UN UTILE ESAME DI COSCIENZA

PROVOCAZIONI DAL CONGRESSO

 

Dopo il congresso sulla vita consacrata occorre continuare a lasciarci interpellare accogliendone gli stimoli mentre ci inoltriamo nel terzo millennio.

Su questa linea si pongono le indicazioni predisposte per un ritiro dell’Usmi a La Spezia.

 

 “La vita consacrata non è cosa d’altri tempi. In molti paesi essa sta attraversando una fase d’invecchiamento; in altri ha un’età media bassa. In questi ultimi tempi sono sorte nuove forme di vita… Noi consacrati viviamo giorni di grazia e di prova (cf. IL 1). A partire dal documento Vita consecrata, il congresso ha dato la priorità all’aspetto esperienziale della vita consacrata nei diversi contesti socioculturali ed ecclesiali e non tanto a nuove definizioni bibliche o teologiche.

 

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– La samaritana ci pone dinanzi all’umanità del nostro tempo assetata di benessere in un mondo di consumi e di povertà, d’amore in mezzo al caos e disordine amoroso, di trascendenza in un contesto di disincanto politico ed esistenziale che si sente in molti aspetti ferita e mezzo morta, esclusa e povera, senza famiglia. Potrebbe aiutarci a capire i “mariti” o le idolatrie che ci hanno allontanato dal centro che è il Maestro: conformismo, neoliberismo, individualismo, psicologismo, secolarismo, spiritualismo, idolatria, “mille occupazioni” (relazione di Dolores Aleixandre rscj, Cercatori di pozzi e di vie).

 

– L’istituzione sacra, indicata dal sacerdote, e dal levita, che sicuri di servire Dio nel culto, convinti di fare il loro dovere non si lasciano interrogare dalle ferite dell’umanità; dallo scriba, che sicuro di conoscere la legge di Dio non ne comprende le esigenze profonde che conducono a vivere la fedeltà a Dio in maniera nuova; dal tempio o la vita chiusa nei riti e nei culti, ci fanno domandare se siamo lontane dai poveri e dai dolori dell’umanità e se viviamo sicure di essere nel giusto, di servire Dio.

 

– Il samaritano ci pone dinanzi all’umanità violentata e insicura, inferma e affamata a causa della violenza, delle guerre e del terrorismo, della concentrazione del potere, dell’egoismo accaparratore (i banditi).

 

IL MESSAGGIO

DELLE ICONE

 

Il messaggio delle icone samaritane alla VC: la donna samaritana rappresenta la sete di vere relazioni, cioè di vita. Ne ha provate tante ma non ha trovato quella che riempie il cuore. Quasi si era abituata a passare da una esperienza a un’ altra… in una ripetitività che uccide la freschezza della vita. Incontra Gesù e presa dal suo fascino lascia la brocca vuota e diviene comunicatrice di vita. Va a cercare acqua dal pozzo e al posto di essa Gesù le offre un’acqua molto migliore: “acqua corrente”. Accettandola, la samaritana stabilisce una relazione esclusiva con Gesù, il quale in tutta la vita è accompagnato da una “sete”: la passione di vederci motivati e pieni di vita, della sua vita. La domanda di Gesù: “Dammi da bere” richiama il grido di Gesù sulla croce: “Ho sete”.

Quale la sete abita noi religiose? Sete di mute relazioni; di spiritualità, della Parola… Mi ritrovo in queste situazioni o ne identifico anche altri tipi di sete?

 

– Il samaritano: “Si prese cura”; disse: “Abbi cura”. Questa figura trasmette la passione di Dio per noi, che si china sulle ferite per guarirle, ma anche la compassione che siamo chiamate a vivere in comunità e nella missione. Il samaritano personifica l’ospitalità e la gratuità di Dio.

Che significa per me prendermi cura e trovare altri che si prendono cura. Di chi devo prendermi cura?

 

– L’uomo mezzo morto: rappresenta l’umanità ferita dalla prepotenza, dal potere ideologico, dalla mancanza di senso di vita. Può rappresentare anche le nostre comunità i cui membri possono essere persone ferite, quindi mezze vive, che invocano un volto samaritano per tornare a vivere pienamente. Al congesso è stato detto che le nostre ferite sono le povertà che attirano su di noi l’attenzione compassionevole del Padre, quindi situazioni che possono trasformarsi in ricchezza di vita.

Mi ritrovo in questa analisi? A quale messaggio mi apre?

 

– La locanda: è il luogo dove il malcapitato viene curato. Immaginiamo nella locanda che ridona vita le nostre comunità, come suscitatrici di vita. La locanda è tale perché le persone che vi sono dentro compiono ognuna un servizio alla vita: c’è chi attizza il fuoco, c’è chi prepara il cibo, c’è chi prepara i sandali a colui che va per le strade a cercare i feriti. Quel che importa non è quello che fanno, ma che tutti contribuiscono a fare della locanda il luogo della vita.

Entra in questa locanda – comunità: quale il tuo contributo perché sia luogo di vita? Quale atteggiamento favorisce l’essere luogo di vita?

 

– Lo scriba: credeva di mettere Gesù nel tranello. Si lascia determinare dalla sola razionalità come se la vita fosse riconducibile a frasi esatte. Gesù non scende al suo livello. Gli risponde con un racconto che mette in crisi le sue certezze. Lo scriba ci rivolge questa domanda: “Come evitare che l’avventura che un giorno abbiamo intrapreso, nata da un innamoramento appassionato per il Signore e il suo Regno, possa deviare verso una tiepida moderazione e si trasformi in un noioso adempimento di normative e costumi?”. Lo scriba aveva consumato gli occhi per capire la legge ma era rimasto schiavo della stessa legge la quale gli aveva impedito di capire di chi è il prossimo! Non credeva al Dio delle sorprese.

