E’ RIMASTA ANCHE A RISCHIO DELLA VITA

 

CON L’AFRICA

DA DONNA E DA MEDICO

 

In una città di confine dell’Angola si è consumata in dieci giorni la passione della pediatra Maria Bonino. Volontaria laica “con” l’Africa, ha condiviso fino all’ultimo coi suoi bambini la sorte di sofferenza e morte del continente africano.

 

«Anche ieri nell’ospedale di Uige ci sono stati tre decessi per la febbre emorragica e la situazione resta grave: le suore italiane, però, hanno deciso di rimanere a fianco dei più poveri, soprattutto in questo momento di grave emergenza». A parlare è suor Anna Cecilia, superiora provinciale in Angola delle suore delle Provvidenza di Verona: malgrado l’epidemia del virus di Marburg,1 simile al più tristemente noto Ebola, i missionari italiani restano nella provincia dell’Angola dove il contagio ha già provocato molte vittime. «I nostri missionari sono venti, tra cui otto italiani. Ma nessuno di loro ha voluto lasciare quell’area», conferma il superiore regionale dei cappuccini, padre Graziano de Angeli.

La provincia nord-orientale di Uige, circa 350 chilometri a nord della capitale Luanda, è l’epicentro dell’infezione. «Nell’ospedale di Uige lavorano due suore italiane e una angolana, con cui siamo in costante contatto. La nostra congregazione è presente in Angola da 51 anni e non pensiamo che questo sia il momento di abbandonare malati bisognosi di cure» aggiunge suor Anna Cecilia. Nella zona lavorano anche i volontari di Medici con l’Africa-CUAMM di Padova, che hanno già avuto una vittima tra il loro personale: la pediatra Anna Bonino, morta il 24 marzo 2005.

A causa dell’emergenza creata dal diffondersi della malattia, le normali attività dell’ospedale angolano risultano oggi seriamente compromesse: drasticamente ridotti i ricoveri in pediatria, maternità e medicina generale; vengono garantite le emergenze, ma non si riescono più a eseguire le operazioni programmate. In particolare, è preoccupante la situazione fuori dall’ospedale, nell’impossibilità di misurare l’evolversi della malattia nella popolazione. Anche se sono cominciati ad arrivare i primi materiali e dispositivi sanitari, è ancora insufficiente il numero degli operatori dedicati alle misure di isolamento e cura dei malati affetti da febbre di Marburg. Nel frattempo le autorità hanno lanciato un’ampia campagna di sensibilizzazione anche attraverso le radio locali (principale strumento di comunicazione, se non unico, in aree dove non arrivano i giornali e la carenza di energia elettrica rende inutilizzabili i pochi televisori)2 tra la popolazione di questa regione, che confina con la Repubblica democratica del Congo.

 

DENTRO

IL DOLORE INNOCENTE

 

Nata a Biella nel 1953 e residente ad Aosta, Maria Bonino era pediatra con tanti anni di esperienza di cooperazione e volontariato nei paesi in via di sviluppo. Dal 1981 ha prestato servizio presso l’ospedale di Ikonda (Tanzania), successivamente è stata impegnata presso l’ospedale regionale di Tenkodogo in Burkina Faso, quindi presso l’ospedale regionale di Iringa in Tanzania, poi nella direzione sanitaria del distretto di Arua, in Uganda. Dal marzo 2003 era presso il reparto di pediatria dell’ospedale provinciale di Uige in Angola. La sua corsa per la vita è stata fermata proprio in mezzo ai suoi bambini.

Queste le tappe di una via crucis et lucis del dolore e della speranza, percorsa con grande coraggio. Consapevole sempre dei rischi che andava correndo, come straniera, come donna e come cristiana, Maria ha combattuto la buona guerra, contro la povertà, la malattia, l’isolamento dal mondo, che toccano tanta parte del continente africano. Così scriveva in uno dei suoi ultimi messaggi: «A volte sembra un incubo: pianti, gemiti, urla di genitori disperati… e la sensazione di essere impotenti. È umanamente impossibile vedere un senso per tutto questo dolore innocente. L’unica è fidarsi che ci sia». In queste parole si conferma l’immagine che rimane nel cuore dei suoi colleghi: una donna umile, mai piena di sé e pronta a lasciarsi riempire dalla sofferenza dei bambini. I reparti pediatrici infatti sono dolorosissimi e costituiscono una fonte molto alta di stress professionale. Comunque, negli intervalli trascorsi in Italia, in reparti di pediatria e neonatologia, si lamentava sempre del poco lavoro e si vergognava un po’ di andare a prendere lo stipendio alla fine del mese. Aspettava ogni volta con impazienza di ripartire e intanto si dava da fare a raccogliere fondi. Da Uige scriveva nel novembre del 2003, a 7 mesi dal suo arrivo: «Al momento in due (pediatre) entriamo in ospedale alle 8 (del mattino) e usciamo alle 7 (di sera), e anche dopo, senza contare le urgenze di notte».

