ASSEMBLEA USG E CONGRESSO SULLA VC
COSA STA GERMOGLIANDO?
Una prima verifica
del congresso internazionale sulla vita consacrata a sei mesi dalla sua
celebrazione. La ricerca della “sola cosa” importante per il futuro della vita
consacrata non è mai finita. Nuovi
progetti di vita consacrata sono già in atto.
Il “non detto” del
congresso. Simposio sul decreto
conciliare Perfectae caritatis. Troppi documenti?
Cosa sta “germogliando” oggi nella vita consacrata? Se lo
sono chiesto esplicitamente i superiori generali nella loro assemblea romana
del 25-27 maggio u.s., a sei mesi di distanza dal congresso internazionale
sulla vita consacrata “Passione per Cristo. Passione per l’umanità”.
«Questa assemblea, ha detto nel suo saluto iniziale il
presidente dell’USG, fr. Álvaro Rodriguez Echeverría, ci riunisce attorno a un
evento celebrato nel passato, invitandoci a far in modo che non si trasformi
solamente in qualcosa di già realizzato, ma in un dinamismo permanente che
sfidi il nostro essere e il nostro agire come religiosi. Dobbiamo guardare al
post-congresso e a ciò che sta germogliando, come a un momento di grazia e di
rinnovamento, come a una chiamata dello Spirito a vivere con maggiore
autenticità i valori evangelici e a rispondere con nuova creatività alle necessità
dei nostri fratelli e sorelle».
LA SFIDA
PIÙ DIFFICILE
Il compito di una messa a punto di quanto era emerso dal
congresso è stato affidato a due “esperti” della vita consacrata, Luigi Guccini
e Bruno Secondin. Guccini ha messo subito le cose in chiaro dicendo che avrebbe
parlato di una cosa sola, e cioè di Gesù Cristo e del Vangelo come unica
ragione di vita e di “servizio apostolico”. «Il vero problema della vita
consacrata di oggi è come quello di tutti, ed è un problema essenzialmente
spirituale, di fede». La sfida più difficile è quella dei significati ultimi,
vale a dire una sfida essenzialmente religiosa.
È inevitabile, allora, un ripensamento condotto
dall’alto, in una prospettiva teologico-spirituale profonda e insieme attenta
al mondo al quale il Signore ci invia. «Solo chi ha incontrato veramente il
Signore ed è stato ammaestrato da lui può capire e poi far vedere come vivere
nella storia, e in una vita consacrata nuova, ciò che si è capito». L’unica
possibile fonte di senso per la propria consacrazione e la propria missione è
quella della fede e del radicamento in Cristo.
Quale coscienza hanno, però, i consacrati sia di sé
stessi che della missione loro affidata? Quante volte, oggi, il discorso sulla
vita consacrata non va oltre il cambiamento delle strutture e delle “cose da
fare”. «Quello che ci è chiesto sta molto oltre il cambiamento, e riguarda i
fondamenti, ciò che rimane e dà stabilità» a tutto il resto. Il “punto debole”
della vita consacrata oggi è il fatto di essere andati «da soli, troppo soli,
al confronto con le sfide e i problemi di oggi, lasciando in ombra, nel momento
in cui questo doveva emergere nella sua vera forza, l’unica cosa di cui
disponiamo e di cui c’è bisogno: Gesù Cristo e il Vangelo, la potenza del Dio
che salva».
