L’EUCARISTIA E LE SUE DIMENSIONI

DUE ASPETTI DA RISCOPRIRE

 

Il sacramento comunitario per eccellenza nel corso dei secoli è stato privatizzato. È importante riflettere sul segno del sacramento, che non è propriamente il pane e il vino, ma il convito dove i fratelli siedono insieme intorno all’unico Padre e mangiano l’unico pane.

 

Ci fa da guida in questa riscoperta Giovanni Paolo II, che nell’ultima fase della sua vita, ha fatto dono alla sua Chiesa di un’enciclica e di una esortazione apostolica che possono di non poco arricchire la nostra riflessione sul mistero dell’Eucaristia, nel mezzo dell’anno a essa dedicato e nell’imminenza del congresso nazionale che si terrà nei prossimi giorni a Bari.

 

“ECCLESIA

DE EUCHARISTIA”

 

L’enciclica è l’Ecclesia de Eucharistia, significativa già nel titolo; l’esortazione apostolica è la Mane nobiscum Domine, composta proprio in occasione dell’anno eucaristico ancora in corso (ottobre 2004-ottobre 2005). La prima raccomandazione da fare è una calda esortazione a un’attenta lettura come invito alla preghiera e alla meditazione personale e comunitaria. I documenti pontifici sono diretti “all’episcopato, al clero e ai fedeli”, ma forse nessuna delle tre categorie è in pari con le sue responsabilità: dall’alto al basso si nota una decrescita preoccupante, che va fino alla più completa ignoranza e al più disinvolto disinteresse.

Per un complesso di motivi che sarebbe troppo lungo analizzare, anche il sacramento comunitario per eccellenza è stato privatizzato nel corso dei secoli, secondo uno spirito che si è da tempo impadronito della spiritualità (e anche della riflessione teologica) della Chiesa. Comunione significa normalmente rapporto fra l’anima e Dio, fra la persona e Gesù Cristo. Che ci sia anche una comunione orizzontale non è per niente un concetto familiare nella comune dei nostri fedeli. Così la celebrazione eucaristica anche quotidiana può tranquillamente convivere con rapporti freddi, conflittuali, di vera e propria inimicizia fra coloro che si sono nutriti dello stesso pane alla stessa mensa.

È necessario de-privatizzare quanto è stato incautamente privatizzato. Prima dell’aspetto personale, c’è un aspetto ecclesiale da tener presente e da valorizzare. I più antichi nomi dell’Eucaristia sono dominica caena, fractio panis, convito eucaristico. Tutti termini che mettono in luce ed esaltano la dimensione comunitaria del sacramento. Paolo in questo senso è stato di una chiarezza assoluta quando nella prima lettera ai Corinti afferma: «Poiché c’è un solo  pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1 Cor 10, 17). È importante per questo, nella vita e nella catechesi, riflettere bene sul segno del sacramento, che non è propriamente il pane e il vino (che pure conterrebbero in se stessi molti motivi di richiamo alla comunità), ma il convito, il banchetto, la cena, dove i fratelli siedono insieme uniti intorno all’unico padre e mangiano l’unico pane.

I padri della Chiesa riecheggiavano l’insegnamento dell’apostolo Paolo quando ripetevano coralmente: «Se è vero che la Chiesa fa l’Eucaristia (la fa ogni volta che sulla faccia della terra viene celebrata una messa), è più vero ancora che l’Eucaristia fa la Chiesa». La fa come comunità, come comunità cristiana ed evangelica, come comunità alternativa dove, a differenza degli altri raggruppamenti umani, si vive in una vera e propria fraternità. Appunto: Ecclesia de Eucharistia, dove quel de indica complemento di derivazione e di provenienza. La Chiesa, che nasce dalla proclamazione e dall’ascolto della parola di Dio trova la sua completezza definitiva nella celebrazione eucaristica. In quel momento la Chiesa è veramente se stessa, l’assemblea di Dio, la comunità dei tempi escatologici.

Mai dunque la comunione con Dio va separata dalla comunione con i fratelli. Per non pochi teologi si deve anzi dire che la prima passa attraverso la seconda, come avviene più chiaramente per altri sacramenti, come, per esempio, la riconciliazione, dove la pax cum Ecclesia diventa il segno sacramentale (segno e strumento) della pace con Dio. I sette segni sacramentali, compresa l’Eucaristia, non sono che la punta di un iceberg della sacramentalità della Chiesa, di per sé sacramento universale di salvezza e di unità dell’intero genere umano. Cristo direttamente e Dio indirettamente si raggiungono sempre tramite la necessaria intermediazione della Chiesa.