Le emergenze sanitarie in Africa, la dottoressa Bonino le conosceva bene. «Fu da un viaggio con gli scout in Kenia nel 1980 – ricorda la sorella Cristina – che nacque in lei il desiderio di aiutare le popolazioni africane». L’impegno nel volontariato intervallava la sua attività professionale nell’ospedale di Aosta: «Ma aveva ormai deciso lasciare definitivamente il lavoro in Italia – rivela ancora la sorella Cristina –. Dopo il rientro dall’Angola, da luglio era in programma il trasferimento in Etiopia». Conferma la dottoressa Anna Talami del CUAMM: «Doveva recarsi all’ospedale di Wolisso, che è stato realizzato con il CUAMM dietro il forte impulso delle Conferenze episcopali etiopica e italiana».

 

CON I BAMBINI

E CON L’AFRICA

 

Innamorata dei bambini e dell’Africa, aveva lanciato preoccupata i primi allarmi sul ripetersi tra i bambini di «casi misteriosi di vomito scuro, nella maggioranza dei casi seguito poi da morte». «Ogni tanto se ne presentano due o tre, poi passano settimane senza vederne. Io ne ho sempre parlato col direttore e col medico provinciale». Anche l’ispezione di un’équipe da Luanda non porta a provvedimenti ulteriori: «Secondo me il direttore pensava che io esagerassi». Devono morire alcuni adulti in una zona dove la mortalità infantile è purtroppo molto alta perché le autorità comincino a preoccuparsi: «Adesso la direzione è finalmente non dico nel panico ma attiva, è arrivata un’altra équipe da Luanda e hanno spedito qualche prelievo di bambini ad Atlanta dove c’è il centro mondiale di riferimento per le malattie infettive».

E per rassicurare la sorella, il 13 marzo, scrive: «Mascherina e guanti, candeggina a gogò, stai tranquilla che mi difendo». Ma il responso di Atlanta arriverà solo il 21 marzo, troppo tardi per la coraggiosa pediatra: il 15 si manifestano i primi segnali della malattia, ma attribuiti alla malaria («Maria ne era stata contagiata – racconta la sorella – e di tanto in tanto aveva ricadute dalle quali si era sempre ripresa. E i sintomi sembravano simili»). Sabato 19 però viene trasferita in ospedale nella capitale Luanda: il giorno dopo per telefono cerca di rassicurare i parenti in Italia. E anche per e-mail si mostra fiduciosa: «State tranquilli, non è il caso di allarmarsi». Ma il virus non le dà più scampo: la voce si affievolisce giorno dopo giorno, fino al decesso, il pomeriggio del 24 marzo.

Nel reparto pediatrico dove operava Maria si effettuano ogni anno oltre 10mila ricoveri con strumenti e risorse sempre scarsi. Lei era l’anima della struttura: «Non si è mai risparmiata nel suo impegno, era appassionata al suo lavoro. Era tenace e molto esigente. Aveva una grande capacità di servizio e sacrificio. E nello stesso tempo guardava alla concretezza dei risultati». Proprio il suo prodigarsi le permetteva però di non transigere: continuava a essere indignata per il fatto che milioni di bambini nei paesi poveri muoiono per la mancanza di ritrovati medici ormai comuni nel mondo sviluppato.

Possiamo dire che il suo sacrificio esprime in modo magistrale l’impegno dei Medici con l’Africa-CUAMM (Collegio universitario aspiranti e medici missionari), ente che si batte per il rispetto universale del diritto umano fondamentale alla salute e per rendere l’accesso ai servizi sanitari disponibile a tutti. Nata nel 1950, è la più grande ong sanitaria italiana per lo sviluppo indipendente e autonomo delle popolazioni africane. Attraverso un ufficio di coordinamento in Italia e 7 sedi distaccate in Africa, è oggi presente con 40 progetti e 85 volontari in sette paesi del continente nero. Esprime l’impegno di laici che – attraverso la loro attività professionale spesa a favore dei più poveri – realizzano la propria vocazione missionaria e contribuiscono alla costruzione di un mondo basato su rapporti di giustizia, equità e pari dignità.

