane. «La formazione è una partecipazione all’azione del Padre che, mediante lo Spirito, infonde nel cuore dei giovani e delle giovani i sentimenti del Figlio» (VC 66).

Il primo responsabile della formazione, dopo Dio, non è il formatore ma il formando il quale impara ad assumersi la responsabilità della propria formazione e a vivere come religioso/a in una fedeltà creativa che non ha bisogno di un controllo né di un formatore che gli dica cosa deve fare, anche se la formazione personalizzata suppone un discernimento in comune. Non che il formatore sia un semplice spettatore né una persona muta come una statua davanti al cammino formativo dei suoi giovani, e tanto meno un intruso che si intromette senza rispettare la libertà dell’unico che può internalizzare e integrare personalmente i valori e gli atteggiamenti che devono essere integrati. Una persona che si forma in un regime di vigilanza, di paura di sbagliare difficilmente giungerà a essere una persona adulta. L’eteronomia non forma, ma “deforma”. Quando il formatore è il primo responsabile della formazione, il formando finisce col guardare a lui per aderire senza discernimento alle sue decisioni o per sfuggirle senza essere colto in fallo. Questo stravolgimento della formazione impedisce in maniera assoluta l’integrazione ricercata. La formazione è pertanto frutto di una collaborazione tra il formando/a e il formatore. Perciò: né una formazione eccessivamente passiva come quella di un tempo né l’esagerazione opposta che annulla il margine di azione del formatore.

Egli deve essere, pertanto, un uomo o donna di Dio, che con il suo modo di vivere e di agire lascia trasparire e contagia l’amore del Signore con cui si va sempre più identificando. Deve essere un “contemplativo in azione” che scopre in ogni cosa il Signore e che tutto riferisce a Dio. Questo lo porterà a vivere con entusiasmo e gioia la sua vocazione e a trasmetterla nel piccolo e nel quotidiano, e anche nell’ora della prova e del duro impegno, senza cercare perfezionismi, ma autenticità, integrità e trasparenza.

Questa relazione con Cristo sempre più esigente e gratificante gli insegnerà anche a formare con lo stile con cui Gesù, “il Maestro”, ha formato i suoi discepoli: Gesù mostra un interesse cordiale per ciascuno e offre ad essi vicinanza, interesse e fiducia, crea vincoli di amicizia, conosce tutti e li accetta come sono, ha una grande comprensione quando sono in crisi (Tommaso ne è un buon esempio). La caratteristica più saliente della sua pedagogia è il rispetto della libertà. Egli non impone, né forza ma aspetta e confida, anche quando hanno sbagliato; non affretta l’ora ma la prepara. È più paziente costruttore di vita e di ideali che impaziente legislatore e un fiscale impositore di norme e di disposizioni. Si pone in mezzo ai suoi discepoli e li accompagna dal di dentro, in un clima di naturalezza e trasparenza, di semplicità e fiducia.

 

UN UOMO DI DIO

E UNA PERSONA DI CHIESA

 

Il formatore deve essere una persona di Chiesa che ama svisceratamente nonostante le sue incoerenze, i suoi sbagli e il peccato che lui stesso sperimenta nella sua carne. E proprio perché l’ama è capace di criticarla in maniera costruttiva affinché sia misericordiosa, semplice, solidale e gioiosa. Parla dal di dentro per cui la sua parola è credibile. È cosciente che la Chiesa è una comunità in cui tutti abbiamo bisogno perché nessun carisma esiste isolatamente, per se solo, ma nella comunione e nella complementarietà. Per questo, è una persona aperta a tutti i carismi che apprezza e riconosce. Per lui l’intercongregazionalità è una ricchezza di grande valore. Di qui la sua apertura alle diverse congregazioni in tutto il processo formativo, in particolare, se i formandi frequentano qualche centro di studio in cui sono presenti altre congregazioni; sarebbe una cosa ideale.

Il formatore deve essere una persona che conosce bene a fondo il proprio istituto e lo ama, senza confondere l’intuizione primordiale del fondatore con le realizzazioni storiche in cui il carisma si è incarnato lungo la storia: conosce le radici del suo carisma e anche l’humus nuovo in cui bisogna piantarle; è capace di potare i rami, senza tuttavia toccare le radici. Altrimenti l’albero si seccherebbe.

