NELL’INVISIBILE DELLA CITTÀ

 

Qualcuno ha pensato anche alla città: la città «che tanti dicono dura e spietata, luogo dell’anonimato senza volto e senza cuore, terreno arido e pietroso», e l’ha pensata invece come terra capace di accogliere in un grembo non refrattario un seme destinato a germogliare e a dare a lungo raggio, secondo le stagioni dello Spirito, fiori di speranza e frutti di gioia.

Non è il primo parroco, neppure tra quelli di città, quello di San Giovanni in Laterano a Milano, don Angelo Casati, che integri il molteplice ministero coltivando attraverso un foglio mensile un rapporto costante con la propria comunità: col suo volto fatto di tanti volti e di tanti cuori, più o meno aperti, più o meno chiusi e sempre amici.

Ma don Angelo, che non solo si sente in controtendenza con ciò che si dice della città ma ha una reale fiducia nella fecondità anche di quel terreno apparentemente arido, scrive e scrive, nel «desiderio di condividere, mese per mese, con una comunità e i suoi amici» non tanto le sue preoccupazioni pastorali, di solito note ai fedeli, quanto i personali «pensieri del quotidiano».

Segno di quella fiducia è lo stesso titolo del foglio, Come albero: quasi a dire che se pure la città non è attraversata dai “corsi d’acqua” evocati dal salmo 1, anch’essa può farsi traccia per il “cammino dei giusti” simboleggiati da alberi rigogliosi.

Ora un libro1 raccoglie i fogli mensili trasmessi da don Angelo agli amici negli anni dal 2001 al 2004, e chi si accosta a quei pensieri non ne riceve l’impressione che essi siano datati o inattuali. Infatti – come potremo vedere dall’esempio di alcuni brani – i pensieri registrati, anche quando scaturiscono da circostanze contingenti si formano da una particolare, innata sensibilità a cogliere, ascoltare e ridire poeticamente l’essenziale animato dallo Spirito: nella natura e nelle opere umane come nelle persone e nelle loro storie, e come negli echi del divino percepito attraverso la liturgia celebrata. Così che il contenuto del libro si offre a una lettura godibile in qualsiasi momento, mediante i singoli “fogli” e nel suo insieme, realmente unificato attorno ai due poli costanti di ispirazione che sono la Bibbia e la città.

 

DA UNO SGUARDO

AL CIELO

 

Prendiamo proprio ad apertura del libro il pensiero del mese di gennaio 2001. «Sono mesi in cui i cieli, i nostri, sono per lo più chiusi e comincio – lo confesso – a sentirne il peso: come pesano i cieli chiusi! Dopo giorni di nubi portiamo i cieli chiusi persino negli occhi. Non ce ne avvediamo, ma gli occhi sono specchio di cieli interiori, sì, ma anche dei cieli grigi o splendenti delle nostre città. Al loro lacerarsi ci viene incontro il mistero, una voce sorprendente»: la voce del Padre su Gesù suo figlio diletto. Era stata celebrata, infatti, la festa del Battesimo del Signore, e il parroco ne riprende il commento, estensibile dai suoi agli altri amici de L’Albero.

Al lacerarsi dei cieli, dunque, il mistero. «Quel giorno – chissà se fu mattino o pieno giorno o verso sera – all’aprirsi del cielo, al soffio misterioso dello Spirito, su quel figlio d’uomo in viaggio da Nazaret di Galilea “venne una voce dal cielo: tu sei mio figlio, il mio diletto, in cui mi sono compiaciuto”. Non era il primo giorno della voce. Non è uno solo il giorno in cui un padre e una madre, guardando la loro creatura, dicono a parole e con gli occhi: “Tu sei il mio figlio”. Anche Dio – mi si perdoni se oso esprimermi così – chissà quante volte, lungo la vita di quel figlio, si sarà sentito venire alle labbra, quasi una necessità, quelle parole. Antico e Nuovo Testamento lasciano tracce di questa voce».

