CONSACRARSI A VERITÀ IN AMICIZIA

 

 “Io mi percepisco come qualcuno che sta imparando, lentamente, a divenire un uomo della verità”. In questo modo si auto-definisce il sessantenne anglosassone p. Timothy Radcliffe, ex maestro generale dell’ordine domenicano (1992-2001), nella lunga intervista che occupa quasi la metà di un volume1 in cui sono riportati, non in sequenza cronologica, sei “tra i più significativi testi del suo magistero non solo per l’ordine e per la vita religiosa, ma anche e soprattutto per la chiesa nel suo insieme” (dalla prefazione di Enzo Bianchi).

Personalità carismatica, p. Timothy si fa religioso in un periodo postconciliare in cui la vita consacrata ha conosciuto molti abbandoni: dichiara però di non aver mai dubitato della sua vocazione, perché l’ha molto aiutato il fatto di essersi innamorato dello studio della parola di Dio: “Bisogna essere appassionati. Nessuno può essere vivo senza passione. Unitamente alla scoperta dell’amicizia tra domenicani, credo sia questo che mi ha permesso di sopravvivere. Sapevo che non avrei potuto essere più felice se avessi fatto qualsiasi altra cosa”.

Alla luce del suo curriculum e dei maestri citati – il tutor Cornelius Ernst che gli ha dato la passione dello studio sulle sacre Scritture e col quale ha fondamentalmente scoperto che tradizione e creatività non sono in contrapposizione; Yves Congar e Marie-Dominique Chenu nel suo anno di permanenza a Parigi – ci pare significativa, per leggere la sua personalità, la risposta alla domanda su quale sia il contributo specifico dei domenicani nella vita della Chiesa: “Credo si tratti di un miscuglio particolare di ingredienti. Come per un buon ragù. La fraternità, la democrazia, lo studio, la predicazione: tutti questi elementi creano un “sapore” particolare che riassumerei con la parola amicizia. L’amicizia è al cuore della vita divina: quell’amicizia del Padre, del Figlio e dello Spirito che era al centro della teologia dei primi domenicani. Tutta la nostra vita fraterna è segnata dall’amicizia. La nostra forma di governo democratico non è soltanto un modo per prendere le decisioni, è una struttura amministrativa che esprime una forma di amicizia, il nostro rispetto per la voce di ogni singolo fratello. Lo studio per noi è un modo per crescere nell’amicizia con Dio… Tommaso d’Aquino diceva dell’amicizia che è “la forma di amore più perfetta”, perché non è possessiva, esalta l’eguaglianza delle persone”.

 

MISSIONE

IN UN MONDO IN FUGA

 

Questa logica permea la sua esperienza di Dio e si prolunga anche nella definizione che ci offre di missione (p.74): “costruire una casa comune per l’umanità nella quale Dio possa vivere”. Il missionario quindi è descritto non come uno che va verso gli abitanti delle tenebre, ma come colui che propone collaborazione per costruire qualcosa al servizio dell’umanità.

Occorrono, secondo Radcliffe , “missionari a Disneyland” capaci di offrire non la conoscenza ma la sapienza del Regno, portata sostanzialmente in tre modi: mediante la presenza sulle linee di frattura della storia (espressione mutuata dal vescovo domenicano assassinato nel 1996, l’algerino Pierre Claverie), mediante l’epifania della bellezza del volto di Cristo povero e impotente, mediante la proclamazione della verità con fiducia e in umiltà. “Il nostro mondo decentrato, liquido, mobile, imita in maniera ambigua l’economia della Trinità, il cui centro è in ogni luogo e la cui circonferenza non è in alcun luogo. È una rete, la quale sostiene scambi che si muovono in tutte le direzioni, talvolta apportando vita, prosperità e liberazione, ma portando anche impoverimento e insicurezza” (p. 161).

Con questa capacità di lettura socio-teologica p. Timothy elabora una spiritualità dai margini (delineando comunità religiose che, sul modello eucaristico, si costruiscono a partire da una “intelligenza della vittima”, con la trasformazione del linguaggio e il perseguimento di una politica del bene comune) e una leadership cristiana al servizio del perdono, il quale disfa sistematicamente le strutture dell’asservimento e della dominazione e che si adopera per rimuovere veli od ostacoli all’azione permanente della grazia.

In particolare vanno evidenziate (pp. 101 e ss.) le sfide che egli intravede a livello di Chiesa universale (tra queste ci sono le nuove modalità per annunciare l’evangelo a quelli che sembrano aver dimenticato Dio – sotto c’è il problema dell’immagine della Chiesa – la nuova attenzione ai dimenticati e ai precari della vita, il dialogo interreligioso) e le necessarie riforme (sottolineate quelle attinenti al governo della Chiesa, che in molti paesi ha perso autorità e credito, a una più convinta collegialità episcopale e alla creazione di luoghi di vero dibattito nel ritmo ecclesiale ordinario).

 

VITA CONSACRATA,

VIENI FUORI!

 

Una particolare sapienza ci sembra attraversi i numerosi spunti per la vita religiosa del nostro autore. In particolare alle pp. 213 e seguenti si può leggere il discorso tenuto alla Conferenza svizzera dei religiosi (Friburgo 2003), tutto incentrato sul grido di Cristo davanti al sepolcro dell’amico morto: “ Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11,43). Dio è presente nel momento della debolezza e della morte: “Gesù muore a motivo della sua amicizia con noi, e se noi siamo suoi amici, allora possiamo anche noi condividere la sua morte. Alcune delle vostre congregazioni s’indeboliranno e magari moriranno. Possiamo vivere questa morte non semplicemente come una interruzione, ma da amici che sono invitati a condividere la morte stessa di Gesù… La tentazione è di cercare a tutti i costi di sopravvivere, perché non osiamo affrontare la morte. Ma che segno di fede nel Signore della resurrezione è mai questo? Nessuno dovrebbe entrare in una congregazione solo perché essa possa sopravvivere, dato che teme la morte. La questione cruciale non è la sopravvivenza, ma la missione per cui siamo stati fondati. Tale missione è compiuta? Allora forse abbiamo raggiunto ciò che il Signore desidera e possiamo morire. Se la missione non è ancora finita, allora chiediamoci: Dio ha ancora bisogno di noi per realizzarla, o adesso possono farlo i laici?”.

Praticare questa ars moriendi significa abbandonare progetti, passare il governo nelle mani dei giovani (che potranno dare l’impressione di disfare quanto fatto precedentemente), elaborare in modo comunitario la rabbia dolorosa del lutto per opere per cui si è spesa la vita. Insomma, la chiamata di Lazzaro a venire fuori dalle tenebre alla luce può essere letta segno della vocazione religiosa: si tratta proprio di assumere la vocazione a essere segni di vita, rinnovando immaginazione e creatività. Se vogliamo essere segni del Regno, dobbiamo comprendere fino in fondo le implicazioni dell’essere visibili in questo villaggio globale, fatto di logo e marche, con le specifiche etichette della gioia e della comunità. “Lazzaro, il fratello, esce dalla tomba nella luce. È restituito alle sue sorelle. Forse il voto di obbedienza ci forma soprattutto come persone le cui vite indicano un nuovo modo di appartenersi quali fratelli e sorelle… I nostri voti ci spogliano di tutte le altre identità minori, basate sul benessere o lo status, la carriera o anche il matrimonio…. Le nostre vite possono parlare con potenza del Regno, anche se ci sentiamo vecchi, deboli e pochi”.

 

M.C.

 

1 RADCLIFFE T., Testimoni del Vangelo, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 2004, pp. 262, € 15,00.