UNA CONDIZIONE PER STARE BENE INSIEME
LA GIOIA IN COMUNITÀ
La gioia è legata
alle condizioni interiori della persona, ma è favorita anche dall’ambiente
comunitario. Questo la facilita quando si presenta sereno e accogliente,
ispirato a fiducia e confidenza reciproca, in una sana tensione di crescita, e
caratterizzato da laboriosità e anelito apostolico.
«Una fraternità senza gioia è una fraternità che si
spegne. Ben presto i membri saranno tentati di cercare altrove ciò che non
possono trovare a casa loro».1
Ecco: tra tante analisi che si fanno sulla vita religiosa
e i suoi problemi, parliamo dunque qualche volta anche della gioia,
indispensabile perché le persone stiano bene insieme. Non è del tutto facile:
c’è molto più materiale quando si vuol parlare di ciò che non funziona anziché
della normalità, perché il bene, come la salute, è qualcosa di semplice e
presenta una ricchezza e una coerenza che non è facile descrivere.
L’analisi oggettiva dei problemi, la ricerca delle cause
di crisi, la contestazione di ciò che è in contrasto con lo spirito evangelico,
l’individuazione di strategie e interventi volti alla ricerca di forme nuove e
più evangeliche di testimonianza...: tutto può essere utile e offrire
contributi significativi al rinnovamento della vita religiosa, ma il Signore fa
un dono tutto particolare a un istituto quando suscita la presenza di qualcuno
che con semplicità e autenticità diffonde attorno a sé gioia e buonumore.
Queste persone, senza allontanarsi da una visione realistica delle situazioni,
infondono fiducia negli altri e li incoraggiano a impegnarsi con pazienza e
risolutezza per discernere l’aspetto positivo presente nelle cose e negli
avvenimenti; animate dall’ottimismo e col volto sorridente, ricordano che un
modo concreto di amare coloro che ci vivono accanto è anche questo: essere noi
stessi un po’ più contenti, calmi e sereni. «Essere lieti, custodendo sempre in
noi le sorgenti della letizia cristiana, significa compiere una grande carità
verso noi stessi e verso coloro che vivono intorno a noi».2
Che cosa è la gioia, quali i suoi presupposti e le
modalità di espressione? Nella riflessione che segue viene offerto qualche
spunto, di carattere prevalentemente psicologico.
GIOIA CRISTIANA
ORIGINE E SIGNIFICATO
S. Tommaso afferma che «come l’uomo non potrebbe vivere
in società senza la verità, così nemmeno senza la gioia».3
La gioia corrisponde a un senso diffuso di pace e di
piacere, che viene in noi dal possesso di quanto ragionevolmente desideriamo.4
«L’uomo prova la gioia quando si trova in armonia con la natura e soprattutto
nell’incontro, nella partecipazione, nella comunione con gli altri. A maggior
ragione egli conosce la gioia o la felicità spirituali quando la sua anima
entra nel possesso di Dio, conosciuto e amato come il bene supremo e
immutabile».5
La gioia cristiana – è di questa che qui si parla – trova
la sua sorgente ultima in Dio, è sempre dono di Dio. «Chi può mangiare e godere
senza di Lui?» (Qo 2,25); «Il giusto gioirà nel Signore e riporrà in lui la sua
speranza, i retti di cuore ne trarranno gloria» (Sal 64,11). E ancora: «Cerca
la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore» (Sal 36,4).
Le gioie vere e autentiche della vita sono una specie di
rivelazione di Dio all’uomo. «Ecco quello che ho concluso: la perfetta felicità
sta nel mangiare e bere e godere dei beni in ogni fatica durata sotto il sole,
nei pochi giorni di vita che Dio gli dà. Ogni uomo, a cui Dio concede ricchezze
e beni, ha anche la facoltà di goderli e prendersene la sua parte e di godere
delle sue fatiche. Anche questo è dono di Dio: che egli non pensi molto alla
sua vita breve, perché Dio gli dà risposta attraverso la gioia del suo cuore»
(Qo 5,17-19). «Questo testo è di grande importanza. Si dice che Dio dà all’uomo
una risposta attraverso la gioia, che costituisce dunque una certa rivelazione
sperimentabile di Dio. Nell’esperienza della gioia – sebbene breve e limitata –
l’uomo percepisce in qualche modo la presenza e la bontà di Dio e capisce che
Dio fa bene tutte le cose. Quel che la ricerca puramente intellettuale non
riesce a cogliere, viene percepito sperimentalmente attraverso le piccole gioie
della vita» (A. Bonora).