Se secondo Guccini siamo ancora in una fase di faticosa
ricerca di questa cosa sola senza la quale non è possibile vincere la sfida più
difficile, se, come era stato detto nel congresso dei superiori generali nel
1993 in preparazione al sinodo sulla vita consacrata, un certo modello di vita
consacrata era definitivamente tramontato senza intravederne altri
all’orizzonte, per Bruno Secondin, invece, nuovi modelli, anzi nuovi paradigmi
di vita consacrata sono già in atto. I cambiamenti sono sopravvenuti non solo a
livello di comportamento esterno, ma anche in riferimento ai grandi assi della
spiritualità. Basti pensare al linguaggio e alla spiritualità che circondava i
voti, ai consigli evangelici ripensati sempre più decisamente «nel grande
orizzonte biblico del radicalismo», alla vita in comune, «caratterizzata
dall’insistenza sulla dimensione fraterna, dialogante, orizzontale, rispettosa
delle diversità antropologiche e caratteriali, dei contesti ecclesiali,
culturali e sociali» (cf. lo Speciale di questo numero).
A questi interventi iniziali ne sono seguiti altri, da
quello di Josep M. Abella sui “grandi accenti” del congresso, desunti dai
gruppi tematici, in particolare quelli relativi a identità e futuro, dialogo e
comunione, spiritualità, scelta preferenziale dei poveri, missione profetica
della vita consacrata, a quello di Enrique Losada sulle implicazioni dei temi
del congresso sulla sua congregazione (Picpus), a una attenta rilettura
carmelitana del congresso da parte di Joseph Chalmers, a una articolata
relazione di José Rodriguez Carballo sul tema della formazione in un periodo di
transizione.
Anche se il tema della formazione non era stato
direttamente trattato dal congresso, Carballo (che, per un contrattempo, non è
di fatto intervenuto ai lavori dell’assemblea, già in possesso, comunque, della
relazione scritta) ha tuttavia cercato di parlare di formazione partendo
proprio dalle sfide congressuali. Oggi più che mai è importante formare la
persona a vivere la passione per Cristo riscoprendo l’importanza
dell’esperienza di fede, dell’interiorità, della solitudine e della
contemplazione, della familiarità con la parola di Dio e con la vita
sacramentale. Ma insieme bisogna saperla formare a vivere la passione per
l’umanità, attraverso la riscoperta del dialogo, la cultura dell’accoglienza e
dell’ospitalità, la spiritualità incarnata e pratica, per arrivare, infine,
alla formazione della persona ad essere amante della vita, in una visione
positiva del corpo e una libertà affettiva, grazie alla quale «il consacrato
ama la sua vocazione, e ama secondo la sua vocazione».
Sono molte le sfide che la cultura attuale lancia alla
formazione alla vita consacrata, dall’edonismo al consumismo, alla scelta
preferenziale del piacere, al complesso mondo mediatico. «Ciò ha portato a una
perdita della coscienza storica, con la quale in tanti è sparito, o per lo meno
ha iniziato a vacillare fortemente, il senso di un impegno definitivo con
qualcuno o qualcosa». La superficialità con cui si guarda il presente, quando non
impedisce rende comunque molto difficile «prendere decisioni definitive».
IL “NON DETTO”
DEL CONGRESSO
Ha destato una certa curiosità l’intervento di fratel
Bernard Couvillon su “quello che il congresso non ha detto”. Applicando il
modello di valutazione educativa elaborato dall’americano E. W. Eisner, anche a
proposito del congresso si potrebbe utilmente parlare di un contenuto
esplicito, un contenuto implicito e un contenuto “nullo” o “non-detto”. Il
contenuto esplicito del congresso è ciò che gli organizzatori hanno espresso
nello strumento di lavoro, nelle relazioni e nei gruppi di lavoro. Secondo
Eisner il contenuto esplicito è sempre una “piccola parte” di ciò che le scuole
insegnano veramente, e che quindi anche il congresso potrebbe aver trasmesso.
Esiste poi un contenuto implicito, vale a dire quello che
si trasmette attraverso il contesto ambientale. Nel caso del congresso basti
pensare ai congressisti, alla loro provenienza, al modo in cui erano vestiti,
alla disposizione dei tavoli e alla decorazione della sala, alla composizione
dei gruppi, alla compresenza di religiosi e religiose, all’esperienza
multiculturale in atto, all’animazione delle due icone bibliche. Ora, secondo
Eisner, gli aspetti più sorprendenti e convincenti di una determinata esperienza,
quello che poi di fatto ci si “porta via”, sono proprio i contenuti impliciti.
