LA CHIAVE DELLA VITA CONSACRATA

CENTRALITÀ DELLA MISSIONE

 

Senza una forte coscienza missionaria, la vita consacrata non avrebbe ragion d’essere.

Solo una sana autocritica, alla luce di una rinnovata prospettiva della missione, permette di ritornare al centro della VC, per produrre frutti a tutti i livelli.

 

Spesso si ha l’impressione che gli incontri di religiose e religiosi, ai loro vari livelli, finiscano per ruotare intorno alle “problematiche di famiglia” piuttosto che alle sollecitazioni che provengono dal contesto esterno odierno e che sono in grado di mettere seriamente in crisi la missione della VC all’interno della Chiesa. Con questa netta prospettiva il direttore dell’Istituto teologico della vita religiosa a Madrid, fr. José Garcia Paredes cmf,1 apre un suo articolato intervento sul bollettino del Sedos (n. 1/2-2005, pp. 3 e ss.) dal titolo “Missione: la chiave per comprendere oggi la vita consacrata”.

Infatti, sottolinea il noto missionario e teologo claretiano, i problemi interni alla VC diventano peggiori, se non irrisolvibili, proprio quando si perde lo spirito missionario! Senza la missione, che funziona da principio architettonico di base, tutto l’edificio rischia il collasso. E la teologia diventa senza direzione, priva di sentimenti e poco significativa per rispondere alle domande della post-modernità. Così succede fatalmente che si crei un vuoto e che la missione venga sostituita da realtà quali la spiritualità, la vita comunitaria, i temi di moda, l’impegno personale nelle opere, il governo, la formazione, la teologia. In questo modo però, in ognuna di queste aree, si finisce per cadere in forme di malattia: nello spiritualismo pseudo-cristiano che diventa fuga dal reale, nell’infantilismo comunitario preoccupato solo di autoconservarsi, nello snobbismo del momento che rincorre i grandi temi (New age, globalizzazione, sviluppo sostenibile ecc.) senza effettive applicazioni apostoliche, nel privatismo dell’autorealizzazione, nel narcisismo che si adopera a mantenere il sistema e a sostenere psicologicamente più che a generare futuro, nel fissismo dell’identità separata dall’evangelizzazione.

 

CONVERTIRSI

ALLA MISSIONE INTEGRALE

 

Occorre allora tornare con vigore al concetto di missione più trasparente, quello fondato sulla natura stessa di Dio. L’espressione teologica (ormai di uso comune pur essendo nata in contesto protestante) che suona come missio Dei significa in fondo che Dio stesso è Missione! Il Padre manda sia il Figlio che lo Spirito: la missione dunque emerge dal cuore stesso di Dio e tutte le azioni divine ad extra sono azioni missionarie. Si parla innanzitutto di missio creationis, per intendere che sin dall’inizio l’umanità, creata “a immagine e somiglianza” di Dio, è in stato permanente di missione attraverso la generazione di figli e la custodia del cosmo e della società, nella coscienza però di vivere nella condizione propria del peccato di autosufficienza. Questo progetto missionario si prolunga nella missio redemptionis del Figlio fatto uomo, il quale la fonda saldamente proprio nell’obbedienza alla volontà del Padre: la sua missione è nella prospettiva del regno del Padre e perciò non è esercitata in una sfera liturgica o sacerdotale, ma nella vita ordinaria. Il Figlio e il Padre sono i co-autori della missio Spiritus, il quale agisce a livello universale a partire dalla sua manifestazione nella Chiesa.

Da questa comprensione globale della missione fr. Paredes trae la conclusione che “né la Chiesa né un gruppo al suo interno ha il monopolio della missione. Essa si manifesta con ogni essere umano”. La missio creationis è infatti portata avanti da chiunque formi una famiglia, lavori e si dedichi allo sviluppo della società; la missio redemptionis è espressa dalle persone dedite alla liberazione da ogni forma di oppressione e dall’intero ministero ecclesiale (sacramenti, parola di Dio, attività apostoliche); la missio Spiritus è incarnata in ognuno dei compiti carismatici che vengono sviluppati nel mondo e nella Chiesa (la VC è particolarmente sensibile proprio a questo tipo di missione creativa).

Poste queste premesse, il nostro autore, con annotazioni coraggiose e sovente impietose, cerca di identificare le specifiche caratteristiche della missione della VC. La prima caratteristica si collega fortemente alla Scrittura e si connota come rivelativa: consacrate e consacrati sono quei discepoli coscienti che tutto è stato creato in Gesù Cristo e quindi profondamente motivati dal fatto di essere collaboratori della missione di Dio stesso. “Evangelizzare, allora, è annunciare al mondo il significato di ciò che siamo e per chi viviamo. Non possiamo essere indifferenti alla rivelazione. Solo coloro che la conoscono sono in grado di vivere con dignità e hanno la più sublime motivazione di fronte a ogni tipo di difficoltà. Perciò evangelizzare è il primo dovere della Chiesa”. La missione si colora allora di impazienza e di passione per quella comunità religiosa che veramente si esercita, nella preghiera, a contemplare il progetto salvifico.