Afferma Paolo VI: «Ci sarebbe bisogno di un paziente
sforzo di educazione per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente
le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia
esaltante dell’esistenza e della vita; gioia dell’amore casto e santificato;
gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del
lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente
della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del
sacrificio. Il cristiano potrà purificarle, completarle, sublimarle: non può
disdegnarle. La gioia cristiana suppone un uomo capace di gioie naturali. Molto
spesso partendo da queste il Cristo ha annunziato il regno di Dio».6 A questo
elenco si può aggiungere: la gioia dello stare insieme, la gioia del perdono,
la gioia del dono di sé e del “dimenticare se stessi per far piacere agli
altri” (s. Teresa di Gesù Bambino), la gioia che deriva da una coscienza
retta,7 ma anche tutte le piccole gioie quotidiane legate ai piaceri del corpo
e a ogni tipo di attività e di divertimento.
Occorrerà infine ricordare che gioia e dolore sono le due
facce di una stessa medaglia: non c’è l’una senza l’altra. Anche questo è un
importante ammaestramento per la vita. Dio però ci ha creati per la gioia:
«Dolce è la luce e agli occhi piace vedere il sole. Anche se vive l’uomo per
molti anni se li goda tutti» (Qo 5,17-19). Godiamo dunque le piccole felicità della
vita, che certamente non mancano nelle nostre giornate terrene, sapendo che
esse trovano la loro sorgente in quella gioia fondamentale del cristiano che
nasce dal sapersi amato da Dio e continuamente sotto il segno della sua
provvidenza.8
NELLE PERSONE
CONSACRATE
– Condizioni che favoriscono l’esperienza della gioia. La
gioia è dono dello Spirito (Gal 5,22), ma è anche vero che essa è possibile in
presenza di un certo quadro di personalità; più precisamente, essa suppone una
funzionalità psicologica del soggetto che risulti, tutto sommato, normale. Un
presupposto fondamentale è rappresentato da un’infanzia dove si sono
sperimentate accoglienza amorosa e relazioni positive con le figure
significative che ci hanno educato (l’introiezione di una buona relazione
iniziale con la madre sembra essere decisiva). Tutto ciò getta le basi perché
si possa sperimentare la gioia di vivere e di sentirsi vivi, nella quale trova
la sua alimentazione più profonda e decisiva la vita affettiva di una persona.
A parte le esperienze iniziali, si devono richiamare
altre condizioni che rendono possibile l’esperienza della gioia: lo sforzo
ascetico per conservarla e l’impegno educativo per imparare a gustare le varie
forme di gioia; il tipo di vita che conduciamo, quindi all’attenzione che
prestiamo a determinate regole che possono favorire la nostra salute mentale
(non dimenticando mai che i sentimenti che proviamo dipendono essenzialmente da
noi e non dalle realtà cui si riferiscono); la qualità della vita spirituale.
La gioia è legata fondamentalmente alle condizioni
interiori della persona: «Le radici della vera felicità hanno una base
interiore, prima ancora che esterna».9
Le condizioni che favoriscono nella persona consacrata
l’esperienza della gioia sono legate anche all’ambiente comunitario. Tale
influenza deriva dalla capacità che l’ambiente ha di soddisfare i bisogni
fondamentali delle persone, sia quelli generali che quelli specifici di persone
che hanno scelto la via della consacrazione perché hanno ritenuto che per loro
fosse la via più adatta per realizzarsi pienamente come persone. L’ambiente
comunitario facilita l’esperienza della gioia quando si presenta normalmente
sereno e accogliente, ispirato a fiducia e confidenza reciproca, con relativa
assenza di tensione, caratterizzato da laboriosità e anelito apostolico. Né si
può dimenticare l’importanza che hanno i processi comunicativi, la percezione
di obiettivi chiari e validi da parte di tutti i membri, la cura particolare
riservata alla vita spirituale, l’assegnazione di ruoli che siano vissuti come
gratificanti e significativi da parte delle singole persone, la relativa
assenza di comportamenti nevrotici e turbe comportamentali da parte dei singoli
membri.
– L’autorità al servizio della gioia dei fratelli.