Ma a Couvillon interessava soprattutto evidenziare le
cose “non dette” o “poco approfondite” del congresso». La scelta del luogo era
caduta su Roma in quanto offriva la possibilità dell’udienza pontificia. Ma la
mancata udienza (concordata un anno prima e confermata il mese antecedente
l’inizio del congresso) si è poi di fatto trasformata in un “elemento
negativo”.
Tra il “non detto” del congresso ci sarebbe anche ogni
mancato riferimento alle icone dei discepoli di Emmaus e di Marta e Maria, non
meno significative sicuramente di quelle della samaritana e del buon
samaritano, soprattutto per quanto riguarda la dimensione conviviale e
socializzante sia dell’insegnamento evangelico che quello proprio della vita
consacrata.
Più che una “festa eucaristica”, per certi versi il
congresso è stato un “festival della Parola”. Couvillon, per la verità, non è
stato l’unico a sottolineare la mancanza, in tutto il tempo del congresso, di
una celebrazione eucaristica plenaria. L’unico relatore, inoltre, che ha
esplicitamente parlato di eucaristia è stato, di fatto, il prefetto della
congregazione dei religiosi, mons. Franc Rodé.
Non sono mancate “buone esperienze di preghiera”, ma “la
voce dei poeti della contemplazione”, che pure c’erano in assemblea, chi l’ha
sentita? Perché, infine, così poco spazio sulla formazione all’affettività,
alla sessualità, alla passione che pure hanno un ruolo importante nella vita
consacrata?
Questo problema che, per Couvillon fa parte dei contenuti
“nulli” dei nostri noviziati, potrebbe forse essere utilmente ripreso nella
prossima assemblea dell’USG che dovrebbe avere come tema, secondo quanto è
stato annunciato, quello della “precarietà vocazionale”. È un problema che
riguarda da vicino anzitutto i paesi occidentali, soggetti a una sempre più
allarmante carenza di vocazioni. La precarietà chiama in causa, però, anche la
“continuità”, l’impegno per tutta la vita, da parte di quanti hanno optato per
una scelta vocazionale, una continuità compromessa, molto spesso, proprio da
una non risolta problematica nel campo affettivo e sessuale, anzi, da un non
infrequente occultamento vero e proprio dei problemi affettivo-sessuali, come
aveva osservato il gesuita Libanio nel congresso internazionale sulla vita
consacrata.
VIDIMUS DOMINUM
E SIMPOSIO
Oltre al tema della prossima assemblea, nel recente
incontro dei superiori generali è stato dato un annuncio che farà sicuramente
piacere a quanti erano soliti frequentare abitualmente il sito internet di
Vidimus Dominum. Dopo aver svolto un preziosissimo servizio in preparazione e
durante i lavori del congresso internazionale, per ragioni
economico-organizzative, con il 30 marzo, come ben sappiamo, ha chiuso i
battenti. Secondo quanto annunciato in assemblea, in ottobre, il sito dovrebbe
ripartire.
Sono personalmente rimasto molto stupito quando, in un
recente incontro con le clarisse della federazione laziale, le ho trovate molto
amareggiate per la chiusura del sito, attraverso il quale, dai loro monasteri
di vita contemplativa, avevano potuto seguire giorno per giorno i lavori del
congresso internazionale. Non riuscivano a capacitarsi del fatto che la
decisione potesse essere stata determinata da ragioni economiche, dichiarando,
anzi, la loro disponibilità a dare il proprio contributo, qualora il problema
fosse solo di questa natura.