In secondo luogo, ogni comunità religiosa – se è davvero meno ansiosa di programmare la “propria” specifica missione e più preoccupata di scoprire dove la conduce lo Spirito per essere autentico segno e strumento di evangelizzazione – è chiamata a ricomprendersi nel profondo alla luce di quella caratteristica che possiamo denominare come carismatica. Essa conduce un istituto a rispondere a un processo di discernimento piuttosto che alla visione che viene da un qualunque superiore. “Si rende necessario un forte senso autocritico e una capacità di discernere le prospettive di Dio… la VC nella storia è stata sempre sensibile ai grandi bisogni dell’umanità, specialmente quelli del povero, dell’abbandonato, dell’innocente, delle vittime della violenza. La VC deve essere guidata dallo Spirito per essere il Buon Samaritano in soccorso di coloro che si trovano in necessità. Nelle situazioni dove c’è oppressione o violazione di diritti umani, la VC scopre la sua natura apocalittica. In questo caso essa è chiamata a portare consolazione e speranza, annunciando il giudizio per gli oppressori insieme con la piena salvezza dei figli di Dio oppressi”. In questo modo la vita religiosa è naturalmente più portata a stringere relazioni con quei gruppi impegnati nella missio redemptionis e nei progetti di liberazione: il suo ruolo sarà quello di “esercitare la funzione di segno e parabola del regno di Dio. La VC non è un dono carismatico dello Spirito per risolvere i problemi delle chiese locali o delle società, piuttosto la sua vocazione specifica è manifestare l’utopia del Regno e il fatto che questo Regno non è risultato dei nostri sforzi ma dono”.

 

RIMETTERE

AL CENTRO LA MISSIONE

 

Quando la missione così intesa è posta al centro della VC produce effetti sulla spiritualità, sulla vita comunitaria e persino sulle strutture.

“Chi sente la chiamata a condividere la missio Dei – sottolinea Paredes – è cosciente che questa è la grazia più grande che un essere umano possa ricevere: essere figlio di Dio, mandato da Dio nel mondo per proclamare e trasmettere il suo amore, la sua compassione, la sua energia. La comunione con Gesù, missionario del Padre, è essenziale per l’evangelizzatore: in un modo tale che nel missionario si dovrebbe riconoscere Gesù in persona. Sotto un altro aspetto, la missione è vita nello Spirito e partecipazione nella sua missione. L’evangelizzatore è una persona abitata dalla Trinità. Tutto ciò che emerge da questa esperienza vitale è pura spiritualità. Il missionario, come i profeti, sperimenta la passione di Dio per la sua gente. La parola di Dio è fuoco divorante nel suo cuore. Questa è autentica spiritualità!”.

Uno dei più importati obiettivi della missione è poi quello di creare comunione. “Una comunità missionaria ha nel suo orizzonte l’espansione della comunione, quella che trae origine dal Padre e dal Figlio. Dove non c’è quella passione proveniente dalla comunione missionaria con Dio, come una comunità potrà essere veramente abitata dalla Trinità?... Nessuna comunità è fine a se stessa ma piuttosto deve essere nel processo permanente di una continua espansione”. Tutto questo produce comunità con la fisionomia di sentinelle della storia: “sensibili alla volontà di Dio che si rivela negli eventi. Esse hanno una forza molto più grande di quelli relativi alle istituzioni, alle consuetudini e alle tradizioni. Il missionario autentico è sempre pronto a cambiare, a servire in un nuovo luogo, dove la missio Dei diventa urgente e cerca collaboratori”. Dove c’è un tale atteggiamento di vigilanza nessuna attività è privata o individualista: “ci sono momenti nei quali, per obbedire allo Spirito, è necessario disobbedire a tutto ciò che contraddice la nostra autentica vocazione missionaria. Non si dovrebbe tollerare che nella vita religiosa le persone siano dedicate a un’opera che non ha alcun spirito missionario”.

E ancora, una missione messa al cuore della VC permette al servizio di autorità, all’attività di formazione e alla ricerca teologica di assumere lo stesso ampio orizzonte della missione di Dio. Secondo Paredes infatti la caratteristica più importante di un superiore è quella di essere guidato dalla passione missionaria di Dio verso il mondo: “Non abbiamo bisogno di manager di istituzioni o di imprese ma di autentici profeti che sentono l’amore di Dio per il suo popolo. Un servizio di autorità segnato con questo spirito missionario sarà in grado di infiammare di entusiasmo i membri della comunità… Il servizio di autorità nella comunità religiosa deve costruire una coscienza viva di essere cooperatori di Gesù nel suo sogno per il futuro del mondo. Un servizio con questa visione missionaria non si fa impaurire, prende rischi nella ricerca di nuovi sentieri di evangelizzazione”. Di conseguenza, richiamando l’esempio del giovane novizio passionista divenuto san Gabriele dell’Addolorata, il nostro autore che è noto e stimato docente, invita a ragionare proprio sul fatto che tutto quel che avviene nelle case di formazione non può essere indipendente dalla missione: “Una persona nella fase di formazione iniziale non va trattato come una persona che presenta dei problemi, con una debole psicologia, ma come una missionaria o un missionario che è cosciente di prepararsi alla missione e che non sarà mai solo. Può sempre contare sull’aiuto dello Spirito Santo. Ovviamente deve essere formato per questa missione, imparando a rimanere sempre aperto alla guida di questo grande Formatore interiore”.

Quando una congregazione, una comunità, una persona si arrende allo Spirito, tutto fiorisce. Un autentico missionario non è mai autosufficiente, ma è pienamente cosciente di essere solo un mediatore: come Giovanni Battista è sempre pronto a diminuire perché cresca la missione nella sua globalità e integralità.

 

Mario Chiaro

 

1 L’articolo è tratto dalla rivista Religious life in Asia (1/2004). Paredes, che ha lavorato per molti anni al progetto di rifondare missiologicamente la VC, è anche autore di numerosi scritti: ricordiamo Una parabola del Regno, Maria e il regno di Dio, La teologia della vita religiosa nell’era post-moderna.