 

L’EUCARISTIA

PROGETTO DI SOLIDARIETÀ

 

Se vissuta in pienezza, l’Eucaristia diventa il segno e lo strumento della comunione che è una delle caratteristiche fondamentali della Chiesa del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Comunione strutturata, ma anche comunione di fraternità, di partecipazione e di corresponsabilità. Un impegno che si rinnova ogni giorno. Frutto della grazia di Dio e del dono dello Spirito Santo, la Chiesa si edifica nel sacramento dell’Eucaristia. Senza Eucaristia non c’è Chiesa; senza una vera partecipazione all’Eucaristia non c’è Chiesa nella sua pienezza. Non si può uscire di chiesa come quando siamo entrati.

«L’Eucaristia non è solo espressione di comunione nella vita della Chiesa; essa è anche progetto di solidarietà per l’intera umanità. La Chiesa rinnova continuamente nella celebrazione eucaristica la sua coscienza di essere “segno e strumento” non solo dell’intima unione con Dio, ma anche dell’unità di tutto il genere umano. Ogni messa, anche quando è celebrata nel nascondimento e in una regione sperduta della terra, porta sempre il segno dell’universalità. Il cristiano che partecipa all’Eucaristia apprende da essa a farsi promotore di comunione, di pace, di solidarietà» (Mane nobiscum 27). Così gli orizzonti si allargano. L’Eucaristia chiama in causa l’intera comunità dei credenti e chiama in causa il mondo intero con le sue attese e le sue speranze. Ogni messa è una “messa sul mondo”, come quella celebrata nelle steppe della Mongolia da Teilhard de Chardin.

Un aspetto sociale che Giovanni Paolo II non si stancava mai di mettere in luce anche quando trattava degli argomenti più spirituali della religione cristiana. Lo sguardo teso ai cieli nuovi e alla terra nuova è uno stimolo che sempre si rinnova di responsabilità verso la terra presente. Anche l’Ecclesia de Eucharistia insiste con forza su questo aspetto. L’Eucaristia è un invito a «trasformare il mondo secondo il Vangelo» (n. 19). Noi siamo chiamati ad anticipare e a preparare le mura della Gerusalemme celeste.

Una particolare attenzione in questo contesto va riservata al mondo delle povertà vicine e lontane, antiche e recenti, quelle tradizionali e quelle che produce a ripetizione l’attuale società dei consumi. La dimensione comunitaria trova così il suo ultimo compimento nella dimensione universale, nella globalizzazione della solidarietà. Sulla piccola mensa delle chiese anche più nascoste e più umili si danno convegno tutti i problemi della terra e «il cristiano che partecipa all’Eucaristia apprende da essa a farsi promotore di comunione, di pace, di solidarietà in tutte le circostanze della vita» (ivi 27).

La vittoria completa sull’intimismo e l’individualismo che da sempre insidiano la comunità cristiana e rimpiccioliscono la grandezza dei gesti che il Signore ha chiesto alla sua Chiesa di ripetere fino alla fine dei tempi. Come riconquistare in pienezza questi valori che la tradizione ci ha tramandato e che un grande Papa ha ricordato costantemente ai cristiani del nostro tempo? Aria alle nostre chiese, finestre e porte aperte sul mondo, sull’uomo, sulla società. Un passo decisivo da compiere, che chiama in causa l’intera comunità con una particolare attenzione nei riguardi dei religiosi e delle religiose, che rimangono la componente esemplare della comunità. Si tratta di dimensioni da riscoprire con urgenza, magari ritornando a quell’opera fondamentale di H. de Lubac, Cattolicesimo. Gli aspetti sociali del dogma, con l’augurio che esso susciti nel popolo cristiano la stessa meraviglia e lo stesso scandalo che suscitò quando uscì negli anni precedenti il concilio Vaticano II.

Quando il cristiano rientra nella vita dopo la celebrazione eucaristica, egli porta con sé un’immensa responsabilità. Le parole finali che il presidente pronuncia al termine della celebrazione non sono semplicemente un congedo, ma un invito e un invio nella Chiesa e nel mondo. La missione di creare quel mondo nuovo che rimane l’orizzonte quotidiano di ogni esistenza cristiana.

 

LA DIMENSIONE

ESCATOLOGICA

 

È la dimensione meno conosciuta, che però sta alla base di quella ricordata in precedenza. L’esistenza del cristiano è quella dell’homo viator, del viandante e del pellegrino. E tutto va misurato in questa lunghezza d’onda: la cronaca e la storia, la vita e la morte, il tempo e l’eternità. Nell’Eucaristia noi annunciamo la risurrezione del Signore nell’attesa della sua venuta: essa è anamnesi del passato e insieme del futuro.

Il richiamo di Giovanni Paolo II a questa dimensione dell’Eucaristia è chiaro e significativo e riassume nella sua brevità un pensiero dominante della teologia attuale, di cui si trova una bellissima trattazione nel libro di I. Zizioulas Eucaristia e regno di Dio (Qiqajon, Bose 1996). Si legge in Mane nobiscum Domine al n. 15: «Mentre attualizza il passato, l’Eucaristia ci proietta verso il futuro dell’ultima venuta di Cristo, al termine della storia. Questa aspetto “escatologico” dà al sacramento eucaristico un dinamismo coinvolgente, che infonde al cammino cristiano il passo della speranza».

