NOTA PASTORALE “QUESTA È LA NOSTRA FEDE”

L’ARTE DEL PRIMO ANNUNCIO

 

In Europa il Vangelo non può più essere dato per scontato. Spetta a ogni cristiano conoscere e proporre il cuore del proprio credo. Una recente Nota della CEI incoraggia e indirizza ad apprendere proprio l’arte del primo annuncio.

 

Nel nostro paese e nelle nostre comunità sono sempre meno le persone in grado di articolare con schiettezza e semplicità il cuore del messaggio cristiano. Questa è al convinzione della nuova Nota pastorale “sul primo annuncio”, redatta dalla Commissione Cei per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, e che porta come titolo Questa è la nostra fede (Pentecoste, 15 maggio 2005). Si tratta di un passo decisivo nella consapevolezza che sempre più spesso la nuova evangelizzazione è di fatto una «prima evangelizzazione».

Nel commentare la Nota, il teologo Sequeri ha affermato: «Agli inizi del millennio che è appena iniziato, abbiamo in occidente uno scenario relativamente nuovo. E persino inedito. È la nuova evidenza culturale di un “Dio ignorato”, più che di un “Dio ignoto”, che ci sollecita e ci interpella. Comprendere il senso di questa inedita costellazione del pensiero e dell’epoca è un giusto motivo di leale confronto fra credenti e non credenti. Per i credenti, la nuova lingua dell’annuncio deve transitare coraggiosamente di qui». La prima evangelizzazione o primo annuncio (kerigma) è dunque faccenda molto seria: i vescovi ne hanno preso coscienza e hanno cercato, con relativa fortuna, di smuovere in questa nuova via le strutture tradizionali (parrocchie, comunità religiose ecc.) e in generale hanno cercato di pungolare quel “gigante addormentato” che è costituito dal laicato cattolico (sinodi, missioni cittadine ecc.). Si spera che questa Nota sul kerigma inneschi finalmente una piccola pentecoste, capace di tradurre in progetti organici e permanenti il leale confronto fra credenti e non credenti.

A questo noi siamo poco abituati perché il cristianesimo ci dà una certa struttura conoscitiva e di solito anche partecipata del vivere cristiano, ma non ci mette ancora in grado di dire: come parlerò a chi la pensa diversamente? Qual è il nucleo sostanziale della buona notizia? Attraverso quali forme farla entrare nella vita e nell’esperienza di queste persone? Certamente da più parti, nella Chiesa, si chiede che la missione non diventi propaganda o proselitismo, ma nel contempo emergono spinte per proclamare alcune istanze veritative, da trasmettere quasi automaticamente senza appropriata assimilazione. Con questo spirito apologetico si arriva solo a una logica settaria o neo-fondamentalista! Occorre piuttosto aiutare a passare da una religiosità tradizionale verso una esperienza riflessiva fondata sulla decisione personale per Gesù Cristo e per la Chiesa. In questa direzione si muove saggiamente il documento Cei, che parte proprio dallo stile di Gesù (cap. I), per contestualizzare poi l’annuncio nello scenario odierno (cap. II) e quindi per offrire una esemplificazione concreta del kerigma stesso (cap. III), concludendo con alcune essenziali indicazioni pastorali (cap. IV).

 

LA SCUOLA

DELL’ANNUNCIO

 

Anche oggi, come duemila anni fa, continuiamo a chiederci su chi e su che cosa sia possibile riporre le proprie speranze. C’è chi cerca Gesù per trovare la luce della vita: come Nicodemo, fariseo membro del sinedrio, che va a incontrarlo di notte per approfondire la sua parola e giungere a una fede matura (Gv 3,1-21). C’è poi chi, nei suoi riguardi, sembra mosso da curiosità o da un desiderio acuto, forse anche da un bisogno inconfessato, e si mette in cerca di lui per affrontare domande irrinunciabili: così avvenne per Zaccheo; Gesù gli fa visita e la sua vita si trasforma (Lc 19,1-10). C’è ancora chi sembra aver archiviato il problema religioso, chi mostra un’apparente sicurezza e si dichiara indifferente: come la Samaritana che va ad attingere acqua al pozzo; Gesù le chiede da bere e così apre il libro della sua vita e l’aiuta a leggerlo (Gv 4,1-42).