Quali le condizioni per stupirsi dinanzi a Dio? Quale il ruolo della formazione continua?

 

La formazione continua è essenziale alla VC. Per il fatto stesso che viviamo un rapporto esclusivo con il Signore, essa abbraccia tutta la nostra persona e tutta la nostra vita. Il rapporto se non si rinnova muore! Ogni situazione si pone come risposta rinnovata d’amore… che viene a sorprenderci.

 

NUOVE

PROSPETTIVE

 

Ci viene indicata la centralità della lectio divina e la nuova comprensione della nostra obbedienza come obbedienza a colui al quale affidiamo il nostro destino nel continuo ascolto della storia che stiamo vivendo. “Il voto di obbedienza è il segno più evidente che permettiamo a Dio di sorprenderci”.

Il nucleo della missione che ci lancia verso iniziative nuove, profetiche, verso l’opzione per gli ultimi e gli esclusi, le nuove forme di comunicazione, l’opzione per i poveri. La nostra povertà non consiste in permessi da chiedere o nel vivere da straccioni, ma è solidarietà, disponibilità a essere dono senza averne stabilito prima il come, il quanto e il quando.

La ricerca di una nuova comunione e comunità basata su relazioni profonde, inclusive, l’allargamento progressivo della vita comunitaria al territorio: parrocchia, diocesi, città, umanità.

Il nostro voto di verginità esprimerà l’amore universale e personale di Dio, che non si ripete mai, ma sorprende e stupisce per la novità, la profondità e la libertà.

Il passaggio da una vita consacrata che fugge il mondo a una vita consacrata incarnata e testimone di trascendenza dentro la storia, dalla quale si lascia interrogare per rispondere alla domanda di Gesù: “Dammi da bere”.

 

Provocazioni per noi oggi. “A motivo di” Gesù che ci ha afferrati, siamo religiose per dedicarci ai poveri o alla pastorale o ci dedichiamo a tutto questo perché qualcosa di molto più profondo ci ha presi e a questo ci sospinge?. Alla radice della vita religiosa c’è il fare per o a motivo di Gesù?: “Il futuro della vita consacrata è nel suo fondamento: Gesù Cristo” (Bernardo Olivera). Come è possibile vivere la passione per l’umanità senza la passione per Gesù o una vita a causa di Gesù? All’origine di ogni dinamismo apostolico deve esserci il crocifisso risorto che disseta e mobilita, rendendo la vita un debito di amore che mai riusciremo a pagare (cf. Rm 1,15).

 

MISSIONE

E LOGICA EUCARISTICA

 

Il tema della missione alla luce delle due icone, la samaritana e il samaritano può solo essere formulato “come essere memoria di colui che ci amò”. Il che significa vita eucaristica! Dare la vita con atteggiamento eucaristico, di lode e gratuità piena, senza attendere il contraccambio, senza cercare opportunità di carriera. Non solo vogliamo “fare bene”, ma ci interroghiamo sul “come” consegnare la vita. Chi ci avvicina deve potere trovare ciò che cerca in profondità: Cristo Gesù, che disseta (cf. Gv 7, 37). Se venisse a mancarci la coscienza che “ogni giorno siamo consegnati a morte (dal Padre nelle situazioni che incontriamo!) per causa di Gesù” (2Cor 4,11), la nostra vita sarebbe da compiangere. Il verbo consegnare (paradidomi) è il verbo della passione e della Eucaristia: indica amore che trabocca o profumo che si realizza perché si versa senza calcoli. Lo stipendio è la soddisfazione di avere dato tutto, di poter dire, in atteggiamento eucaristico: “Sono qui per te. Serviti di me!”. Questo richiama l’atteggiamento del samaritano che fa e basta!

 

– L’arte di essere dono: la VC, oggi, ha il compito del ministero della santità, o “magistero spirituale” che da sempre l’ha caratterizzata e che si è diffuso come profumo di vita (cf. VC 55). Una sfida altissima perché è sempre viva la tentazione di credere che Gesù ha bisogno di noi, e quindi di essere riconosciuti per le nostre capacità o per le nostre opere, a causa delle quali ci interroghiamo, ci aggiorniamo... Nell’apparente venir meno di tutto (meno vocazioni, meno salute, chiusura di opere e di case), oggi siamo ricondotte a questo essenziale ad arrivare a dire: “Per me vivere è Cristo”.

Esistiamo “a motivo di Cristo”, “che ha catturato la nostra vita” ci ha dissetato e si serve del dono eucaristico della nostra vita per “catturare i fratelli al suo amore” con la forza della compassione. È lui la ragione della nostra vita e l’essenza della VC è la “totale conformazione” (VC 18) a Gesù Cristo.

 

In conclusione, tre impegni risultano indispensabili per ridare forza e vigore alla nostra vita consacrata: una relazione forte con Gesù Eucaristia e la sua Parola per essere sua memoria (spiritualità incarnata e non vaporosa e sognatrice) nel nostro mondo complesso ma ricco di possibilità inedite per essere dono; l’umanità povera di vita deve essere al centro dei nostri interessi e progetti apostolici; la vita comunitaria quale segno di Dio che stupisce nel fare dei tanti, dei diversi, una cosa sola in lui.

 

sr. Filippa Castronovo, fsp

La Spezia – 13 marzo, 2005