ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE

NON BASTA LA BUONA VOLONTÀ

 

L’accompagnatore spirituale, oggi più che mai, ha bisogno di una formazione continua. Dovrà padroneggiare gli elementi basilari della psicologia e delle scienze umane, poiché la grazia suppone la natura. E dovrà conoscere l’ambiente socio-culturale in cui si trova ad agire.

 

Per diventare buoni accompagnatori spirituali e saper guidare gli altri sulle vie dello Spirito non basta avere la buona volontà. È necessario un serio cammino di formazione permanente per riuscire a conoscere in profondità prima di tutto se stessi, occorre avere una certa padronanza degli elementi di base della psicologia, inoltre essere bene informati e inseriti nella realtà socioculturale e avere approfondito le tematiche della teologia spirituale. In altre parole, anche l’accompagnatore deve continuare a crescere.

Sono queste le convinzioni che Eddie Mercieca espone nell’ultimo numero della Revue de Spiritualité Ignatienne (108) interamente dedicato al tema dell’accompagnamento nella tradizione ignaziana. La chiamata a questo ministero ecclesiale e la formazione permanente necessaria a questo servizio, scrive, non possono essere separate. Come in tutte le professioni e le pastorali di “relazione d’aiuto” (medico, assistente sociale, insegnante, catechista, animatore di comunità ecc.) è difficile concepire un servizio di qualità, che sia in grado di rispondere ai bisogni di colui che chiede un aiuto, senza formazione permanente. Bisogna formarsi e continuare a formarsi. Senza questo impegno, non si ha il diritto di continuare ad accompagnare spiritualmente le persone che cercano di identificarsi con Cristo e di seguirlo più da vicino.

Essenziale è anzitutto avere avuto, e continuare ad avere, un accompagnamento spirituale di qualità. In effetti, l’esperienza vissuta resterà sempre un quadro di riferimento vitale e valido. Il fatto di essere stati aiutati oppure no in questa relazione (atteggiamenti, giudizi, consigli, comportamenti, ecc.) fa parte della sapienza interiore accumulata. Le persone che mi hanno bene accompagnato nella mia crescita integrale e coloro che avrebbero dovuto accompagnarmi e non l’hanno fatto – e anche coloro che mi hanno fatto dei torti – restano incise nel mio libro di bordo personale. Esse sono presenti nelle mie emozioni primarie come la paura, il dolore, la collera, la vergogna, la gioia; sono presenti nei miei atteggiamenti, nei miei valori, condizionano la qualità del mio modo di mettermi in relazione con gli altri, influenzano la mia attitudine ad aiutare gli altri.

In una parola, sottolinea Mercieca, la scuola migliore e quella più profonda e durevole per una accompagnatore spirituale è la sua esperienza di essere accompagnato/a da persone di Dio sperimentate. Prima di ogni tecnica o aiuto, vale questa presa di coscienza della propria esperienza: scoprire, imparare a esprimerla a se stessi e all’altro, discernerla nel Signore.

 

UN CARISMA

NON UNA FUNZIONE

 

Accompagnare gli altri non è una funzione che semplicemente s’impara. La buona volontà e la semplice motivazione da sole non bastano. Ci vuole una certa maturità umana e spirituale per poter rendere possibile la crescita dell’altro, in tutte le sue dimensioni, nel Signore. Colui che accompagna deve essere una persona di buona “pasta umana”, vale a dire, deve essere capace di ascoltare, di capire intuitivamente, di identificarsi profondamente e di contenere le emozioni e le mozioni spirituali della persona aiutata; vuol dire possedere discrezione, senso comune, senso del concreto e della vita quotidiana, avere un carattere ottimista e pieno di speranza nello Spirito di Dio, che è all’opera nel mondo e nelle persone.

Si tratta di un carisma, ossia di un dono, un regalo che il cristiano possiede per il bene di tutti i membri della comunità. È un po’ come una carezza di Dio che si manifesta nell’attitudine a un determinato servizio. A percepire questo carisma sono gli altri, sono le persone che vengono a chiedere un aiuto, un sostegno, un orientamento. Sono esse che ci fanno scoprire in noi stessi questo dono.

 

CONOSCENZA DI SÉ

IN PROFONDITÀ

 

La conoscenza di sé è essenziale per colui che accompagna spiritualmente, come del resto in tutti i generi di relazione di aiuto. Anzi è indispensabile. Non si insisterà mai abbastanza, osserva Eddie Mercieca, sull’importanza di conoscere se stessi – il meglio possibile – la propria personalità, le proprie motivazioni profonde, i propri punti forti e deboli e le proprie potenzialità.

