UN’ESIGENZA OGGI SENTITA NELLA CHIESA

UN NUOVO PROCESSO CONCILIARE

 

Non si tratta tanto di invocare un nuovo concilio, ma della possibilità di dialogo, di ascolto, di parola nella chiesa universale. È necessario recuperare la “conciliarità” della Chiesa e il clima di speranza e di fiducia che segnò il tempo della preparazione e della realizzazione del Vaticano II.

 

Demetrio Valentini è vescovo della piccola e giovane diocesi di Jales nello stato di San Paolo e nel contempo presiede la Caritas della chiesa brasiliana con uno speciale carisma a farsi prossimo degli ultimi e a dare spessore e significato politico a quel lavoro che non consiste soltanto nell’aiuto umanitario. Per mons. Valentini esercizio della carità è innanzi tutto riscatto completo, conferimento di dignità, rimozione delle cause che generano la miseria e la sottrazione di diritti.

Dom Demetrio è uno degli esponenti più significativi dell’attuale Conferenza episcopale brasiliana, quella Conferenza che negli anni passati si era particolarmente distinta per l’audacia delle proprie prese di posizione e per l’accompagnamento alla teologia della liberazione. Era la Conferenza episcopale che senza esitazione si era schierata al fianco degli ultimi e dei senza voce, quella che era arrivata a teorizzare la nonviolenza evangelica come strumento indispensabile per il riscatto degli oppressi. Era la Chiesa di dom Helder Camara, dei cardinali Lorscheiter e Arns, di dom Pedro Casaldaliga e di tanti altri che o sono deceduti o hanno rassegnato le proprie dimissioni per raggiunti limiti di età.1

Se è vero che molti di questi sono stati a loro volta sostituiti da esponenti più rassicuranti e prudenti nei confronti degli orientamenti dettati dalla curia romana, rimane un fatto che non pochi rappresentanti di quell’episcopato mostrano oggi una particolare attenzione ai segni dei tempi e un atteggiamento sicuramente profetico nelle prese di posizione sui grandi temi della nostra epoca. Forse meno riescono a mostrare forza carismatica ma, in punta di piedi, cercano di accompagnare le chiese sui passi del nazareno senza sconti sulla radicalità evangelica.

Del sessantacinquenne dom Demetrio Valentini colpisce la pacatezza e la serenità, l’attenzione e il rispetto che segnano il suo parlare che in ogni caso non arretra mai nei confronti dell’annuncio della verità. Lo abbiamo incontrato recentemente a Roma in occasione delle celebrazioni che hanno fatto memoria dei venticinque anni del martirio di mons. Oscar Arnulfo Romero. Il primo momento si è realizzato il 17 marzo presso la basilica dei Santi Apostoli con una celebrazione eucaristica che, avviata dal compianto don Luigi Di Liegro della Caritas romana all’indomani di quell’assassino, è rimasto un appuntamento fedele per religiose e religiosi missionari, per volontari della cooperazione e per le comunità latinoamericane di Roma. Già in quella celebrazione, partecipatissima da centinaia di persone e presieduta da mons. Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme e presidente di Pax Christi International, era stato sottolineato il rapporto intimo e imprescindibile tra la testimonianza di Romero e il concilio Vaticano II. A più riprese è stato posto in evidenza che Romero ha incarnato lo spirito e lo stile del concilio, anzi può a ragione essere definito “un figlio prediletto e fedele del concilio”. Ma l’attenzione su questo tema è stata maggiormente incentrata la sera dopo, quando Arturo Paoli, Ettore Masina e mons. Demetrio Valentini hanno parlato dell’attualità e della spiritualità di mons. Romero e, soprattutto, della sua fedeltà al concilio. Senza il clima di rinnovamento ecclesiale e di impegno cristiano suscitato dal concilio, certamente non si sarebbe avuto il contesto storico del martirio di mons. Romero. «Non si capisce la traiettoria personale e l’azione pastorale di mons. Romero – ha affermato Valentini – senza il fatto consistente del concilio Vaticano II. Il concilio ha dato il via a un ampio processo di rinnovamento ecclesiale in America latina, all’interno del quale ha finito con l’emergere con tutta la sua forza il martirio di mons. Romero».

