UN RUOLO CHE NON SI IMPROVVISA
IL DIRETTORE SPIRITUALE
Elemento centrale e
decisivo nel definire la direzione spirituale è la consapevolezza che Dio si
incontra non attraverso fatti straordinari, ma nella «esperienza umana» che ha
sempre anche «una dimensione religiosa». È questo il punto di partenza
su cui costruire.
Nella Chiesa non esiste né un ordine specifico né un
incarico ufficiale per la direzione spirituale. E nemmeno si diventa direttori
spirituali in forza dell’ordinazione o dei ruoli che si svolgono nella Chiesa.
Il direttore spirituale deve possedere un carisma che attira chi sente il
bisogno di questo aiuto. Oltre alla capacità di impegnarsi con gli altri
aiutandoli a fare in modo che le loro debolezze personali e religiose non si
mettano di traverso sul loro cammino, deve avere una formazione speciale che va
al di là della semplice preparazione teologica e spirituale ordinaria; una
formazione analoga in certo senso a quella che viene data a quelle categorie che
praticano la psicoterapia e il consiglio.
Come si può definire la direzione spirituale? In una
riflessione su questo argomento nella Revue de Spiritualité Ignatienne
(1/2005), William A. Barry sj, autore del libro Our Way of Proceeding (Il
nostro modo di procedere) e di altri saggi, oltre che direttore della rivista
Human Development, la definisce «un aiuto dato da un cristiano a un altro per
permettergli di essere attento alla comunicazione personale che Dio ha con lui,
di rispondere a questo Dio che comunica con lui personalmente, di progredire
nell’intimità con lui e di vivere pienamente le conseguenze di questa
relazione».1
Elemento centrale e decisivo in questa definizione è la
consapevolezza che Dio si incontra non attraverso fatti straordinari, ma nella
«esperienza umana» che ha in se stessa sempre anche «una dimensione religiosa».
Ciò si pone in linea con la convinzione di sant’Ignazio il quale presumeva che
tutti coloro che facevano gli esercizi spirituali avrebbero incontrato Dio. Ma
al di là di un momento così caratteristico, come appunto gli “Esercizi”, in
diversi punti della Contemplazione per ottenere l’amore, egli mostra che Dio si
incontra anche nella vita ordinaria. Ed è questo un importante presupposto da
cui parte la direzione spirituale, come scrive W. Barry: «Dio è attivo sempre e
dappertutto nel mondo ed è desideroso di realizzare il suo progetto nella
creazione. Inoltre, con Ignazio, poniamo come principio che Dio desidera
stabilire una relazione personale con ciascuno di noi. In questo modo, noi
uomini, in ogni momento siamo in contatto con Dio che è attivo nel mondo.
Ciascuno incontra Dio; è impossibile sfuggire a questo incontro. Ogni
esperienza umana è, fra le altre cose, un’esperienza di Dio. In altre parole,
ogni esperienza umana possiede una dimensione religiosa».
Ed è su questa dimensione che si inserisce l’intervento
del direttore spirituale; egli aiuta la persona a prenderne coscienza e,
partendo di qui, a sviluppare il suo rapporto con Dio. Il mezzo più idoneo per
farlo è la conversazione. Il direttore spirituale mette a disposizione le
risorse di cui dispone che sono il suo stesso rapporto con Dio, la conoscenza
che egli ha della tradizione teologica e spirituale, il suo inserimento nella
comunità dei credenti e il suo impegno ad agire in maniera responsabile per
promuovere il rapporto con Dio delle persone che dirige.
I VARI MOMENTI
DELLA DIREZIONE SPIRITUALE
Se al cuore della direzione spirituale sta la
conversazione, allora il primo atteggiamento da assumere è l’ascolto. Il
direttore quindi deve essere attento a ciò che avviene in una persona che
desidera orientare la propria esistenza a Dio. Aiutare in questo caso significa
incoraggiarla a parlare della propria esperienza, chiedendo di volta in volta
dei chiarimenti e delle spiegazioni per avere davanti un quadro preciso della
situazione. È importante che questo ascolto sia autentico, cosa non sempre
facile nelle relazioni umane, in cui l’ascolto è spesso distratto e
superficiale.
Ne scaturisce così un dialogo attraverso il quale il
direttore aiuta con pazienza la persona interessata a conoscere meglio se
stessa e ciò che avviene nel suo intimo. Focalizzando così la conversazione,
rileva W. Barry, egli mostra di essere convinto dell’importanza che
l’esperienza umana ha in rapporto all’incontro con Dio.
Il secondo atteggiamento da assumere sta
nell’incoraggiare un atteggiamento contemplativo in colui o coloro che egli
dirige. Il direttore allora, osserva W. Barry, davanti all’esperienza della
persona diretta si domanda : «che cosa è accaduto in questa esperienza» e non
«che significato ha»? La domanda di significato, se è posta troppo presto, può
distrarre la persona diretta, impedendole di essere attenta alla qualità
dell’esperienza. «Ho scoperto, scrive W. Barry, che è necessario un grande
lavoro nei direttori spirituali che iniziano questo servizio, per far loro
comprendere che essi svolgeranno meglio il loro lavoro ascoltando attentamente
e aiutando la persona che guidano a fare attenzione alla propria esperienza
quando prega o quando prende coscienza di qualcosa che tocca profondamente la
sua vita. I nuovi direttori spesso sono impazienti di venire al “vero lavoro”
che consiste nell’interpretare il significato dell’esperienza. Ma questa fretta
a scoprire il significato va in senso contrario al bisogno che le persone che
dirigono hanno di essere attente alla loro esperienza ed esplorarla. Il
discernimento del significato viene dopo, al termine di questa attenzione ed
esplorazione. Non si può infatti discernere ciò che nella loro esperienza
riguarda Dio oppure no se non dopo averla esaminata attentamente nelle sue
molteplici dimensioni».