Questa conoscenza è necessaria non solo a livello della struttura della personalità, ma anche dal punto di vista della storia della salvezza e del modo di vivere una relazione personale con il Signore. Tutti i mistici insistono su questo punto, e a ragione, a partire da san Giovanni della Croce e santa Teresa d’Ávila fino a sant’Ignazio di Loyola. Anche i Padri del deserto, maestri dei primi secoli, erano molto attenti ai modelli di comportamento o alle tendenze tipiche (tentazioni) di ciascuna persona. Ognuno deve imparare a prenderne coscienza e a decifrarli, così da smascherare e sradicare ciò che ostacola la vita nello Spirito.

Nella vita spirituale, la conoscenza di sé ci aiuta a non ingannarci su noi stessi, a lasciarci trasformare da Dio, e non dai nostri sforzi, a purificare l’immagine e la relazione con Dio, a meglio discernere in tutte le circostanze ciò che si riferisce o non si riferisce a Dio.

Tutto ciò, osserva ancora Eddie Mercieca, è ancor più necessario nell’accompagnamento spirituale dove c’è un terzo che entra in gioco e dove «la relazione personale deve essere la più limpida possibile, per potersi concentrare sull’altra persona e su ciò che il Signore vuole da lei, e non su se stessi o su vantaggi estranei alla relazione. Fenomeni come la dipendenza, la competitività, il transfert, il tentativo inconsapevole di colmare i propri bisogni fondamentali insoddisfatti, ecc. devono essere vissuti nella maniera più consapevole possibile. Perciò, una conoscenza ingenua o quello che si chiama il senso comune non bastano, nemmeno in una persona bene equilibrata. È necessario anche l’aiuto degli altri e ci vogliono dei metodi adeguati per approfondire questa conoscenza, per svelare i propri lati oscuri, scoprire i propri errori più caratteristici, e rafforzare i propri punti forti. Niente di ciò che avviene in una relazione di aiuto tra due persone è estraneo all’accompagnamento spirituale. «Proprio perché deve trattarsi di un accompagnamento spirituale – nello Spirito del Signore – e non di altra cosa, nell’accompagnatore si richiede una buona conoscenza di sé come ascesi, frutto del rispetto della persona aiutata e del desiderio di aiutare il meglio possibile, senza interferenze che facciano ostacolo all’azione di Dio».

 

SCIENZE UMANE

E PSICOLOGIA

 

Al buon accompagnatore spirituale tuttavia è necessaria anche una certa conoscenza delle scienze umane e in particolare della psicologia. Queste scienze, infatti, sottolinea Mercieca, hanno molto di offrire a colui che accompagna spiritualmente. Un accompagnatore spirituale serio, che voglia essere delicato e prendere sul serio la persona che gli chiede un aiuto, non può non sforzarsi di possedere gli elementi di base della psicologia, oggi molto avanzata e alla portata di tutti.

Inoltre,una conoscenza approfondita della psicologia evolutiva della persona è uno strumento necessario per avere una migliore comprensione di colui che chiede un aiuto. La grazia infatti suppone la natura. È diverso accompagnare un giovane di 18 anni e un giovane adulto di 35 anni o una persona matura di 50. Ciò che risalta dal senso comune deve essere chiarito dagli studi della psicologia di cui disponiamo e che sono uno strumento non solo utile, ma indispensabile.

Altrettanto importante è lo studio della psicologia della personalità. Occorre chiedersi: come mi percepisco? In che modo entro in relazione con gli altri? con il Signore? quali sono le tendenze che predominano nel mio comportamento? come prendo le mie decisioni? come sopporto le frustrazioni? come amo e mi lascio amare?

Vivere nello Spirito, vuol dire vivere tutta la propria vita e tutte le sue dimensioni nel Signore. Il tipo di personalità non è indipendente dalla qualità e dal modo di mettersi in relazione con gli altri e con il Signore. La psicologia della personalità, lungi dal limitare, favorisce la crescita, l’apertura, a partire da ciò che la persona è, dal modo con cui concretizza le ispirazioni dello Spirito nella vita, evita ciò che potrebbe minacciare o affievolire gli appelli dello Spirito.

A tutto questo potremmo aggiungere l’esigenza di una formazione complementare che comprenda tutto quello che conosciamo oggi grazie alla psicologia della comunicazione e alla psicologia religiosa.