È stato in quest’ambito che il vescovo brasiliano ha esposto con precisione e dettaglio l’idea, proposta ormai tre anni fa e prevalentemente in contesto brasiliano, di una petizione finalizzata alla promozione di un nuovo processo conciliare. È frequente l’obiezione secondo la quale prima ancora che pensare ad un nuovo concilio bisognerebbe riuscire a realizzare pienamente il Vaticano II. Mons. Valentini chiarisce il senso di una tale proposta: «Essa può comportare, in linea di principio, la realizzazione di una nuova assemblea conciliare. Ma, per l’immediato, indica l’opportunità di ristabilire il clima che si percepì all’annuncio del concilio, fatto da Giovanni XXIII all’inizio del suo pontificato, e sfociato nel Vaticano II. Date le evidenti difficoltà di organizzare un nuovo concilio, risulta altrettanto evidente l’opportunità di procedere con un ampio processo conciliare, partecipativo e corresponsabile, che faccia uso delle nuove tecnologie e dei mezzi che oggi facilitano la comunicazione e lo scambio fra le chiese particolari, locali e continentali». La proposta pertanto non consisterebbe tanto nell’indizione di un nuovo concilio, quanto nel riprendere uno spirito conciliare, nel riproporre il fermento di rinnovamento e di dialogo col mondo contemporaneo che Giovanni XXIII prima e Paolo VI dopo si erano proposti in maniera esplicita e coerente. È quello che Valentini indica con l’espressione “processo conciliare”. D’altra parte la velocità delle trasformazioni e dei cambiamenti in tutti i contesti della vita umana, sollecitano fortemente le chiese a ridefinire i linguaggi per farsi intendere e comunicare le verità di fede che non mutano nel tempo. Un’iniziativa che non avviene in chiave rivendicativa o polemica, non pretende di vedere affermata una linea o un orientamento progressista e moderno. Semplicemente chiede di estendere alla chiesa universale la possibilità di dialogo, di ascolto, di parola. «Prima ancora di identificare i possibili temi da portare alle deliberazioni conciliari, è necessario recuperare la “conciliarità” della Chiesa cattolica romana, – prosegue il vescovo brasiliano – ritrovare lo spirito conciliare, ripristinare il clima di speranza e di fiducia che segnò il tempo della preparazione e della realizzazione del Vaticano II».

Insomma si tratta di riprendere quella categoria illuminante e così pregnante di significati di Giovanni XXIII: i “segni dei tempi”. Di cosa si trattava in definitiva se non di fenomeni sociali ed evidenze pastorali che interpellavano la Chiesa e l’umanità e che aspettavano risposte adeguate? Non sono pochi nella Chiesa a ritenere che sono tanti oggi i segni che ci lasciano perplessi e ci invitano ad un clima di ascolto e discernimento, in atteggiamento di fiducia nella grazia di Dio. «Un processo conciliare fa emergere l’importanza di essere disponibili all’azione dello Spirito. La dimensione conciliare della Chiesa è permanente quanto il bisogno che essa ha dell’azione permanente dello Spirito».

La celebrazione dei 40 anni del concilio ci invita pertanto a ritrovare il suo spirito e a riprendere la sua dinamica. È infatti questa docilità all’azione dello Spirito che ci fa procedere nella direzione opposta a quella del potere umano. Un vero clima conciliare riuscirebbe anche a fare emergere non solo una più ampia partecipazione di tutti, ma anche a far cadere in secondo piano le dispute ponendo maggiore fiducia semmai nella capacità di riuscire a trovare insieme le strade da seguire. Ispirati e illuminati dalla Parola e sollecitati dalle tante domande che il mondo contemporaneo pone alla coscienza dei credenti. Paolo VI che aveva intuito tale esigenza aveva rilanciato il ruolo dei sinodi che però nel tempo è andato via via svilendosi nella sua capacità consultativa e propositiva.