L’esercizio dell’autorità può contribuire non poco a creare un clima
comunitario gioioso e sereno.Il Vangelo insegna che ogni autorità deve essere
vissuta come servizio; s. Paolo vuole esercitare la sua autorità di apostolo
sulle comunità cristiane allo scopo di «collaborare alla loro gioia» (2Cor
1,24).
L’autorità favorisce un clima sereno quando: è anzitutto
«conscia che quanto più l’amore di Dio cresce nei cuori, tanto più i cuori si
uniscono tra di loro»;10 crea un clima favorevole per la condivisione e la corresponsabilità;
sa prendere le necessarie decisioni con la dovuta prudenza.
– L’espressione della gioia. Ci sono manifestazioni
autentiche e inautentiche della gioia. Può capitare a volte di assistere nelle
comunità religiose a manifestazioni di gioia ed esultanza che lasciano alquanto
perplessi e destano l’impressione di qualcosa di artificioso: una gioia
ostentata, un’esultanza superficiale, un’ilarità di circostanza, un’allegria
puerile. Il dubbio nasce quando si constata che si tratta di episodi del tutto
isolati: quello che si dice o avviene nella vita di tutti i giorni è di
tutt’altro tenore.
Anche il linguaggio può essere significativo. Cito. Una
religiosa annuncia a parenti e amici la sua professione religiosa: «Il Signore
mi ha colmato di gioia, perché mi ha colmata di sé... È penetrato violentemente
nella mia vita, sconvolgendo e ribaltando i miei poveri progetti umani». Si
sono trascorsi insieme alcuni giorni per un corso di formazione e si riferisce
dell’esperienza sul bollettino dell’istituto sottolineando che essa è stata
segnata «da una gioia profonda che ha contagiato tutti». Si è celebrato il
capitolo generale e se ne fa la cronaca: «Il cammino capitolare è stato segnato
da alcuni momenti forti e indimenticabili (il primo è stato il ritiro
spirituale di due giorni)... Grande è stato lo stupore e insieme la gioia di
esserci sentite “pietre vive” di un unico edificio».
Naturalmente, tutto è possibile, ma qualche volta viene
da chiedersi: veramente la gioia deve essere sempre grande, la letizia
generale, un’esperienza positiva, uno stupore?
In un antico inno composto da s. Ambrogio, la Chiesa ci
fa chiedere al Signore il dono di «saper gustare nella letizia la sobria
ebbrezza dello Spirito».11
– La gioia della festa. La gioia delle persone consacrate
può – deve – manifestarsi anche attraverso momenti di festa. A questo riguardo
si deve dire che non è sempre scontato che una comunità sia capace di vivere
nella serenità e nel godimento autentico i momenti di festa (per un compleanno,
un anniversario, una ricorrenza dell’istituto, una promozione di uno dei suoi
membri...). D’altra parte, questi momenti meritano di essere valorizzati:
rinfrancano fedeltà, amore, letizia di convivere. È dunque importante che si
presti attenzione a quelle condizioni, personali e comunitarie, che rendono
possibile godere in modo autentico i momenti di festa.12
– Condividere la gioia. San Paolo invita a gioire con chi
è nella gioia (Rm 12,15) Quando si parla del bisogno di comunicare che hanno le
persone, si pensa solitamente che si abbia bisogno di comunicare qualche
preoccupazione, un problema che ci affligge, una sofferenza particolare.
Probabilmente si è un po’ restii a condividere le proprie gioie: forse perché
quando l’abbiamo fatto abbiamo sentito una certa indifferenza, se non invidia.
Eppure, è facile convincersi di quanto sia più utile condividere gioie anziché
critiche o malumori o lamentazioni continue. È facile che ci capiti di stare
accanto a chi soffre e di solito qualche parola da dire in circostanze dolorose
non manca, ma che cosa si dice a chi ci vuol comunicare la sua gioia? Di solito
ce la caviamo così: “sono (molto) contento per te”. Lo si è veramente, in ogni
caso? come si realizza un “ascolto autentico” e come esprimere in modo sincero
la nostra sincera condivisione della gioia che l’altro ci comunica? E non si ha
forse la sensazione che qualche persona consacrata si trovi più a suo agio a un
funerale, dove ci sono persone da sostenere e consolare, che non a una festa di
nozze, dove la gioia degli invitati potrebbe eccedere e mettere in imbarazzo?
L’esempio di Gesù è sempre attuale...