La speranza è la virtù del nostro tempo. Anche il primo decennio del terzo millennio è stato dedicato dalla Conferenza episcopale italiana alla meditazione e alla riscoperta della speranza. La coscienza escatologica è venuta meno in quest’ultima fase della nostra storia. È tempo di rievangelizzazione della speranza, una delle virtù tipiche del cristiano, un segno caratteristico del passaggio della comunità cristiana. La convinzione che l’Eucaristia possegga in se stessa questa ricchezza non può che aiutarci a compiere il cammino che ci si para dinanzi. Già si notano in certi atteggiamenti del nostro tempo sintomi ancora indistinti ma inconfondibili di un ritorno alla speranza, dopo l’euforia degli anni 1960 e le dimenticanze dei decenni successivi.

Specialmente la teologia occidentale, ma, di riflesso, anche quella orientale hanno troppo insistito sulla relazione Eucaristia-morte di Gesù, a discapito dei richiami escatologici che il sacramento centrale della fede cristiana porta visibilmente con sé. Basterebbe ripercorrere le pagine della Bibbia, con una particolare attenzione ai pasti consumati “in letizia” dal Risorto coi i suoi discepoli (cf. Lc 24; Gv 21); basterebbe ripensare al riferimento alla seconda venuta di Cristo, di cui si parla nella prima lettera ai Corinti (“finché egli venga”); basterebbe riflettere sul significato del pane epiousion per cui si prega nel Padre nostro. Il pane di cui si domanda il dono è esattamente il pane futuro, il cibo del banchetto del Regno. Un’interpretazione dovuta a san Girolamo, di cui riferisce J. Jeremias nelle sue opere. La domanda di Gesù andrebbe così letta: «Dacci oggi il nostro pane di domani, cioè il nostro pane futuro». Il pane dell’eternità, l’anticipo e la caparra del pane celeste.

Giovanni Paolo II aggiunge: «Colui che si nutre di Cristo nell’Eucaristia non deve attendere l’aldilà per ricevere la vita eterna: la possiede già sulla terra, come primizia della pienezza futura, che riguarderà l’uomo nella sua totalità. Nell’Eucaristia riceviamo infatti anche la garanzia della risurrezione corporea alla fine del mondo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 54). Questa garanzia della futura risurrezione proviene dal fatto che la carne del Figlio dell’uomo, data in cibo, è il suo corpo nello stato glorioso di risorto. Con l’Eucaristia si assimila, per così dire, il ‘segreto’ della risurrezione. Perciò giustamente Ignazio d’Antiochia definiva il Pane eucaristico “farmaco di immortalità, antidoto contro la morte”». (Nel testo giovanneo prima riportato non deve sfuggire il presente anziché il futuro: ha la vita eterna. L’ha fin da oggi e nessuno, dal momento che è eterna, la potrà mai togliere. L ‘Eucaristia è un anticipo di paradiso).

Essa è il segno degli ultimi giorni, che ci hanno già raggiunto con la risurrezione di Cristo e il dono dello Spirito Santo. I tempi escatologici sono già iniziati e veleggiano attraverso i millenni verso il loro ultimo compimento. Ogni giorno che la celebriamo, l’Eucaristia ravviva in noi questa memoria e ci inserisce sempre più saldamente in questo flusso di grazia e di eternità.

Per questo il giorno più propizio per la sua celebrazione è il dies Domini, la domenica, cioè il giorno del Signore. Che è insieme il primo e l’ottavo giorno, «poiché significa in sé quel giorno realmente “unico” e veramente “ottavo” di cui fa menzione anche il salmista in alcuni titoli dei salmi, alludendo alla reintegrazione del creato che seguirà a questo tempo, il giorno eterno senza sera e senza domani, il secolo senza fine che non invecchierà» (San Basilio).

Una dimensione dell’Eucaristia da recuperare in pienezza, quella escatologica. L’opera di Zizioulas, prima citata, termina con queste parole: «Con la sua prospettiva escatologica l’Eucaristia ci guarisce dall’amore di noi stessi, la philautia, fonte di ogni passione, manda in frantumi la vera e propria spina dorsale dell’individualismo e ci insegna a esistere radunati assieme agli altri e a tutti gli esseri della creazione di Dio. Perciò l’Eucaristia cessa di essere un’’esperienza religiosa’ o un mezzo per la salvezza individuale, e diventa un modo di essere, un modo di vivere, illuminato dalla visione e dalla tensione verso il futuro, da ciò che il mondo sarà quando verrà finalmente trasfigurato in Regno di Dio».

Per essere meglio compreso, il dono di Dio ha assoluto bisogno della nostra riflessione, della nostra contemplazione, della nostra preghiera. Con l’urgenza che i tempi richiedono.

 

Giordano Frosini