La proposta, redatta nel maggio 2002, aveva trovato l’immediato consenso di circa 40 vescovi (tra cui spiccano le firme di due cardinali) e di migliaia di credenti laici e sacerdoti, teologi e operatori pastorali. Dal titolo “Per un nuovo concilio”, la petizione chiede la convocazione di un nuovo concilio, nella forma di un processo conciliare. Come molti dei lettori ricorderanno la proposta era stata lanciata per la prima volta dallo stesso card. Carlo Maria Martini durante il sinodo dei vescovi del 1999. Ma nel testo della petizione (www.proconcil.org) la richiesta è meglio circostanziata e precisa: «Noi che firmiamo questa petizione, discepoli di Gesù di Nazareth, sollecitiamo il papa, vescovo di Roma, perché, in continuità con lo spirito del Vaticano II, convochi un nuovo concilio che aiuti la nostra Chiesa cattolica a rispondere evangelicamente, in fraterno dialogo e nella maggiore collaborazione con le altre Chiese cristiane e le altre religioni, alle gravi sfide dell’umanità, in particolare a quella dei poveri, in un mondo in rapida trasformazione e sempre più globalizzato. Consapevoli delle difficoltà che comporta organizzare un concilio, chiediamo che, facendo ricorso alle nuove tecnologie di comunicazione e di scambio, sia concepito come un processo conciliare, partecipativo e corresponsabile, a partire dalle Chiese particolari, locali e continentali».

«Proponiamo – continua l’appello – che si realizzi lungo un periodo di tempo sufficientemente ampio e con una metodologia appropriata affinché la comunità dei credenti possa pronunciarsi sui temi che considera più importanti e urgenti, avendo raccolto i suoi contributi per il dibattito e le decisioni conciliari». La lettera così conclude: «In comunione con tutta la Chiesa, e particolarmente con il successore di Pietro, preghiamo perché lo Spirito ci assista, per rispondere – con profezia e speranza – all’anelito al dialogo e al rinnovamento che coinvolge gran parte del popolo di Dio. A questo anelito vogliamo, rispettosamente, rispondere firmando questa petizione».

Oggi più che mai siamo convinti ad esempio che non si possa procrastinare oltre una riflessione a 360 gradi sulla pace in quanto sia i modelli economici (la pace è “opera di giustizia” aveva detto la Gaudium et spes) sia la violenza in tutte le sue manifestazioni (terrorismo, guerra…) mostrano un volto e dei tentacoli che non hanno precedenti nella storia dell’umanità. Ma il processo conciliare di cui parliamo non potrà fare a meno di trattare questioni di ordine sociale come i diritti della donna nella Chiesa, la morale sessuale e familiare, il vasto campo della bioetica (clonazione, cellule staminali…) ed ecclesiale come il senso della comunione ecclesiale, i ministeri, il ruolo dei laici e delle comunità cristiane nella costruzione della Chiesa, la funzione del papa e dei vescovi.

Una proposta, questa che viene rilanciata nel corso del quarantesimo anniversario del concilio Vaticano II perché è pensata in continuità con quel concilo «attualizzando e sviluppando la sua eredità e nel contempo aggiungendo nuovi temi e nuove preoccupazioni. I promotori dell’iniziativa – afferma mons. Valentini – non pensano che il Vaticano II debba essere svuotato. Al contrario, vogliono che esso riceva nuovo impulso con un nuovo processo conciliare che riprenda le questioni pendenti e ne affronti di nuove. Allo stesso tempo, sentono indispensabile la maggiore partecipazione che un nuovo concilio, nelle condizioni di oggi, implicherebbe con certezza».

I quarant’anni del concilio erano stati considerati dai promotori del nuovo processo conciliare come la tappa per implementare l’iniziativa e pertanto ci si trova ora ad un momento decisivo del proprio iter. Con qualche disappunto bisogna ammettere che, nonostante il card. Martini possa essere considerato il grande ispiratore di questa iniziativa, essa non ha trovato in Italia grande attenzione. Al contrario è stata guardata con qualche diffidenza o considerata troppo superficialmente. Eppure non sbaglia chi legge nel desiderio di partecipazione e di dialogo sinceri un segno dello Spirito. Conclude Mons. Valentini: «La conciliarità è una grazia permanente e indispensabile anche per la Chiesa cattolica romana. Quanto più complesso è il cammino della Chiesa, quanto maggiori sono le sfide che la realtà le pone, tanto più la Chiesa deve confidare nella grazia che si dispiega permanentemente lungo la storia: essa può riunirsi con fiducia ed umiltà, nella certezza che lo Spirito l’aiuterà a discernere i problemi e a prendere le decisioni opportune».

 

Tonio Dell’Olio

 

 

1 Questo articolo è stato scritto poco prima della scomparsa di Giovanni Paolo II. È una riflessione che trova ora riscontro in quella esigenza di maggiore collegialità di cui ha parlato Benedetto XVI fin dai suoi primissimi interventi. Spetterà a lui ora indicare le vie più adeguate per promuoverla ed esprimerla.