XXIV CONGRESSO EUCARISTICO

DOMENICA SPLENDORE DEL TEMPO

 

A Bari la Chiesa italiana ha rinnovato la sua autocoscienza di comunità dell’Eucaristia e della domenica: un’identità che la fonda come esperienza di popolo e la proietta in una nuova missione negli odierni deserti dello spirito.

 

Perché i 49 martiri uccisi nel 304 ad Abitene (Tunisia) per aver disobbedito all’ordine imperiale di non possedere Scritture e di non riunirsi la domenica, arrivano a dire: “sine dominico non possumus”? Che cosa li spinge a dare la vita piuttosto che rinnegare il pane del cielo (dominicum = corpus/mysterium), il giorno del Signore (dominicum = diem) e l’assemblea santa?

La risposta del XXIV congresso eucaristico (Bari, 21-29 maggio 2005) si è mossa su tre piani: sulla scia dei martiri si è compreso che il tempo è lo splendore di Dio e la domenica lo splendore del tempo; inoltre, si è percepito che se la Chiesa è il sacramento del mondo, la domenica è giorno della Chiesa in quanto celebrazione del senso della vita e della storia in rapporto all’eterno; infine, al centro della domenica si è riconosciuta l’Eucaristia, culmine e fonte della vita ecclesiale, luogo della bellezza che è la salvezza del mondo. E il papa Benedetto XVI, nella sua prima uscita dopo l’elezione, di fronte a 200mila fedeli, ha accolto i tre livelli spirituali ed esistenziali per i cristiani del ventunesimo secolo senza nasconderne le difficoltà: «Neppure per noi è facile vivere da cristiani. Da un punto di vista spirituale, il mondo in cui ci troviamo, segnato spesso dal consumismo sfrenato, dall’indifferenza religiosa, da un secolarismo chiuso alla trascendenza, può apparire un deserto».

 

IL DONO

DEL TEMPO

 

Il primo piano esplorato nei giorni di Bari è stato quello della festa, reso visibile anche dall’animato andirivieni intorno al villaggio dei giovani, che ha dato ai 60mila partecipanti un significativo assaggio della prossima Giornata della gioventù. Anche quando la cultura si secolarizza, non si spegne il desiderio della festa. Si cerca perciò sempre più tempo libero, a contrastare il tempo del lavoro percepito come dipendenza. Si moltiplicano anche le occasioni di festa nella vita privata; la società crea feste su misura per i suoi consumi, utilizzando i sentimenti più cari; si importano feste da altre culture, creando bisogni su un’assenza di fondamento culturale. Ma non si risponde così alla richiesta di senso che è racchiusa nella festa. La proposta cristiana della festa domenicale, che trae significato dal gesto eucaristico di Gesù, porta invece a verità il desiderio umano di un tempo diverso rispetto a quello feriale: indirizza alla gratuità dei rapporti, all’apertura di orizzonti nuovi di conoscenza e di bellezza, all’incontro con gli altri nel leale confronto del gioco, alla presa in cura amorevole dell’altro. Dio stesso fa festa con gli uomini e gli uomini si aprono alla festa vera, nel giorno del Signore. Questo esige dai cristiani di essere testimoni di gratuità nel tempo. Solo la gratuità che scaturisce dall’amore ci fa scoprire la falsità della malattia che fa dire “non ho tempo”: il senso della festa cristiana è non aver paura di dare il nostro tempo a Cristo e ai fratelli!

In società sempre più multietniche e multireligiose si fa poi urgente per i cristiani la sfida dell’identità. Nel mondo del relativismo etico, i segni cristiani vengono non raramente estromessi dalla sfera pubblica. La stessa domenica è insidiata dagli interessi del produrre e del consumare. Salvare la domenica (e il riposo domenicale) ­non è un privilegio per i cristiani, ma difesa dell’uomo da sottili schiavitù e promozione di una socialità condivisa per tutti. Bisogna però riconoscere che l’esperienza della santificazione della domenica diventa per i cristiani stessi intimismo religioso, incapace di incidere sull’etica collettiva. Ebbene, non facciamo festa per dimenticarci della storia, ma per riappropriarci della sua radice e del suo compimento.

