CONFERENZA ECUMENICA AD ATENE

 

Si è svolta dal 9 al 16 maggio con la partecipazione di circa seicento delegati, tra cui 24 cattolici. È stato trattato il tema: “Vieni, Spirito Santo, guarisci e riconcilia! Chiamati in Cristo a essere comunità che guariscono e riconciliano”.

 

Il movimento ecumenico, com’è noto, ha avuto le sue origini nel movimento missionario: furono i missionari, a partire dalla loro esperienza in partibus infidelium, infatti, i primi a cercare attivamente la strada per una testimonianza comune del vangelo, riconoscendo apertamente che lo scandalo delle divisioni fra le chiese e le rivalità fra le varie denominazioni ostacolavano alla radice l’impatto del messaggio cristiano. Non è un caso, perciò, che il punto di partenza di tale movimento sia considerata normalmente la Conferenza di Edimburgo del 1910, che riuniva le maggiori società missionarie dell’area anglosassone sotto lo slogan L’evangelizzazione del mondo in questa generazione. Un cammino che è proseguito, tra inciampi, illusioni e speranze, lungo l’intero secolo breve.

Nel 1996, l’ultima Conferenza mondiale sulla missione, convocata dalla Commissione per la missione e l’evangelizzazione (CWME) del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC), si svolse a Salvador de Bahia, in Brasile. Il tema affrontato era Chiamati ad un’unica speranza. Il vangelo nelle diverse culture, e la discussione coinvolse circa seicento persone, in rappresentanza di oltre sessanta nazioni: i cattolici presenti erano appena undici, e solo a titolo di osservatori.

L’edizione di quest’anno, tenutasi ad Atene dal 9 al 16 maggio scorsi, ha offerto molti motivi di interesse, a partire dal numero dei paesi convenuti, un centinaio, e dal luogo prescelto: è infatti la prima volta che un paese ortodosso ospita tale appuntamento, giunto alla quattordicesima edizione.1 Ma non va sottovalutato anche l’aumento d’interesse da parte della chiesa cattolica, che pure non fa parte del CEC, evidenziato dal numero più che raddoppiato della delegazione inviata: ventiquattro membri su un totale di circa seicento, nominati dal Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. Ne facevano parte rappresentanti della curia romana, di organismi cattolici di raccordo col CEC, di istituti religiosi missionari, di facoltà teologiche e centri di documentazione specializzati in missiologia, come pure di realtà laicali impegnate direttamente nell’evangelizzazione e nel sostegno ad attività missionarie, mentre il capo delegazione era il vescovo Brian Farrell, segretario dello stesso Pontificio consiglio. Dal quale non è mancata, al termine dei lavori, una valutazione assai positiva sugli stessi, fino ad affermare: «Questa Conferenza offre la speranza che sulle questioni importanti della missione ci possa essere una convergenza. In un mondo come il nostro, in rapida trasformazione, i cristiani sono obbligati a trovare una risposta comune e non cento risposte diverse in rivalità tra loro».

Il tema della Conferenza ateniese è stato «Vieni, Spirito Santo, guarisci e riconcilia! Chiamati in Cristo a essere comunità che guariscono e riconciliano», e si è prestato bene – ovviamente – a essere sviluppato in svariate direzioni, oltre che a vedere protagoniste le chiese dell’area carismatica e pentecostale, notoriamente in fortissima espansione.

L’interrogativo di fondo ha riguardato la qualità del nesso fra missione ed evangelizzazione, nel tempo della globalizzazione, del disorientamento diffuso e di una pluralizzazione dei riferimenti religiosi che non ha precedenti nella storia: fenomeni, tutti, che – com’è stato ripetutamente notato nell’occasione – non possono non condizionare l’azione missionaria, chiamata dunque a ripensarsi dalle fondamenta.

In chiave squisitamente teologica, il richiamo trinitario ha sottratto il dibattito alla tentazione della superficialità e del pragmatismo: è stato sottolineato che è lo Spirito, infatti, a operare frutti di guarigione e riconciliazione nella vita delle persone e della storia. Mentre è in Cristo che le comunità cristiane stanno riscoprendo la chiamata a essere luoghi di rigenerazione, dove si rende possibile un nuovo inizio. L’argomento affrontato, però, ha consentito altresì una riflessione più ampia sui percorsi di riconciliazione e di guarigione: nella capitale greca si è parlato del ruolo che le chiese dovrebbero essere in grado di esercitare nel corso di un conflitto, attraverso specifici ministeri di riconciliazione e itinerari che favoriscano il perdono e la guarigione delle memorie. Senza trascurare la possibilità, mai del tutto scongiurata, che le chiese possano anch’esse contribuire all’inasprimento delle ostilità.