Annunciare a queste tre fondamentali tipologie di oggi, è possibile solo mettendosi alla scuola di Gesù. In tale scuola emerge un primo dato: l’evangelizzazione è il compito prioritario per la Chiesa, niente la può sostituire e nessun’altra opera le si può anteporre. Anche la promozione umana non è alternativa, né può mai essere sostitutiva dell’evangelizzazione, ma è ad essa conseguente e da essa strettamente dipendente. Un’altra caratteristica fondamentale dell’annuncio cristiano è l’essenzialità del suo contenuto. Dopo aver lottato contro Satana nel deserto e averlo vinto con la forza dello Spirito Santo, Gesù di Nazaret ha cominciato a proclamare: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). All’indicativo che riguarda l’iniziativa di Dio, segue l’imperativo che riguarda l’impegno dell’uomo. Con la Pasqua poi si verifica un passaggio decisivo: Gesù, da annunciatore del regno di Dio, diventa il Signore annunciato dalla Chiesa. È lui infatti il regno di Dio in mezzo a noi. Perciò gli apostoli proclamano: «Il Dio dei nostri Padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore» (At 5,30). In tal modo l’annuncio non svapora in un vago messaggio etico: infatti varie religioni insegnano che Dio ama l’uomo, ma solo la fede cristiana crede nel Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso per i nostri peccati e risorto per la nostra salvezza!

Una ulteriore caratteristica è data dal fatto che siamo di fronte a un messaggio unico e sempre identico, espresso però in un’ampia varietà di forme e di modi. Anche sotto questo aspetto l’annuncio di Gesù ricorre a sentenze e parabole, esortazioni e minacce, colloqui e dibattiti. Non solo il Vangelo di Gesù, anche il Vangelo su Gesù viene annunciato dalla Chiesa con una molteplicità di generi letterari e una grande varietà di formule. Con linguaggio di tipo narrativo (Gesù «è stato crocifisso» ma «è risorto», «è apparso», «è stato esaltato»), ma anche con formule assertive: «Gesù è il Signore» (Rm 10,9), «Gesù è il Cristo» (At 5,42); «Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio» (Gv 20,31), «il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Il seme della Parola così è gettato nei terreni delle varie culture e delle più svariate situazioni. E ancora, fin dalle prime parole di Gesù riportate dal vangelo di Marco, si può cogliere il loro carattere di lieto messaggio (Mc 1,15). La signoria di Dio, annunciata dal suo Figlio unigenito, si rivela come amore gratuito e misericordioso rivolto a tutti, soprattutto agli oppressi e ai peccatori. La croce non è fine a se stessa, una orrenda negazione, ma è fede nella parola di Gesù: «chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,35). Di conseguenza la missione non è un vanto né un titolo di merito: è dovere imprescindibile e insopprimibile esigenza, addirittura una autentico servizio sacro (Rm 15,16).

 

IL MODO

DELL’ANNUNCIO

 

Il primo annuncio si può dunque descrivere sinteticamente così: ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto, in cui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; ha per obiettivo la scelta fondamentale di aderire a Cristo e alla sua Chiesa; quanto alle modalità deve essere proposto con la testimonianza della vita e con la parola e attraverso tutti i canali espressivi adeguati, nel contesto della cultura dei popoli e della vita delle persone.

Occorre però uno sforzo per ricomprenderlo: non si tratta di annunciare un Vangelo diverso, ma occorre un modo diverso di annunciarlo. È questo l’impegno del “progetto culturale” della Chiesa in Italia, con il suo sforzo a tenere conto non solo delle sfide che contrassegnano la comunicazione del Vangelo, ma anche delle opportunità che caratterizzano la nuova situazione. Una prima opportunità riguarda il fenomeno del pluralismo religioso: alimenta nei non cristiani un atteggiamento di apertura alla verità di Cristo e conduce i cristiani a una più profonda comprensione del Vangelo. Ulteriore opportunità è costituita dalla diffusione degli strumenti della comunicazione sociale. Anche una certa diffusione dello spirito critico, dovuto all’innalzamento del livello medio della cultura, è infine risorsa che occorre valorizzare, con serenità e senza complessi di inferiorità.