UN AIUTO
A DISCERNERE
Terzo atteggiamento: aiutare le persone dirette a fare
discernimento. Una volta che l’esperienza è stata esplorata nei dettagli, il
direttore spirituale può aiutare la persona a discernere se questa esperienza è
un’esperienza di Dio, o meglio se è qualcosa che viene da Dio oppure no.
Come è stato già detto, Dio è presente, in senso forte,
in ogni esperienza umana poiché egli è attivo in ogni tempo, creando,
sostenendo e guidando ogni cosa creata secondo il suo progetto. Ne risulta
quindi che ogni esperienza umana possiede una dimensione religiosa. Il compito
del direttore spirituale sta proprio in questo: aiutare le persone a scoprire
la dimensione religiosa di ogni esperienza che sembri loro importante.
È qui, sottolinea W. Barry che entrano in gioco le regole
del discernimento della prima e seconda settimana degli esercizi di
sant’Ignazio. Sia nella vita ordinaria sia negli esercizi spirituali, sono
all’opera Dio e il “nemico della natura umana”. Coloro che ricevono l’aiuto
della direzione spirituale hanno bisogno di essere guidati a riconoscere i
rispettivi modi di agire.
Sull’esempio di sant’Ignazio che distingueva tra le
regole della prima e quelle della seconda settimana, i direttori spirituali
devono conoscere la situazione spirituale delle persone che dirigono. Alcune,
per esempio, possono essere bloccate da un’immagine deformata di Dio, come
giudice implacabile o un padre senza pietà. Sono individui che hanno bisogno di
un aiuto per fare l’esperienza di Dio descritta nella preghiera della Sapienza
di Salomone 11,24-26: «Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi
di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non
l’avessi chiamata all’esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son
tue, Signore, amante della vita».
Le persone che si raffigurano Dio come un giudice
implacabile devono essere aiutate a conoscere che la loro paura – paragonabile
a una “paura servile” – impedisce di ottenere proprio ciò che maggiormente
desiderano, ossia giungere a un rapporto più intimo con Dio. Spesso queste
persone si sforzano di vivere una vita retta, ma sono tormentate fin
dall’infanzia da questa immagine deformata di Dio.
Altri possono avere degli attaccamenti disordinati e qui
entra in gioco la prima regola di questa stessa settimana per aiutarli a
riconoscere ciò che li tiene prigionieri di questi attaccamenti e a scoprire i
loro punti deboli, che sono quelli più esposti agli attacchi del “nemico”.
La maggior parte di coloro che chiedono una direzione
spirituale regolare, sottolinea W. Barry, sono persone della seconda settimana,
ossia individui che vogliono seguire Gesù, dopo essersi liberate delle immagini
deformate che avevano di lui e dagli attaccamenti e dalle tendenze disordinate.
Ora chiedono di essere aiutate a camminare alla sequela di Gesù e a diventare
suoi veri discepoli. Non passano più tanto tempo a pregare per chiedere di
essere certi che Dio li ama e per essere liberati dai loro peccati. Piuttosto
vogliono collaborare con Gesù alla sua missione per trasformare il mondo. I
direttori spirituali li aiutano a discernere come Dio li guida nella via del
discepolato.
Un quarto atteggiamento del direttore spirituale sta
nell’aiutare le persone a prendere coscienza delle resistenze alla crescita
della loro relazione con Dio. Chi desidera una maggiore vicinanza a Dio sa bene
che questo comporterà dei cambiamenti nella propria vita. Essi dovranno
soprattutto far fronte agli attaccamenti disordinati, alla tendenza al peccato
e ai loro stessi peccati. Può darsi che ciò comporti un cambiamento di vita e
di occupazione, ma essi resistono a questa prospettiva. Inoltre la percezione
della vicinanza di Dio fa sempre paura. Spetta allora al direttore far
comprendere che la prossimità di Dio non costituisce una minaccia alla loro
identità. Al contrario, come diceva in maniera paradossale Karl Rahner, più
siamo vicini a Dio, più siamo noi stessi. Possiamo pertanto affermare che
quando facciamo l’esperienza della vicinanza di Dio, prendiamo coscienza che
noi non siamo delle comparse nel grande gioco della creazione, ma che abbiamo
un nostro piccolo ruolo da svolgere e poco tempo per farlo, e che la malattia,
la perdita di una persona cara non ci saranno risparmiate. I direttori
spirituali ci aiutano allora a riconoscere le resistenze che una presa di
coscienza del genere suscita in noi e offrono del materiale per dialogare con
il Signore. «Crescere nell’intimità con Dio, sottolinea W. Barry, richiede una
crescente trasparenza e apertura che può risultare lacerante, ma che risponde
anche al desiderio che ci sta più a cuore».
I direttori spirituali, conclude W. Barry, si lanciano in
un compito che può intimorire. Si trovano coinvolti nella vita delle persone
dirette e sono interpellati non solo nella propria vita di fede e di preghiera,
ma anche nella loro competenza di persone in grado di impegnarsi intimamente
con gli altri senza permettere che le debolezze personali e religiose si
mettano di traverso nel loro cammino. Devono inoltre osservare le regole
professionali. Per questo hanno bisogno di una preparazione adeguata che vada,
come abbiamo detto, al di là della semplice formazione teologica e spirituale
ordinaria. In altre parole, ci vuole una preparazione speciale.
1 Questa riflessione è in certo senso complementare con
quella che abbiamo pubblicato nel n. 9, pp. 13-15, sull’accompagnatore
spirituale.