L’accoglienza del giorno del Signore comporta un lasciarci educare al senso del tempo da valorizzare evangelicamente. In primo luogo, a una cultura che connette la festa alla distrazione, dobbiamo opporre una visione coerente della persona umana che si ritrova nella sua unità: le forme che può assumere questa via contemplativa possono essere la preghiera, l’apprezzamento del bello (nelle sue forme naturali e artistiche, ricercate anche attraverso un intelligente turismo), la valorizzazione della musica e di altre forme di espressione artistica e di intrattenimento. In secondo luogo, il dono gratuito della domenica si esprime nel superamento dell’individualismo e nell’apertura alle esigenze della comunione con gli altri. La festa diventa spazio di pace, di perdono, di ricostruzione di rapporti interrotti. In quest’ottica va visto il rilancio del progetto Policoro per l’occupazione giovanile al sud (partito da 10 anni, ha coinvolto 70 diocesi e si è avvalso della collaborazione di circa 300 aziende) e l’Appello per la salvaguardia della domenica, giorno di festa per la persona, per la famiglia e per la comunità (sottoscritto da varie associazioni tra cui Acli, Cisl e Coldiretti), in cui si auspica il ritorno al principio dell’eccezionalità del lavoro domenicale (proposto il limite di 8 domeniche lavorative per i negozi, a esclusione del periodo natalizio).

 

IL SENSO

DELLA STORIA

 

Il secondo piano della riflessione ha evidenziato la capacità di purificazione dell’Eucaristia nella sfera economica e lavorativa, ambientale e sociale, politica e delle relazioni ecumeniche. Nel mondo del lavoro le aspirazioni personali si confrontano con la tentazione di ridurre il lavoro a puro oggetto di scambio, a cui dare un esclusivo valore economico. Tuttavia quando il lavoro viene mercificato diventa schiavitù: l’Eucaristia ci indica invece che la gratuità è la chiave di ogni sana relazione umana. E ancora, la realtà di tutti i giorni spinge anche i cristiani a pensare alla città soltanto come il luogo a cui attingere servizi e tranquillità: l’Eucaristia ci insegna invece ad amare la città, vedendo in essa il luogo in cui siamo più compiutamente persone. Ciascuno di noi vuole una classe politica competente, capace di risolvere i problemi di tutti i giorni e di migliorare il benessere collettivo. Spesso però siamo portati a delegare ad essa tutto ciò che attiene alla sfera dei nostri interessi pubblici, sperando magari che non ci siano troppe interferenze con i nostri egoismi privati: l’Eucaristia ci ricorda che l’unica strada per il rinnovamento della politica è il metterci in gioco personalmente, dimostrando disponibilità a pagare di persona per il bene comune.

Così ogni domenica ci viene offerto un cuore nuovo e degli occhi nuovi con cui vagliare le scelte concrete. Sono il cuore e gli occhi dei poveri e degli ultimi: quelli delle famiglie con difficoltà ad arrivare alla fine del mese; delle donne che continuano ad essere discriminate da un mondo del lavoro poco rispettoso della loro femminilità, soprattutto quando questa si apre alla maternità; dei molti giovani che, per trovare un lavoro, si trovano di fronte a scelte di dipendenza e di umiliazione o a un distacco doloroso dai cari e dalla terra; degli anziani spesso additati come un peso per la società; dei bambini “occupati” dagli adulti in tante attività, quando invece avrebbero bisogno di vivere nella libertà del gioco e delle relazioni amicali.

La domenica è anche il giorno che ci dovrebbe ricordare la necessità della riconciliazione tra cristiani. Questo congresso di Bari – città ponte fra occidente e oriente, luogo della tomba di san Nicola e dove nel 1098 ha avuto luogo un sinodo di vescovi greci e latini, meta di pellegrinaggio di ortodossi e cattolici e palestra di impegno ecumenico – sarà ricordato come una tappa importante di riavvicinamento tra le chiese. Perché non sperare che, mille anni dopo il sinodo del 1098, nel 2098 possiamo celebrare nuovamente un sinodo di vescovi greci e latini, un sinodo di riconciliazione? Senza la celebrazione della domenica non siamo più identificabili, riconoscibili, non siamo più trasparenti come cristiani, e senza identità visibile corriamo il rischio di non essere più presi in considerazione, di diventare una realtà insignificante. Un enorme comune compito ecumenico, persino una vera sfida ecumenica si apre con tale constatazione! Il papa, nell’omelia finale di fronte a 200mila fedeli, ha chiaramente indicato il suo impegno in questa direzione: «Proprio qui, a Bari… vorrei ribadire la mia volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Sono cosciente che per questo non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via dell’ecumenismo. Chiedo a voi tutti di prendere con decisione la strada di quell’ecumenismo spirituale, che nella preghiera apre le porte allo Spirito Santo, che solo può creare l’unità».

