UN CATTOLICO
SICILIANO
Amava dire di sé, scherzando con aria furba: «il Signore dopo avermi creato ha buttato via lo stampo» .
Giorgio La Pira era veramente “unico” nel mettersi di fronte alle diverse dottrine politiche e nel chiedersi: «quali di esse dobbiamo accogliere e quali respingere volendo seguire fedelmente il pensiero cattolico?». La sua vita e la sua militanza politica, culturale e religiosa ruotano intorno a questo interrogativo, al quale rispose coniugando la tolleranza con il rigore dottrinale proveniente dalla sua intensa spiritualità. Nato nel 1904 a Pozzallo in provincia di Ragusa, primogenito di una famiglia di umili condizioni, a prezzo di grandi sacrifici era riuscito a diplomarsi in ragioneria, conseguendo la maturità classica e infine la laurea in giurisprudenza.
SINDACO
SANTO
A Firenze approda nel 1924 e subito manifesta la sua sollecitudine verso i poveri: nasce l’esperienza della “messa” di San Procolo (una chiesa abbandonata che diventò un luogo d’incontro dove pregare e riflettere con i poveri sulla Chiesa, sulla città e sul mondo). In quegli anni diventa docente di diritto romano all’università, milita nell’Azione Cattolica giovanile e nel 1939 fonda la rivista Principi nella quale sottolinea i temi relativi alla persona umana che vengono prima di quelli politici: «tutti i valori creati, compresi quelli sociali, hanno per l’uomo funzione di mezzo, costituiscono quella scala di valori che egli deve normalmente percorrere per giungere al suo ultimo fine; sono l’itinerario al termine e al di là del quale c’è il riposo e la perfezione: Dio raggiunto e posseduto per sempre». Era solito ripetere: «non per il proletariato o per la razza o per lo stato, Dio mi ha messo al mondo, ma per sviluppare nella mia vita interiore e nella mia vita di relazione la chiamata santa alla verità e al bene».
Nel 1946, su incoraggiamento del cardinal Elia Dalla Costa, presenta la sua candidatura e viene eletto all’Assemblea costituente. Nel 1947 insieme a Dossetti, Fanfani e Lazzati dà vita a Cronache sociali, una rivista che esprime, dal punto di vista cattolico, le istanze del rinnovamento democratico in Italia. L’anno successivo è sottosegretario del Ministero del lavoro e suscita vivaci polemiche con la sua impostazione economica che privilegiava l’occupazione della “povera gente” contro una certa visione democristiana moderata e interclassista. Di certo scomodo, anche per i colleghi, perché profondamente pedagogico nel suo approccio politico. Nel 1950 pubblica un opuscolo dal titolo Le attese della povera gente, dove, dopo aver esposto le dimensioni mondiali dei problemi dei poveri, si chiede se alla luce della fede religiosa, della metafisica, della storia dell’economia e della politica, i due più tremendi nemici dei poveri (disoccupazione e miseria) possano essere vinti.
Nel 1951 viene eletto sindaco di Firenze (rimanendo in carica fino al 1965): sono gli anni della faticosa ricostruzione di un paese profondamente lacerato dalla guerra civile. Sotto la sua amministrazione prende corpo una grave crisi riguardante i circa tremila operai del Pignone che stanno per perdere il posto di lavoro a causa della decisione della direzione di chiudere la fabbrica. La sua azione a favore degli operai fu forte e determinata: tutto ciò gli valse le accuse di “comunista bianco”, “pesce rosso nell’acquasantiera” o “comunistello di sagrestia” (vedi Montanelli e Guareschi). In realtà, con forte aderenza al Vangelo e ispirandosi a san Tommaso (la società è mezzo e non fine), egli cercava di attuare il suo ideale: «in una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per imparare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale)” (cf. Le città sono vive). Per quanto cercassero di sminuirne capacità e credibilità, per isolarlo, mantiene aperti canali di dialogo decisivi (Giovanni XXII, il card. Montini, Amintore Fanfani) e convoglia attorno a sé una serie di forze morali e intellettuali.