Evidentemente il formatore deve chiarire gli obiettivi, offrire criteri e porre certe regole del gioco in grado di aprire strade per internalizzare il carisma della congregazione qui e oggi. In caso contrario, i formandi andranno alla deriva.

Il formatore dovrebbe essere una persona matura. La maturità consiste nell’integrazione e nell’armonia delle diverse dimensioni della persona, poste al servizio dei valori umani, cristiani e religiosi. Suppone nel formatore la conoscenza dei propri bisogni e desideri più profondi e la capacità di integrarli nell’amore di Cristo e dei fratelli nella realizzazione della sua missione. Deve essere cosciente dei propri aspetti più oscuri, dei propri limiti e difficoltà e imparare a vivere con essi cercando di superarli con l’aiuto di Dio e dei suoi fratelli. L’accettazione gioiosa di se stesso, frutto a volte di un cammino personale doloroso e, soprattutto, dell’esperienza del perdono e dell’amore del Signore, lo rende capace di accompagnare i formandi nel loro cammino di crescita personale, con ottimismo, gioia e senso di umorismo. In questo modo egli aiuterà gli altri a maturare e a crescere. Non si insegna quello che non si sa o che si dice, ma quello che si è.

Il formatore deve essere una persona di comunità, vale a dire, di relazione, in modo da vivere la comunità come un focolare: come luogo di accoglienza, di stimolo, di sostegno, di perdono, di gratitudine e di festa e come ambiente dove si prendono, nel discernimento e fraternità, le decisioni che competono a tutti perché sono di tutti.

 

DEVE SAPER AMARE

E COMPRENDERE

 

Oggi, più che in passato, proprio perché i giovani che bussano alla nostra porta vengono di solito con una personalità molto frammentata e persino infranta, con ferite profonde dovute a mancanza di amore, solitudine, emarginazione fino agli oltraggi alla loro dignità, ecc. è necessario che il formatore sia un esperto in psicologia, la conosca sufficientemente per capire certi meccanismi di comportamento che possono sorprendere e sconcertare per l’esperienza personale così sofferta e deteriorata, spesso, di tanti giovani. Perciò deve essere capace di favorire il processo di crescita umana, affettiva e sessuale, sapendo distinguere i problemi della maturazione personale da quelli più seri e profondi, conseguenza di una frattura strutturale della persona che, per così dire, può rendere impossibile la sua opzione per la vita religiosa. Deve essere capace anche di padroneggiare le trasferenze che sogliono verificarsi in qualche momento dell’accompagnamento personale.

Il formatore è una persona che ha empatia, che sa amare e comprendere i giovani di oggi (con i loro punti forti e deboli) e dimostrarglielo, unendo insieme la comprensione e il saper esigere (la comprensione senza il saper esigere è permissivismo deformante: l’esigere senza comprensione è una severità antievangelica). È importante che i giovani lo sentano vicino, amichevole, uno che si guadagna la loro fiducia con l’accoglienza e la comprensione, il sostegno e la lealtà... e che invita ad aprirsi. La formazione fondamentale avviene nell’intimo delle persone. Perciò il formatore deve rimanere in un continuo atteggiamento di ascolto e di accoglienza e... anche di pazienza.

Docile allo Spirito che è il protagonista primo di ogni processo di formazione, egli deve accompagnare il formando con umiltà e senza protagonismi, sostenendolo e stimolandolo, aiutandolo a prendere decisioni, a chiarire atteggiamenti senza risparmiargli conflitti e confronti, a oggettivare situazioni a volte ambigue e sconcertanti, a creare spazi di libertà, essendo egli stesso una persona libera e semplice che non si irretisce in piccinerie né si perde in minuzie. Suo compito – molto importante – è di aiutare a discernere, confermare e consolidare la vocazione del formando. È compito suo anche favorire la maturazione del formando e ciò suppone la conoscenza e l’accettazione di sé, la capacità di manifestarsi e di essere trasparente, di stabilire rapporti adulti e la capacità di una crescente abnegazione e libertà interiore per rispondere alla chiamata del Signore.