Di fronte a tutto questo, occorre ricordare sempre che «si è missionari prima di tutto per ciò che si è» (Redemptoris missio 23). La comunicazione della fede avviene cioè per irradiazione, prima che per iniziative o attività specifiche. Specialmente nel clima odierno, permeato di estraneità reciproca e indifferenza religiosa, molte porte si aprono solo per il fascino dell’amicizia e della solidarietà. D’altra parte la presenza operosa non basta: come l’evangelizzazione di Gesù è avvenuta in opere e in parole (Lc 24,19), così non si può opporre testimonianza di vita e annuncio esplicito. La testimonianza chiede di essere illuminata e giustificata da un annuncio chiaro e inequivocabile. C’è poi un’altra falsa alternativa da tener presente: quella fra identità e dialogo. Non è vero che una religione vale l’altra: «Il dialogo deve essere condotto e attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza» (RM 55). Così la proclamazione del Vangelo spinge il cristiano al dialogo con tutti, a coltivare gli elementi “di verità e di grazia” sparsi nella varie tradizioni, perché “ogni verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo” (san Tommaso).

 

IL COMPITO

DELL’ANNUNCIO E LA VC

 

Secondo la Nota, per annunciare il Vangelo della vita piena, serena e feconda che i cristiani possono vivere sulle tracce del Signore Gesù, la Chiesa ha bisogno soprattutto di santi. La santità intesa però come questione di amore: richiede di non anteporre nulla all’amore gratuito e smisurato del Signore e, per questo, di essere pronti anche a lasciare tutto, ma solo per seguire lui. Non c’è bisogno di alcuna forma di investitura che vada al di là dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, né di alcuna delega speciale, né di alcuna competenza specifica per comunicare il Vangelo nella vita ordinaria: l’impegno dell’evangelizzazione non è riservato a degli “specialisti”, ma è proprio di tutta la comunità. Infatti, perché un credente sappia comunicare con la testimonianza il primo annuncio della fede, non gli si richiede altro che credere e non vergognarsi del Vangelo.

La Nota al n. 21 sottolinea poi che «nella comunicazione del primo annuncio sono chiamati a offrire un contributo peculiare i membri degli istituti di vita consacrata. Con la loro fedeltà al mistero della croce e con la professione di credere e di vivere evangelicamente dell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, essi cooperano in modo determinante a tenere vivo nella Chiesa il fuoco della missione. Tutte le persone consacrate sono chiamate ad essere, nel vasto campo della nuova evangelizzazione, annunciatrici ardenti, competenti, efficaci, del Signore Gesù, pronte a rispondere, con sapienza evangelica e geniale creatività, alle domande poste dall’inquietudine del cuore umano e dalle urgenti necessità del tempo».

Si attira l’attenzione su due specifiche forme di consacrazione. Un particolare apporto alla diffusione del Vangelo è offerto anzitutto da alcuni istituti di vita consacrata e società di vita apostolica, che hanno il carisma di lavorare nel campo dei media: viene chiesta una peculiare dedizione perché le iniziative editoriali come tutti i servizi di informazione e di formazione, in ambito culturale e religioso, facciano trasparire con chiarezza, il centro vivo della fede. Non meno decisivo e prezioso è l’apporto delle comunità monastiche all’evangelizzazione: la partecipazione radicale al mistero pasquale della morte e risurrezione del Signore fa dei monasteri un segno trasparente di vita nuova, capace di contribuire incisivamente alla edificazione della Chiesa e alla costruzione della stessa città terrena, in attesa di quella celeste.

Il linguaggio fondamentale è, nel complesso, quello della qualità della vita: solo una vita “risorta” è una vita che può annunciare la bellezza della fede cristiana.

 

Mario Chiaro