CON MARIA
AL MODO DEGLI APOSTOLI
Dal “traguardo”
della Pentecoste, il cammino della Chiesa è una sequela di Cristo nello
Spirito, ritmata dallo stile apostolico di camminare nel mondo.
L’andare dimorando della Visitazione di Maria, che si é poi
precisato come un andare dimorando nel cuore del Crocifisso, in risposta alla
sua sete, è, alla luce della Pentecoste, l’andare apostolico, cioè l’andare
degli apostoli.
Anche l’andare dell’azione secolare, in quanto è un’azione
cristiana è, deve essere, un andare apostolico. In un duplice senso: nel senso
del modo di vivere la sequela di Cristo, assumendo lo stile di vita degli
apostoli; e nel senso della missione: che è quella apostolica, fondamento e
norma della missione ecclesiale.
Lo stile di vita degli apostoli è, in qualche modo, un fatto
permanente nella vita della Chiesa; è il modo di vivere, in forma permanente,
la sequela di Cristo, secondo il radicalismo evangelico proprio di chi lascia
il padre e la madre per il Regno, di chi sceglie la verginità e la povertà per
il Regno.
Le diverse forme di espressione dell’andare cristiano
secondo il radicalismo evangelico infatti – dai monaci ai Mendicanti del
medioevo alle moderne forme di vita evangelica – si rifanno al momento
singolarissimo della sequela di Gesù da parte degli apostoli, che ha in sé una
normatività per la vita della Chiesa.
L’andare apostolico è l’andare ecclesiale: con il senso
della chiesa, come momento della missione della chiesa, radicandosi in essa.
Si va, dunque, non logorando il rapporto con la Chiesa, ma
trovando il modo di stare in essa radicati.
In questo senso la Pentecoste, che è la festa della chiesa,
qualifica l’andare come apostolico, sia nel senso della sequela, sia nel senso
della missione: qualifica, quindi, l’ecclesialità dell’andare.
L’andare apostolico ha il suo momento fondativo nella
Pentecoste: ma la Pentecoste rivela il dono della Pasqua che è lo Spirito di
Gesù Cristo.
“Dal fianco aperto di Cristo uscirono sangue e acqua”
(19,34). E l’acqua è il dono dello Spirito.
Sempre Giovanni, quando Gesù muore, dice che egli “diede lo
Spirito” (19,30). Questa espressione non significa soltanto spirò; significa
una cosa molto importante: diede il dono dello Spirito di Gesù Cristo.
Apparentemente, lo Spirito Santo è senza contorni.
Ma egli è lo Spirito di Gesù Cristo: dunque, non è
indeterminato, gli è riferito e ci riferisce a lui.
È la fedeltà a Cristo, è la memoria di lui.
Ci farà capire la nuova legge, porterà dentro di noi la
legge di Cristo.
Viene di qui un’importante conseguenza: che “spirituale” e
“cristiano” non sono due termini divergenti, in alternativa, ma si adeguano.
Se lo Spirito è lo Spirito di Gesù Cristo, non si può essere
cristiani se non nello Spirito Santo; e non si può essere spirituali se non in
quanto si prendono i contorni di Gesù Cristo.
L’uomo che lo Spirito intende fare è quello che trova la
propria verità, quindi anche la propria libertà, in Cristo. L’uomo che lo
Spirito fa è quello che è misurato da Gesù Cristo e su Gesù Cristo: la cui
verità non è da inventare comunque.
Quante volte Giovanni Paolo II, nella Redemptor hominis,
ritorna su questo concetto, sul tema del rapporto verità-libertà. Esse non sono
in antitesi: la verità non è il limite della libertà, perché libertà non è
assoluta incondizionatezza.
Lo Spirito intende fare non la libertà indeterminata, ma un
tipo di persona che trova la propria verità, e quindi anche la propria libertà
nel senso autentico: in Gesù Cristo.
Lo Spirito non fa tanti individui come tante monadi, isolate
una dall’altra. Fa una comunità, fa la Chiesa.
A Pentecoste ha origine la missione apostolica della Chiesa.
E anche la Pentecoste è, per così dire, traguardata – come
la Croce – attraverso la presenza di Maria, attraverso il senso della presenza
di Maria.
La regina dei martiri è la regina degli apostoli: regina nel
senso di quel primato, di quella singolarità che ella mantiene sempre, in forza
della singolarità stessa del suo rapporto con Cristo.
Giovanni Moioli
da Il mistero
di Maria, Glossa editrice 1990