La direzione spirituale, tuttavia, non si riduce al counseling, e meno ancora alla terapia psicologica. Senza dubbio queste teorie e pratiche psicologiche costituiscono un grande aiuto. Ma è indispensabile distinguere i piani e le professioni per meglio rendere giustizia a ogni relazione di aiuto e per vivere pienamente il carattere specifico dell’accompagnamento spirituale. Questo non può certamente fare astrazione da ciò che la scienza psicologica ci apporta attualmente. «Saper integrare gli elementi teorici, le attitudini e gli strumenti psicologici senza psicologismo, e nello stesso tempo accompagnare nel Signore senza spiritualismo, è un’arte e un dono di Dio».

 

MA OCCORRONO

ALTRE CONOSCENZE

 

Ma occorre fare un ulteriore passo avanti. Bisogna cioè che l’accompagnatore conosca la realtà socio-culturale d’oggi e approfondisca le tematiche della teologia spirituale.

In effetti, né la persona che chiede aiuto né colui che l’accompagna spiritualmente vivono in un mondo chiuso e a-storico. Per comprendere bene il contesto sociale della persona aiutata, è necessario essere informati sulla realtà che la circonda e del suo ambiente socio-culturale. «Un accompagnamento spirituale tagliato fuori dalla realtà è pericoloso perché non prende sul serio la vita concreta di colui che domanda aiuto, l’incarnazione del Signore».

La fede, la crescita spirituale, l’impegno apostolico si inscrivono in un contesto storico e in una cultura concreta. Essere al corrente del mondo nuovo in gestazione, con i suoi valori e controvalori, e poter avere la padronanza di un certo tipo di analisi sociale, è un imperativo per colui che vuole formarsi come accompagnatore spirituale delle persone, delle coppie o delle famiglie.

Inoltre, la crescita e l’identificazione a Cristo, che costituiscono lo sco-po dell’accompagnamento spirituale, aprono il credente a una fede più cosciente e più impegnata, secondo le opzioni di Cristo: i piccoli, i poveri, i peccatori. Di conseguenza la dimensione storica, con l’impegno che essa implica, non dovrebbe mancare nell’accompagnamento spirituale.

L’accompagnatore, infine, deve approfondire le tematiche della teologia spirituale. La teologia spirituale è una miniera di sapienza per colui che accompagna spiritualmente. Essa si nutre dei vari rami della riflessione teologica: teologia biblica, teologia dei sacramenti, teologia morale, cristologia, ecclesiologia, ecc. Colui che accompagna deve avere delle idee chiare sulla spiritualità cristiana e cattolica: su ciò che è proprio della vita cristiana, sulla grazia e le sue manifestazioni, sulla sequela di Cristo quale cardine di tutta la vita spirituale e di ogni impegno.

Un ramo importante della teologia spirituale è quello che tratta della preghiera cristiana: ciò che essa è e ciò che non è, le sue condizioni, i diversi modi di pregare, la parola di Dio pregata, ecc.

Un altro campo è quello dei sacramenti, canali di comunicazione con il Signore e della grazia, e in particolare l’Eucaristia, culmine e fonte della vita cristiana: tutte realtà con cui la persona accompagnata è chiamata a familiarizzarsi. Un grande aiuto, per l’accompagnatore, inoltre, è anche saper distinguere e mettere in relazione tra loro l’accompagnamento spirituale e il sacramento della riconciliazione.

Nella formazione di colui che accompagna non dovrebbe poi mancare un approccio serio all’itinerario spirituale del credente. Infatti se ogni persona è unica nel suo percorso di vita, vi sono tuttavia degli itinerari spirituali che si ripetono e che costituiscono come un paradigma pedagogico. La familiarità con le indicazioni e le regole del discernimento degli spiriti degli esercizi spirituali di sant’Ignazio può molto aiutare a progredire nella capacità di cogliere le diverse mozioni dello Spirito, aiutando così a discernere. La finezza di spirito, che è un dono, si arricchisce e si sviluppa. Lungi dal limitare, questo settore della teologia darà a colui che accompagna la sicurezza e delle piste.

Nella stessa prospettiva, l’approfondimento di certe spiritualità che hanno segnato la vita della Chiesa e che si incarnano nella vita dei santi allargano la visuale e lasciano maggior spazio agli appelli del Signore nelle persone concrete.

Infine, non bisogna dimenticare l’esperienza mistica e i criteri di una spiritualità adulta, matura e sana.

Se è vero, conclude Eddie Mercieca, che nel ministero di accompagnare spiritualmente niente può sostituire l’esperienza personale, è anche vero che una relazione di aiuto che non fosse illuminata dalla teologia spirituale rischia di essere dannosa. Non per niente i grandi mistici, come Teresa d’Ávila si circondavano di uomini di Dio che erano anche persone sapienti e istruite.

Tutto questo sta a dire quanto sia decisiva nell’accompagnatore spirituale una seria formazione permanente.