Don Angelo ne sottolinea, di quella voce, tre volte. La prima volta fu quando ancora il figlio non era nato: “Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi” (Sal 139,16), il figlio di Dio «chiamato figlio anche nel grembo così come succede tra noi, che uomini e donne chiamino i figli anche nel grembo». Nella seconda volta sceglie di ripetere la scena sul Giordano, nel «giorno in cui a Dio, sull’uomo venuto da Nazaret di Galilea viene fatto di esclamare “Tu sei mio figlio”»: un figlio adulto, consapevole di una vocazione che il Padre conferma sotto «cieli non più minacciosi, che non fanno più paura, “Tu sei mio figlio”».

E la terza volta, un terzo giorno, è il giorno della risurrezione, prende le parole dalla bocca di Paolo, che sull’attuazione della promessa da parte del Padre, afferma che «Dio l’ha attuata, la promessa per noi, risuscitando Gesù, come sta scritto nel salmo secondo, “Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato”». Bellissimo!, commenta don Angelo. «È come se Dio, risuscitando quel figlio d’uomo morto in croce, dicesse: “sei mio figlio, io oggi ti rigenero”. Oggi, scrivendone – sono sincero – un po’ mi commuovo. Al pensiero che, il giorno in cui morirò e arriverò a lui, a Dio, egli mi guarderà. Sarò un pover’uomo, pieno di dubbi, di incertezze, di fragilità. Ma lui mi guarderà e mi dirà: ”mio figlio sei tu. Oggi ti ho generato”».

 

GENTE

FUORI DAL CORO

 

Tra gli Alberi del 2002 ecco una serie di gesti riconosciuti a persone che sanno inventare gesti nella più scontata semplicità ricchi di significato vitale. Sono gesti di persone che don Angelo giustamente considera fuori dal coro.

«Storia di una bisnonna di nome Maria, che, questo Natale, ai pronipoti ha fatto trovare i regali dimezzati, perché l’altra metà andava ai bambini afghani. I pronipoti, non clonati, a condividere la gioia. Bisnonna e pronipoti fuori dal coro. E non sono i soli. Ora cresce la rete a Natale.

Storia di un ragazzo e una ragazza, sposi dall’estate, che sere fa mi dicevano: “Sai, don Angelo, noi convivevamo da qualche tempo ormai e la nostra era una casa attrezzata a cui nulla mancava. Che bisogno c’era di regali? Abbiamo aperto un conto e a parenti e amici abbiamo detto che la somma sul conto l’avremmo destinata ai poveri della terra. Abbiamo raccolto milioni. Ci dici a chi possiamo destinarli?”. Ragazzi fuori dal coro!

Storia di ragazzi e ragazze, avviati – così si dice – a brillante carriera, che hanno avuto il coraggio di tagliare. Il lavoro e la carriera se li sentivano salire come fumo negli occhi fino all’accecamento. E ora sono alla ricerca di spazi più umani. Meno soldi, ma salvi in umanità. Fuori dal coro!

Storie di uomini e donne inimmaginabili. Ti accade di trovarli, sempre loro, quasi un appuntamento, con la speranza dei folli su tutte le strade dove urla la fame di sete e di giustizia. Fuori dal coro!

Sarebbe massimo onore per un prete, che questi fossero per poco, per qualche emozione trasmessa, anche suoi figli. Sommo onore avere figli fuori dal coro, irriducibili sognatori come Dio li ha creati».

Ecco, questo è lo stile di un libro – di un autore – singolare. Pensieri di un prete poeta. Una poesia talora ermetica ma nelle cui immagini e versi (ci sono anche intermezzi in versi) i primi destinatari possono certamente riconoscersi e ritrovare anche le circostanze dalle quali i pensieri del parroco, in quella rete non solo natalizia di gesti, sono scaturiti e sono stati lanciati come semi sul terreno buono della città. E i destinatari ultimi o penultimi, ossia noi lettori del libro, possono riceverne forza di speranza.

Un libro inconsueto, che abbiamo anche aperto e presentato in modo inconsueto, trattandosi appunto di un libro singolare per una lettura che riteniamo “refrigerante”.

 

Z. P.

 

1 CASATI A., Il seme nella città. Un parroco tra antenne e campanile, EDB, Bologna 2005, pp. 230, € 13.50.