 

L’OFFERTA

DELLA VITA

 

Il terzo piano del congresso si è sviluppato alla luce del martirio. Si è citato Mazzolari (chi uccide un giusto perché contrario alle sue opere, feconda un bene che non può sopportare) per ricordare le figure di monsignor Romero, di Annalena Tonelli, dei vescovi e preti perseguitati dai regimi comunisti, ma anche delle nuove schiave del sesso recuperate al dono di sé nella maternità e di tutti coloro che contestano un’esistenza egocentrica, donandosi al servizio degli ultimi. Tra questi sono stati accolti con particolare calore quelle religiose e quei religiosi che, con la loro gioiosa fantasia, hanno testimoniato la speranza del Regno (le presenze della VC sono state calcolate tra le 3 e le 4 mila unità). Il francescano Biagio Conte (associazione Missione di speranza e carità) ha descritto la sua vita di barbone tra i barboni di Palermo; Suor Maria Gloria, del monastero Adoratrici perpetue di Monza, ha opposto la logica di Gerusalemme a quella di Babilonia; il gesuita Marco Rupnik, teologo e artista, ha messo in guardia da una bellezza che diventa commedia o cosmetica; le sette Clarisse itineranti di Cristo sorgente hanno annunciato Gesù travestite da clown; il francescano fratel Gianfranco ha predicato ai sordomuti; p. Paolo Pirlo, missionario dei Figli di Maria immacolata, ha paragonato il carcere di Manila nelle Filippine, dove svolge il suo ministero, ad Auschwitz; suor Rosa Marmiroli (Piccole figlie dei sacri Cuori di Gesù e Maria) ha ricordato la freddezza delle nostre messe rispetto a quelle da lei vissute in Cile, in Congo e oggi in Perù.

In questo modo il congresso è diventato un invito, rivolto soprattutto al laicato di parrocchia o di movimento, a uscire allo scoperto per affrontare le tante sfide del mondo. I vescovi italiani hanno colto l’occasione per rendere pubblica una lettera in cui si richiama con forza il bisogno di una chiesa come comunione per la missione, in vista anche del prossimo convegno ecclesiale di Verona nel 2006. Laici, consacrati/e e preti devono ritrovarsi intorno a ciò che è l’essenziale della fede, per cui chi incontra le nostre comunità o famiglie incontra Cristo, senza troppe glosse o adattamenti.

Il congresso ha in definitiva ricordato al sud e al nord che, con la celebrazione eucaristica, la comunità che si raduna diventa una comunità  di discepoli dell’unico maestro: per come è oggi strutturata la vita e la settimana, la domenica custodisce non solo la fede ma la stessa vita umana. In Italia e in Europa la perdita del giorno del Signore diventa così il rischio della perdita la fede, oltre che il non avere il lunedì l’energia necessaria per affrontare la vita lavorativa. Senza il nutrimento eucaristico sarà difficile esprimersi e affrontare le situazioni sempre più complesse “da cristiani”. Perciò quel giorno a Cafarnao, col suo discorso sul pane, Gesù ha voluto sfidare anche la diserzione degli apostoli (Volete andarvene anche voi?), senza però tirare sul prezzo della verità. Ha offerto se stesso al mondo come dono gratuito ma esigente, senza fare sconti. Se custodiamo la domenica, la domenica custodirà noi.1

 

Mario Chiaro

 

1 Tra i più significativi contributi al congresso segnaliamo quelli di mons. Betori, Paola Bignardi, mons. Sigalini, card. Kasper insieme al vescovo luterano Huovinen e all’arcivescovo ortodosso Kirill, mons. Forte e mons. Ravasi.