LA VC IN UNA REALTÀ IN MOVIMENTO
FARE I CONTI CON LA COMPLESSITÀ
Se oggi
la vita consacrata vuole testimoniare l’amore di Cristo deve dirigersi al largo
con le due dimensioni della trascendenza e dell’incarnazione, che la
riconducono al primato di Dio, cercato e vissuto nella storia.
Uno sguardo alla storia della filosofia su un libro di liceo, una rapida carrellata tra alcuni filosofi avendo in mente la vita consacrata e una ricerca ancora non del tutto dichiarata e definita: vedere se fosse possibile ricavare dalle voci dei pensatori qualcosa di utile, di chiarificatore per la vita religiosa di oggi. Al di là delle aspettative, un certo apporto è emerso dalle pagine (almeno mi sembra) e ne è nato un esperimento di assemblaggio di idee, liberamente ispirato al pensiero dei filosofi, un po’ strano certamente, ma credo non del tutto inutilizzabile per la riflessione che la vita consacrata oggi sta conducendo.
Questa premessa per spiegare la genesi delle considerazioni che seguono, magari non del tutto in linea con le più profonde, e certamente più motivate, riflessioni teologiche e spirituali sulla vita consacrata.
UNA REALTÀ
IN MOVIMENTO
Nessuno nega che oggi la vita consacrata abita in un mondo culturale e sociale complesso e che le questioni che essa è chiamata a vivere e a gestire sono complesse. Una realtà che richiede – di conseguenza – un’educazione alla complessità. E – prima ancora – la consapevolezza che nel nostro tempo questa realtà, con la quale occorre fare i conti, cambia più velocemente delle nostre idee, frenate da tante cose: dalla tradizione da conservare a ogni costo, dalla paura del futuro, dalla comodità dell’esistente. Oggi la complessità richiede non più soltanto una intelligenza, ma un’intelligenza molteplice, in grado di affrontare i molti lati dei problemi, e un’intelligenza vigile, capace di non adorare acriticamente il ricevuto e cosciente che disilludere è illuminare.
La realtà è fluire e divenire complesso, è vita che non intende mai fermarsi nel suo slancio vitale, appunto; si presenta come un’evoluzione intesa sempre alla creazione di altre realtà, in un percorso storico certamente segnato dalla discontinuità, da differenze qualitative, ma comunque nuove rispetto al passato. L’intera vita – delle persone come delle comunità – è slancio, progresso e si manifesta come creatività infinita, come apertura all’ignoto e all’inconoscibile. Questo “desiderio dell’oltre” spiega – come si sa – l’incessante progresso dell’umanità che – in termini biblici – è partecipazione alla creazione di Dio e continuazione della sua opera. La realtà è movimento ed è spinta dallo slancio vitale (che è inserito prepotentemente nel suo stesso DNA) a espandersi, ad agire sugli stessi suoi aspetti per estenderli e rinnovarli continuamente.
Nella realtà che si trasforma e provoca al cambiamento, la vita consacrata (come ogni vita) è chiamata a non lasciarsi ingabbiare dalla complessità delle questioni e quindi dall’impossibilità dell’individuare approdi nuovi. È tempo di ritornare su se stessi, interrogarsi sulla propria natura e funzione, per trovare l’ardire e l’ardore di reagire alla passività del tempo e di agire con l’entusiasmo della rigenerazione.
INTERPRETARE
PER TRASFORMARE
Oggi l’identità e l’avvenire della vita consacrata sono sotto la lente della riflessione della teologia e della spiritualità, come pure – ovviamente – al centro della preoccupazione di ogni istituto. È necessario – però – non limitarsi a interpretare la vita religiosa in modi diversi (sono giusti preliminari), ma avere il coraggio di cambiarla: pensare la vita consacrata non cercando i mezzi più idonei per trasformarla in qualcosa di nuovo in una nuova realtà è di fatto lasciarla intatta nella sua struttura: la semplice “speculazione” che si ferma sui “concetti” e non scende nella prassi non cambia la realtà. Occorre superare il momento della pura speculazione per trasformare la riflessione (pure necessaria come momento illuminante) in realizzazione nel mondo reale, storico e culturale, della vita religiosa. La teoria deve essere la critica della situazione esistente ed essere collegata a un effettivo cambiamento della coscienza e della prassi finora vigenti. Essere critici positivi sulla realtà presente della vita consacrata, segnalandone le contraddizioni profonde e nascoste e cercare di individuare una sua realtà futura più corrispondente ai tempi, è contribuire alla ricerca di un modello “utopico” in grado di fungere da pungolo “rivoluzionario” per un suo mutamento radicale.