 

UNA FORMAZIONE

INCARNATA

 

Se la formazione è una partecipazione all’azione dello Spirito nel cuore el giovane, è chiaro, come ricorda Giovanni Paolo II che «I formatori e le formatrici devono perciò essere persone esperte nel cammino della ricerca di Dio, per essere in grado di accompagnare anche altri in questo itinerario» (VC 66). Non è questione che i formandi facciano lo stesso cammino del loro formatore, ma di accompagnarli nel loro cammino, quello voluto dallo Spirito.

Deve essere una persona piena di umanità e di lucidità per guardare lontano e profondamente il mondo in cui i giovani sono posti a vivere, poiché la formazione deve essere “aggiornata”, incarnata a partire dalla realtà personale, sociale, culturale, vale a dire, il religioso e la religiosa devono essere significativi per il mondo d’oggi in base alla loro funzione profetica, simbolica ed escatologica.

I formatori dovrebbero avere una mentalità aperta al cambiamento, un desiderio di ricerca e di superamento, un senso critico e uno spirito creativo.

Devono essere seminatori di inquietudini e suscitatori di speranze e con una grande sensibilità sociale sentita e vissuta in un mondo così privo di solidarietà e ingiusto che emargina e impoverisce senza compassione. E deve incarnare questa sensibilità. Senza coerenza nella sua vita è impossibile rendersi credibile e ispirare fiducia.

Il buon formatore crea pace e contagia la gioia di una persona realizzata perché è sicuro della propria identità e la vive con cuore semplice, povero e disponibile. Forse la cosa più difficile da verificare è di sapere se è un maestro che forma e non solo informa; che guida senza fare violenza, ma anche senza lasciarsi portare, che fin dall’inizio impara e si arricchisce dai suoi formandi, ma il cui servizio principale consiste nell’arricchirli. Per questo unisce insieme dottrina, storia, esperienza vissuta, equilibrando e dosando l’uno e l’altro elemento nella giusta misura, secondo la crescita umana e spirituale di ciascun formando.

A un buon formatore più che le strutture, sempre necessarie (non bisogna però essere schiavi di esse, ma padroni), interessa che la persona si strutturi dal di dentro. La cosa più importante non è formare a comportamenti fatti di disciplina ma vuoti di impegno. Non sono i comportamenti esterni che contano, ma gli atteggiamenti profondi del cuore, i criteri evangelici che articolano e orientano definitivamente la persona.

Il formatore, che è mediazione dello Spirito Santo, deve sapere con chiarezza che è una vecchia tentazione quella di assumere un atteggiamento di difesa. Non è raro costatare che si cerca di proteggere i formandi dal mondo d’oggi, per “incapsularli”, “vaccinarli” contro i nuovi e vecchi pericoli. Non è un’opzione molto lucida perché appena dovranno nuotare nella corrente della vita per la quale non sono stati preparati, finiranno col naufragare. Sarebbe molto più utile discernere l’azione di Dio fra tante novità che, nella nostra epoca “fanno nuove tutte le cose”.

I formatori non si improvvisano. Non basta la buona volontà né la disponibilità a servire in questa missione così ardua e insieme affascinante che è la formazione. Ci vogliono certamente delle qualità umane e spirituali, ma bisogna anche coltivarle. Oggi in molti paesi ci sono dei “corsi per formatori” che aiutano a preparali accuratamente, vale a dire che valorizzano i talenti che Dio ha loro dato per un servizio tanto importante come questo. E bisogna anche liberarli da altri impegni perché possano svolgere la loro funzione con pace, senza fretta che suole essere una cattiva consigliera, con frutto e in maniera stabile. I provinciali devono stimolarli e garantire loro il tempo necessario per compiere la loro missione, non affidando loro altri compiti che li assorbono o distraggono. Ed è di grande importanza che il formatore non si senta solo ma sia accompagnato nella comunità formatrice da una piccola équipe. Formare in équipe è sempre stato vitale, oggi più che mai.

 

J. M. Guerrero