Proprio don Luigi Mazzucato, direttore del CUAMM, durante la celebrazione in sua memoria nella cattedrale di Biella ha espresso i sentimenti di chi l’ha conosciuta: «In assenza di interventi Maria, pur usando le possibili precauzioni, ha continuato a curare i bambini colpiti a morte dalla malattia fino a quando lei stessa non è stata aggredita dal terribile male, che nel giro di otto giorni, nel pomeriggio del giovedì santo, l’ha portata al decesso: 24 marzo, giornata dedicata ai martiri missionari, missionaria anche lei fino in fondo tra i bambini dell’ospedale di Uige, in Angola, e martire, per il suo profondo senso del dovere e del servizio, per il suo illuminato amore ai bambini e all’Africa. Diceva alla mamma: «Se muoio in Africa, lasciatemi dove sono». L’ha ripetuto anche negli ultimi giorni alla dottoressa che l’assisteva. È stata sepolta la mattina del venerdì santo nel cimitero a Luanda. Noi ora la piangiamo assieme ai familiari e agli amici, come avevamo pianto poco più di un anno fa la morte, in un grave incidente stradale, di un’altra nostra volontaria, l’infermiera Marisa Ferrari, per appena sei mesi passata in quell’ospedale dall’Etiopia, dove per sette anni aveva gestito un progetto di assistenza alle mamme e ai bambini a Geto, nella diocesi di Addis Abeba.

Noi invochiamo Maria, intimamente partecipe alla sofferenza di Cristo ora, nella Pasqua, unita a lui nella gloria, perché dal cielo conforti e sostenga i suoi cari, perché il suo sacrificio serva a smuovere i responsabili dei governi e delle istituzioni per interventi più rapidi, adeguati ed efficaci contro la povertà e le malattie del continente africano; perché cresca in tutti la coscienza del dovere della solidarietà e perché noi stessi, Medici con l’Africa, spinti dal suo eroico esempio, abbiamo la forza e il coraggio di continuare a essere fedeli alla nostra missione per non far morire in Africa anche i segni della speranza».Maria infatti credeva nelle possibilità di riscatto di popoli giovani attraverso l’acquisizione di fiducia nelle proprie forze e nelle risorse della propria terra. Con l’Africa più che per l’Africa. «Ci sono storie che, di solito, non occupano le prime pagine dei giornali. Ci sono vite spese, nel silenzio e nella totale semplicità, al servizio dei più svantaggiati – ha scritto L’Osservatore Romano –. Così senza nessun clamore, Maria Bonino ha sacrificato la sua vita, scegliendo, da vera missionaria e da vera testimone della fede, di morire pur di non abbandonare chi poteva aver bisogno di lei».

 

Mario Chiaro

 

1 La febbre di Marburg è una febbre emorragica virale. Per le infezioni da tale virus il periodo di incubazione può variare da 3 a 9 giorni e la sintomatologia si manifesta inizialmente con febbre, malessere generale, cefalea, mialgie, faringite, cui fanno seguito vomito, diarrea ecc. La letalità è pari al 25%-30%. Il virus era stato finora identificato in occasione di 4 focolai epidemici circoscritti in Germania, Jugoslavia, Zimbabwe e Kenya. Presumibili serbatoi e sorgenti dell’infezione sono primari non umani, roditori, pipistrelli, artropodi.

2 Dopo una guerra durata dal 1975 al 2002 si stima che più di 10 milioni di mine siano disseminate nel vasto territorio dell’Angola. La capitale Luanda conta circa 5 milioni di abitanti, la grande maggioranza dei quali vive in condizioni miserevoli. Il sistema sanitario è in condizioni di incredibile arretratezza non solo per mancanza di mezzi ma anche per scelte politiche sbagliate. Gli indicatori sanitari dell’Angola sono fra i peggiori del pianeta: la speranza di vita alla nascita è di 45 anni per gli uomini e 48 anni per le donne; il tasso di mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni è di 262 per 1.000 nati vivi; la mortalità materna è stimata a 1.700 per 100 mila nati vivi. L’Onu pone l’Angola al 166 posto su 177 paesi, pur essendo ricchissimo di materie prime, petrolio e diamanti.