PROFETA
DELLA RISURREZIONE
«Tutta la vera politica sta qui: difendere il pane e la casa della più gran parte del popolo italiano. Il pane (e quindi il lavoro) è sacro; la casa è sacra; non si tocca impunemente né l’uno né l’altra! Questo non è marxismo: è Vangelo!». Questo imperativo è quello che sconvolge il suo piano di santificazione: il contemplativo si vede allora gettato nella mischia, ma sa attraversare gli onori senza vederli, vivere asceticamente e affidare la buona riuscita dei suoi progetti alle “suorine” di clausura con le quali intrattiene una ininterrotta corrispondenza. Radicato perciò nella preghiera, manifesta capacità di coniugare profezia e laicità attraverso una visione globale degli eventi, nella convinzione che in una stagione di “guerra impossibile” (la terza guerra mondiale bloccata proprio dall’armamentario atomico) la distanza da colmare non fosse più solo quella tra est e ovest, ma quella tra nord e sud del mondo. Qui dimostrò un attivismo profetico anche se osteggiato dalle cancellerie occidentali, compresi i governi italiani.
Credeva nel dialogo fra le tre grandi religioni monoteiste e fece di questa convinzione uno dei pilastri della sua politica. Riuscì a fare incontrare a Firenze nei Colloqui mediterranei i contendenti nei conflitti di Algeria e medio oriente. Il 16 agosto 1959, in piena guerra fredda e dopo un viaggio a Fatima, parla a Mosca di fronte al Soviet supremo, sostenendo la coesistenza pacifica e confessando di credere a un “ponte di preghiera” tra occidente e oriente. Nel frattempo organizza a Firenze i Convegni internazionali per la pace e la civiltà cristiana e inizia a promuovere i “gemellaggi” tra i sindaci delle più importanti città del pianeta.
Come san Francesco andava un po’ “pazziando” dal sultano, così La Pira nel 1965, dopo un viaggio a Czestochowa, va in segreto da Ho Chi Min e, definendosi un “cattolico siciliano” (cioè con spirito universale e locale insieme!), identifica in anticipo le stesse condizioni che otto anni dopo metteranno fine alla sanguinosa guerra del Vietnam. Abbattere i muri e costruire i ponti: questa è la sola inevitabile prospettiva politica che La Pira vede dell’età spaziale e atomica. Questo è il sentiero di Isaia battuto dal nostro: la scelta dell’unità del mondo, della pace universale e della universale liberazione e promozione dei popoli (Is 11,6).
L’emigrato siciliano, profeta disarmato, un don Chisciotte per i cinici, ancor oggi rappresenta una sfida che sgorga dal Vangelo e che parla di pace e giustizia tra i popoli. Egli ha saputo cogliere l’essenziale della vita che è la risurrezione di Cristo, perciò non ha avuto paura di incontrare gli altri a costo di farsi strumentalizzare. Perciò Giovanni Paolo II l’ha incluso nella dozzina dei santi venerati in Italia durante la grande preghiera per il nostro paese (15 marzo 1994). Il postulatore della causa di beatificazione, lo storico Vittorio Peri, così sintetizza quello che più l’ha colpito nella vicenda di questo professorino: «lo sforzo totale di ridurre a unità ogni percezione di bene nelle persone incontrate e nelle situazioni concretamente vissute. Tutto ciò si fondava sulla ipotesi paolina “se Cristo non è risorto la nostra fede è vuota, e la nostra predicazione vana”, ma “Cristo è realmente risorto”, ripeteva sempre La Pira, nella liturgia, “sicché dobbiamo sperare di non essere una manica di imbecilli e di illusi”». La consapevolezza che alla fine di tutto c’è la risurrezione: questa stella lo ha dunque portato a un profondo ottimismo e all’attenzione per non porre mai in contrapposizione l’umanità con la divinità.
Se è apparso ingenuo, un figlio dell’utopia evangelica, è perché noi cristiani non viviamo nella luce di Cristo, ma siamo vinti e occupati dal mondo (Carlo Bo). Occorre vigilare dunque perché su di lui non si diffondano stereotipi al fine di smussarne le asperità, arrivando a “disumanizzarlo” dentro un ideale empireo di santi poeti che non sono adatti alla lotta sociale.
M.C.
1 GRIENTI V. – MALANDRINO L., Profeta di pace tra i figli di Abramo. Diario di un viaggio a cento anni dalla nascita di Giorgio La Pira, Editrice Rogate, Roma 2005, p. 30.
Il volume è una raccolta di articoli e interviste che nel 2004, centenario della nascita, sono state pubblicate su Avvenire e sul bollettino della diocesi di Noto.