Oggi gli sguardi superficiali debbono cedere il passo alle visioni profonde e alle idee magnanime e di largo respiro, non cancellando semplicemente il passato, ma cercando una soluzione simbiotica, però non accomodante, tra “allora” e “adesso”. La vita consacrata, se vuole essere eloquente nella realtà presente e futura, deve diventare una “società aperta”: questa è caratterizzata dal dinamismo, guidata dall’amore per l’umanità, aperta al nuovo, all’altro, al “processuale” carattere della realtà storica. E non è intesa a mantenere prima di tutto (come spesso accade nella vita consacrata) la “coesione” sociale tra gli individui, ma è azione dinamica ed efficace nel mondo.
Opposta è la società chiusa che si basa su automatismi: qui prevale una condotta passiva, abitudinaria e meccanica, regolata da norme giuridiche costrittive e da impostazioni morali altrettanto coercitive. È una società conformistica e statica, ripiegata su se stessa a difesa delle proprie strutture e tradizioni. A quale delle due società intende ispirarsi e assomigliare la vita consacrata ?
COMUNITÀ
RINNOVATE E NUOVE
È tempo – quindi – di un severo esame di coscienza, non di manifestazioni trionfalistiche e “nazionalistiche” fuorviate e fuorvianti. Si va sempre più imponendo la necessità di una “rivoluzione”, finalizzata a battere i due grandi peccati della vita consacrata: l’individualismo, che è nello stesso tempo frutto e prodotto dell’egoismo e porta alla chiusura in se stessi e alla rottura di ogni solidarietà comunitaria, e il comunitarismo che è riduzione del soggetto a pura e generica entità numerica e sorgente della massificazione. La vita religiosa, guidata dallo Spirito, non si identifica certo con un mondo statico, con la quiete, con l’inerte compromesso, ma esige la rottura con tutto quello che è “disordine” etico, culturale, sociale, politico. È la rivoluzione evangelica che contesta ogni ambito non percorso dall’assillo per la condizione umana.
La “rivoluzione” richiede due dimensioni che si intrecciano e si autenticano a vicenda: è teocentrica perché pone Dio al centro dell’uomo e, nello stesso tempo, è antropocentrica, perché considera l’uomo in tutta la pienezza del suo essere naturale e soprannaturale. In questa prospettiva la persona umana è una realtà spirituale riferita a Dio, ma immersa nella società e nella cultura, delle quali ha bisogno per vivere nella storia. Ecco – allora – che il religioso (come ogni cristiano) ha l’impegno di realizzare, per quanto possibile nelle condizioni storiche concrete, una rifrazione delle esigenze evangeliche nel mondo, vivificando il temporale (luogo della sua vita storica) con lo spirituale (l’apporto di animazione della storia).
La vita consacrata diventa – così – un modo di vivere e contemporaneamente profezia. Il rigore della presenza è oggi più che mai necessario e costringe il religioso a porre attenzione alle tre principali dimensioni della sua esistenza: la vocazione (per meditare sul suo posto e i suoi doveri verso il Vangelo e il carisma), l’incarnazione (per riconoscersi nella sua concreta determinazione storica e nell’esigenza di essere testimonianza), la comunione (per rinunciare a se stesso e donarsi con libertà agli altri).
DIRIGERSI
“AL LARGO”
Il rapporto con l’altro definisce essenzialmente il nostro essere nel mondo. Ma l’altro concreto, non un evanescente essere dai tratti confusi e confortevolmente universali. In questa nebbia viene meno la possibilità di riconoscere l’altro nelle sue necessità tangibili e l’uomo sfuma nell’indistinto e nel generico essere. Se oggi (in una società pervasa da parole che rimangono vuote e da progetti che non si concretizzano) la vita consacrata vuole porsi – come dovrebbe – quale testimonianza dell’amore di Cristo occorre che rafforzi la relazione di carità con l’uomo, orientamento che riassume – in fondo – il messaggio del Vangelo e qualifica l’esistenza del cristiano e del religioso. Tale relazione di carità diventa una comunicazione inter-umana, perché rispettosa delle peculiarità e convinzioni dell’altro, che non si assimila a sé, ma si lascia nella sua libertà di scelta, però sgretolata dalla tangibilità dell’amore generoso e disinteressato.
In tal modo la vita consacrata si dirige al largo, nel suo tempo, con le due dimensioni inscindibili della trascendenza e dell’incarnazione, che la riconduce al primato di Dio, ma cercato e vissuto nella storia. Nessuna evasione dalla storia, che è unica: quella di un’umanità in cammino verso il regno di Dio, cammino nel quale sono compresenti il nucleo soprannaturale e il nucleo temporale. Il cristiano – come ricorda sempre, e oggi più che mai, la Chiesa – è l’uomo della doppia cittadinanza: totalmente uomo nel regno degli uomini e pienamente immerso nella realizzazione del regno di Dio. Il religioso stesso è chiamato a vivere nella “doppia dimensione” e ad orientare le persone a percepire il significato integrale e totale dell’esistenza.
Ennio Bianchi
1 Si possono riconoscere sullo sfondo del discorso la voce di filosofi come Jurgen Habermas, K. Otto Apel, Bergson, Marx, scuola di Francoforte, Mounier, Maritain, Levinas.