LE RISPOSTE CHE DIO SI RISERVA
Non la nostra idea
di Dio, ma Dio, così come non la nostra idea di prossimo, ma il nostro
prossimo. Abbiamo bisogno di Dio non come di una strada per farvi passare altri
nostri sogni, desideri o progetti ma come della nostra unica meta.
Queste note parlano di me, di H. e di Dio. In
quest’ordine. L’ordine e le
proporzioni sono l’esatto contrario di quelli che avrebbero dovuto essere.
E vedo che in nessun punto mi è accaduto di rivolgermi
all’uno o all’altra con quel modo del pensiero che chiamiamo lode.
Eppure sarebbe stata, per me, la cosa migliore. La lode è
il modo dell’amore che ha sempre in sé un elemento di gioia.
Lode nel giusto ordine: di Lui come donatore, di lei come
dono.
Non godiamo forse un poco, nella lode, di ciò che lodiamo
anche se ne siamo lontani?
«È nelle mani di Dio». L’idea ha una nuova energia quando
penso a lei come a una spada. Forse la vita terrena che ho vissuto con lei era
solo parte del processo di tempratura.
Ora forse Egli stringe l’elsa, soppesa la nuova arma, ne
fende l’aria traendone saette. «Una vera lama di Gerusalemme».
Non importa se tutte le fotografie di H. sono brutte.
Non importa (non molto) se il mio ricordo di lei è
imperfetto.
Le immagini, sulla carta o nella mente, non sono
importanti per sé. Sono solo agganci.
Prendiamo un parallelo da una sfera infinitamente più
alta.
Domattina un prete mi darà una piccola cialda rotonda,
sottile, fredda e insapora. È uno svantaggio, o non forse in qualche modo un
vantaggio, che questa cosa non possa ambire alla benché minima somiglianza con
ciò a cui mi unisce?
Io ho bisogno di Cristo, e non di qualcosa che gli
somigli. Voglio H., e non qualcosa che sia simile a lei. Una fotografia veramente
bella potrebbe alla fine diventare una trappola, un orrore, e un ostacolo.
Non la mia idea di Dio, ma Dio.
Non la mia idea di H., ma H.
Sì, e anche non la mia idea del mio prossimo, ma il mio
prossimo.
Forse che non facciamo spesso questo errore con chi è
ancora vivo, con chi è accanto a noi nella stessa stanza? Rivolgendo le nostre
parole e le nostre azioni non all’uomo vero ma al ritratto, al riassunto,
quasi, che ne abbiamo fatto, nella nostra mente?
E bisogna che lui se ne discosti in modo radicale perché
noi arriviamo ad accorgercene. Nella sua mano c’è sempre un carta di cui non
sapevamo nulla.
Per esempio, sto semplicemente cercando di rappacificarmi
con Dio perché so che, se c’è una strada che porta ad H., passa attraverso di
Lui? Però so anche benissimo che Lui non può essere usato come strada.
Se ti avvicini a Lui come a una strada e non come alla
meta, come a un mezzo e non come al fine, in realtà non ti stai affatto
avvicinando a Lui.
Signore, sono dunque queste le tue condizioni?
Potrò ritrovare H. solo se imparerò ad amarti al punto
che non mi importerà più se la ritrovo o no?
Considera, Signore, come questo appare a noi.
Che impressione darei se dicessi ai ragazzi: «Niente
dolci, ora. Però quando sarete grandi e i dolci non vi interesseranno più,
potrete averne quanti ne vorrete»?
Se sapessi che essere diviso da H. e per l’eternità
dimenticato da lei accrescerebbe la gioia e lo splendore del suo essere, è
chiaro che direi: «Ci sto!».
Così come qui in terra, se il non rivederla mai più avesse
potuto farla guarire dal cancro, avrei fatto in modo di non rivederla mai più.
Non avrei potuto fare diversamente. Qualunque persona di coscienza farebbe lo
stesso.
Ma no, non va bene. La situazione in cui mi trovo ora è
tutt’altra.
Quando pongo queste domande davanti a Dio, non ricevo
nessuna risposta.
Ma è un «nessuna risposta» di tipo speciale.
Non è la porta sprangata.
Assomiglia piuttosto a un lungo sguardo silenzioso, e
tutt’altro che indifferente.
Come se Lui scuotesse il capo non in segno di rifiuto, ma
per accantonare la domanda.
Come a dire: «Zitto, bimbo; tu non capisci».
C. S. Lewis
da Diario di un
dolore, Edizioni Adelphi 1990.