Tra le principali ulteriori sottolineature, la delocalizzazione del cristianesimo, che ormai non è più eurocentrico ma sta veleggiando a rapide falcate verso il sud del pianeta, con tutta una serie di conseguenze su cui occorrerà adeguatamente soffermarsi; e l’esortazione ribadita alle chiese di porsi dalla parte degli impoveriti, in un mondo in cui il potere e la ricchezza sono progressivamente concentrati nelle mani di pochi.

A proposito del citato cambio di rotta del cristianesimo, è ormai prassi rimandare ad un libro prezioso dello storico delle religioni Philip Jenkins, La terza chiesa (Fazi 2004): secondo l’autore staremmo attraversando un momento di trasformazione profonda nella storia delle religioni, una trasformazione silenziosa che il cristianesimo ha conosciuto già nel secolo scorso, col suo centro di gravità spostatosi decisamente verso il Sud (Africa, America Latina, Asia). Si tratterebbe, in realtà, di una tendenza destinata a farsi più visibile, e di molto, nei prossimi decenni: col cristianesimo che dovrebbe godere di un autentico boom mondiale, anche se la grande maggioranza dei credenti non sarà bianca, né europea, né euroamericana. Anzi, come ipotizza l’autore sulla base delle proiezioni statistiche oggi disponibili, nel 2050 solo un quinto dei tre miliardi di cristiani (delle diverse confessioni, peraltro sempre più omologate) sarà costituito da bianchi non-ispanici: eppure, attualmente, le chiese del sud permangono pressoché invisibili agli osservatori del nord, mentre lo stesso Samuel P. Huntington, nel suo celebrato best-seller Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, che ha appunto fondato nella vulgata corrente la teoria dello scontro fra le civiltà, si riferisce comunemente al cristianesimo occidentale come se non potessero essercene altri. Secondo Jenkins, invece, il fatto di considerare il cristianesimo come una realtà globale potrebbe aiutarci a leggerlo in una prospettiva radicalmente nuova, che ci lascerà stupiti anche se risulterà, verosimilmente, piuttosto scomoda (costringendoci a rivedere tutta una serie di assiomi dati per acquisiti): si potrebbe anzi dire che sarà come se si stesse vedendo di nuovo il cristianesimo per la prima volta.

Tornando ad Atene, da parte delle delegazioni ortodosse, poi, in particolare, si è messo in luce il rischio del proselitismo e l’importanza della nozione di territorio canonico, per intendere correttamente l’impegno missionario. Al proposito, va notato come la discussione resti aperta: è toccato al teologo cattolico statunitense Robert Schreiter, ad esempio, domandarsi con franchezza se una simile visione risponda ancora bene all’attuale situazione, caratterizzata quotidianamente da migrazioni e spostamenti di milioni di persone, in un’ottica sociologica; così come sul piano teologico, occorrerebbe ripensare cosa definisca il territorio canonico: se la storia, la tradizione, o il vescovo.

Nelle intenzioni degli organizzatori, un importante fulcro dell’evento riguardava il rilancio del Decennio per vincere la violenza. Si tratta di una campagna che – lanciata nel 2001 a Berlino allo scopo di impegnare le chiese nella ricerca della riconciliazione, della giustizia e della pace – proseguirà fino al 2010, rappresentando una delle iniziative di maggior visibilità per il CEC.

La cerimonia conclusiva della Conferenza missionaria si è svolta in un luogo altamente simbolico, quell’Aeropago dove – secondo la narrazione degli Atti degli Apostoli (17,18-34) – Paolo parlò ai cittadini di Atene della resurrezione di Gesù, citando a testimonianza della presenza misteriosa di Dio nel mondo gli stessi filosofi e poeti dell’antica Grecia. Nel suo sermone di chiusura, il segretario generale del CEC, Samuel Kobia, ha ricordato come per molte chiese cristiane la domenica 16 maggio ricorresse la festa di Pentecoste: «Il dono della comprensione - ha spiegato - non diminuì la diversità di quella grande folla a Pentecoste; la gente non cessò di essere quella che era. No, essi non diventarono meno di quello che erano, ma più di ciò che erano stati: ed è ciò che abbiamo sperimentato anche noi in questa Conferenza sulla missione».

 

B. S.

 

1 www.mission2005.org e per l’Italia www.nabot.org