Un’altra “buona notizia”, presentata in assemblea
direttamente dal sottosegretario della congregazione per gli istituti di vita
consacrata, p. Vincenzo Bertolone, è stata quella relativa al Simposio che lo
stesso dicastero vaticano sta organizzando in occasione del 40° anniversario
del decreto conciliare Perfectae caritatis, e che si svolgerà dal 26 al 27
settembre prossimo nell’aula del sinodo in Vaticano, con la partecipazione, tra
gli altri, di un centinaio di superiori e superiore generali. Tra i relatori è
prevista la partecipazione del card. Georges Cottier, di p. Paolo Molinari, di
p. Aquilino Bocos Merino, di p. Luigi Mezzadri, di mons. Velasio De Paolis, di
Michelina Tenace, di mons. Piergiorgio Silvano Nesti, della madre Antonia
Colombo, dei presidenti delle Unioni generali delle superiore e dei superiori
(madre Terezinha Rasera e fr. Álvaro Rodriguez Echeverría).
Lo scopo del simposio non vorrebbe essere quello di
elaborare un nuovo documento, quanto piuttosto di verificare il cammino
percorso in questi quarant’anni di rinnovamento conciliare della vita
consacrata. Del resto, se c’è una cosa che non manca di sicuro sono i documenti
sulla vita consacrata. Forse ne abbiamo anche troppi.
Se ai più recenti documenti del magistero, come Vita
consecrata e Ripartire da Cristo, aggiungiamo le nuove costituzioni, le nuove
“regole di vita”, tutti i documenti post-capitolari e i vari progetti apostolici
generali e provinciali dei singoli ordini e istituti, le lettere programmatiche
dei diversi superiori generali, non ci si può certo lamentare della carenza di
fonti ispiranti, propositive, spesso pervase anche da un reale afflato
profetico. Ma sono, appunto, dei bei documenti. Ciò che manca, invece, è
l’anello di trasmissione tra i grandi documenti ispiranti e la concretezza
della quotidianità delle nostre comunità religiose. “In alto” vengono elaborate
proposte che molto spesso, di fatto, non vengono mai recepite “in basso”.
È la stessa sensazione percepita in riferimento anche ai
temi e ai testi del congresso internazionale sulla vita consacrata. Proprio
durante l’ultima assemblea USG, p. Enrique Losada (Picpus) con molta onestà
ammetteva di non avere, purtroppo, al momento, un’idea sufficientemente precisa
delle conseguenze del congresso per la sua congregazione. Padre Joseph
Chalmers, ordine carmelitano, era stato ancora più esplicito: «girando il
mondo, non posso dire, secondo la mia esperienza, che il congresso abbia avuto
un effetto profondo, e ritengo che come superiori generali dobbiamo lavorare
molto per portare i frutti del congresso ai nostri fratelli e sorelle».
Di tanto in tanto sarebbe opportuno che anche i nostri
superiori maggiori, allora, facessero propri gli interrogativi che, con sano
realismo, si sono posti i vescovi italiani nei loro orientamenti pastorali:
“Comunicare il vangelo in un mondo che cambia”. «La comunicazione delle
proposte che abbiamo formulato, anche attraverso convegni e documenti, è stata
comprensibile per la gente e ha saputo toccare il suo cuore?». I religiosi,
insieme ai sacerdoti e agli operatori pastorali, si sono coinvolti “in maniera
corresponsabile e intelligente” nel cammino delle loro chiese locali? «E noi
vescovi, abbiamo saputo dare gli impulsi necessari perché i nostri stessi
orientamenti pastorali non restassero lettera morta?» (n. 44).
In tutte queste domande è già anticipata chiaramente
anche la risposta. Quanto temuto dai vescovi italiani nel campo della
pastorale, non è meno verosimile e realistico anche in quello della vita
consacrata. Se anche le assemblee dei superiori maggiori si interrogassero
qualche volta più a fondo sul “destino” di tanti loro bei documenti
programmatici, non mancherebbero di certo delle grosse sorprese. Non servono e
non bastano i rubinetti dorati se poi l’acqua non arriva a destinazione.
Angelo Arrighini