– Gioia e sorriso. «Il vestito di un uomo, la bocca
sorridente e la sua andatura rivelano quello che è» (Sir 19,27) Il sorriso è
un’espressione tipica di una sensazione di piacevolezza e di gioia. «Un bel
sorriso è un dono del cielo, ma è soprattutto un’arte da conquistare con
pazienza e impegno. È l’arte di quanti sono animati dalla bontà e
dall’amore».13 Viene alla mente il beato papa Giovanni, il quale parlando di sé
affermava di non essere quello che si dice un bell’uomo, ma di avere
soprattutto due occhi e un sorriso.
Sorridere a una persona è farle un piccolo dono prezioso,
purché il sorriso proceda dall’anima e non sia quello che per convenienza
professionale si deve esibire o quello che sembra essere rimasto fissato in
modo stereotipato sul volto di certe persone (per educazione? come forma di
difesa?). Secondo un detto orientale, il sorriso che doni all’altro ti torna
indietro: la gioia suscita gioia. Il sorriso riflette un equilibrio interiore,
un’anima in pace, la ricerca e la sensibilità per i valori della vita: ecco
perché saper sorridere è legato anche a un lavoro paziente su di sé e allo
sforzo costante per alimentare il proprio animo alle fonti più autentiche della
gioia, che per noi cristiani sono quelle spirituali.
TESTIMONIARE
LA GIOIA
Saper sorridere è dunque un altro nome che può assumere
la carità all’interno della comunità religiosa e può contribuire a togliere
quell’atmosfera piuttosto cupa o tesa che a volte si coglie in certi ambienti
religiosi.
Avere persone contente in comunità è una fortuna non da
poco, è un dono di Dio; al contrario, le persone che non sono contente di
nessuno (... e di cui nessuno è contento) non sono tranquille loro e non permettono
neppure agli altri di esserlo. È bene che una comunità religiosa rifletta
seriamente sull’importanza che il clima che regna al suo interno sia
caratterizzato da tonalità positive e segnato dalla gioia dello stare insieme,
cercando di interrogarsi seriamente quando ciò viene a mancare.
Una comunità religiosa dove è presente la gioia è anche
una preziosa testimonianza che edifica chi la guarda dall’esterno e può portare
dei giovani che amano la vita e desiderano goderla a interrogarsi se essa non possa
essere anche per loro un luogo dove poter vivere felicemente la loro esistenza.
«La testimonianza di gioia costituisce una grandissima attrazione verso la vita
religiosa, una fonte di nuove vocazioni e un sostegno alla perseveranza. È
molto importante coltivare questa gioia nella comunità religiosa: il
superlavoro la può spegnere, lo zelo eccessivo per alcune cause la può far
dimenticare, il continuo interrogarsi sulla propria identità e il proprio
futuro la può annebbiare... La gioia è una splendida testimonianza
dell’evangelicità di una comunità religiosa, punto di arrivo di un cammino non
privo di tribolazione, ma possibile perché sorretto dalla preghiera: “Lieti
nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rm
12,1)».
Arriviamo così alla conclusione a cui era già arrivato
Qoèlet: «Ho concluso che non c’è nulla di meglio per gli uomini che godere e
agire bene nella loro vita» (Qo 3,12).
Aldo Basso
1 Vita fraterna in comunità, n. 28.
2 Giovanni XXIII, «Ottima e reverenda madre», Lettere di
papa Giovanni alle suore, Bologna, Dehoniane, 1990, p. 97.
3 Summa
theologiae, II-II 114, a.2, ad primum.
4 Cf. S. Agostino, De civitate Dei, 14,6.
5 Paolo VI, Esortazione Apostolica Gaudete in Domino,
1975, n. 1.
6 Paolo VI, op. cit., n. 1.
7 Cf. Imitazione di Cristo, “La gioia di una coscienza
retta”, libro II, c. 6°.
8 Dio “non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per
prepararne loro una più certa e più grande”, Manzoni A., I Promessi Sposi, cap.
VIII.
9 Castellazzi V. L., La stanza della felicità, Milano, S.
Paolo, 2002, p. 31.
10 La vita fraterna in comunità, n. 50.
11 “Laeti bibamus sobriam ebrietatem Spiritus”: inno di
Lodi del lunedì (tempo ordinario).
12 Basso A., Quando la comunità fa festa: Malessere o
celebrazione?, in Testimoni 1(2002), pp. 5–7.
13 Il sorriso di cui abbiamo tutti bisogno, in La Civiltà
Cattolica, I (1994), Editoriale: p.