Assemblea nazionale Usmi 2005
UNA SPERANZAVISIBILE
Esplorati i percorsi
dell’interculturalità, dell’internazionalità, del dialogo interreligioso.
Dallo strumento di
lavoro, alle giornate assembleari,
al documento
post-assembleare. Le analisi storiche di Sorge, le “contorsioni statistiche” di
Brunetta, i segnali in atto di rifondazione di Prezzi.
Le circa quattrocento superiore generali e provinciali
italiane, in rappresentanza di circa 90.000 religiose, nella loro ultima
assemblea nazionale del 30 marzo – 1 aprile, svoltasi al centro congressi del
Parco dei Medici all’Eur di Roma, hanno provato a “rendere visibile la
speranza” attraverso l’individuazione di alcuni “percorsi di discernimento e di
riconciliazione”. Proprio durante i lavori congressuali si è abbattuta
sull’assemblea la notizia del serio aggravamento delle condizioni di salute di
Giovanni Paolo II, costringendo le religiose presenti a seguire le relazioni da
una parte e il continuo aggiornamento dei notiziari televisivi dall’altra.
Chi entrava nell’ampia sala dell’Holiday Inn aveva
l’immediata percezione di una continuità, non solo logistica, con il congresso
internazionale “Passione per Cristo. Passione per l’umanità”, svoltosi
nell’ottobre scorso all’Ergife di Roma. La continuità più vistosa era data dai
tavoli circolari attorno ai quali le congressiste condividevano le prime
riflessioni sulle relazioni ascoltate, favorendo in questo modo una più
immediata e diretta conoscenza reciproca fra di loro. Ma una continuità non
meno significativa era quella dello strumento di lavoro, elaborato,
diversamente dal solito, non dal consiglio di presidenza dell’Usmi, ma sulla
base dei risultati di due specifici forum a cui avevano direttamente
partecipato, in antecedenza, un numero considerevole di congregazioni
religiose.
Questo lavoro previo era stato espressamente voluto per
favorire poi, come era già avvenuto all’Ergife, una impostazione più
esperienziale dei lavori, uno scambio, un confronto, una integrazione e una più
concreta individuazione dei possibili cammini di vita consacrata per il futuro.
Ma la continuità più palese con il congresso internazionale, per certi versi,
si è avuta, anche forse senza volerlo, nella convergenza su alcuni temi
centrali dell’assemblea Usmi, da quello dell’intercongregazionalità e della
interculturalità a quello del dialogo interreligioso. Tanto valeva, forse, almeno
a nostro avviso, rifarsi più esplicitamente al tema di fondo del congresso
internazionale, verificarne le ri-cadute, a distanza di alcuni mesi, nel
contesto della vita consacrata femminile italiana e progettare a partire da
qui, come è già espressamente previsto nel programma della prossima assemblea
dell’unione dei superiori generali, il proprio cammino futuro.
SCAMBI TRA
CONGREGAZIONI
L’ultima assemblea Usmi si è volutamente posta, invece,
in stretta continuità con quelle degli anni precedenti, in particolare con
quella dello scorso anno, dove, attraverso tavole rotonde e alcuni forum, erano
stati affrontati tutti i complessi problemi dell’invecchiamento, dello scambio
intergenerazionale e interculturale, della mobilità etnica, ad intra e ad extra
del contesto culturale attuale.
Tentando di sintetizzare, sulla base anche dei contenuti
dello strumento di lavoro, le linee di orientamento della vita consacrata in
Italia, la presidente Usmi, madre Teresa Simionato, ha parlato, anzitutto, di
una «crescente apertura tra istituti». Di fronte alla sfida inarrestabile
dell’invecchiamento, alcuni dei percorsi più interessanti al riguardo sono
quelli offerti dagli scambi intercongregazionali, dai cammini di rifondazione
tra congregazioni sorelle, da percorsi formativi intercongregazionali «come
risposta ecclesiale ai bisogni del territorio, come condivisione e scambio di
esperienze per una pastorale in un territorio nazionale, ma multietnico e
multireligioso, come rete di solidarietà e di mutua collaborazione, in condizione
di precarietà circa le risorse a disposizione (persone, strutture, denaro…».
Il fenomeno dell’invecchiamento «è una realtà che sta
modificando la fisionomia delle nostre comunità e ci impone di assumere nuove
prospettive, una lettura più evangelica della vita. La ristrutturazione delle
opere e la pianificazione delle comunità non bastano, perché rispondono
principalmente agli equilibri tra servizi e risorse e non direttamente alla
qualità della nostra vita consacrata». L’elevato numero di religiose anziane,
infatti, «domanda a noi superiore di ripensare le comunità non in forza
dell’opera da sostenere, ma in forza di una vita consacrata da alimentare fino
alla fine, recuperando l’attenzione e la cura della vita nello Spirito, della
dimensione fraterna, del contatto semplice e feriale con il territorio, abitato
anche questo da molti anziani e da molti immigrati».
Ma l’ambito territoriale in cui le religiose sono oggi
chiamate a operare ha dimensioni sempre più internazionali e interculturali.
Basta guardare anche la semplice composizione di tante comunità religiose.
Purtroppo però, la presenza di consorelle provenienti da altri paesi e il loro
servizio all’interno delle rispettive congregazioni «sembra più legato a un
problema di ridistribuzione delle risorse che a dei progetti pastorali veri e
propri». Non si potrà parlare di vero dialogo e di vero scambio interculturale,
ha osservato la presidente Usmi, riprendendo in questo un Leitmotiv dello
stesso strumento di lavoro, se non «predisponendo con ogni sforzo che la
formazione iniziale delle giovani suore sia fatta nei loro paesi di
provenienza».
Non è possibile garantire una seria formazione al dialogo
interculturale e interreligioso senza un impegno serio di studio e di
conoscenza. «Noi sappiamo come sia difficile oggi nei nostri ambienti trovare
il tempo per lo studio, la formazione, la rilettura delle esperienze e la
condivisione comunitaria». Senza una formazione culturale e spirituale solida
non è assolutamente possibile «comprendere e farci comprendere dai nostri
contemporanei».
Sapendo di parlare a religiose italiane, madre Simionato
non poteva non fare un esplicito riferimento agli attuali orientamenti
pastorali della Chiesa italiana. Anche alle religiose viene chiesto di
affrontare sempre più convintamente le sfide della nuova evangelizzazione,
evitando di «restare inerti nel guscio di una comunità ripiegata su se stessa».
Anche le religiose dovrebbero essere sempre più convinte, che «una pastorale
tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità
cristiana non basta più».
IL RISCHIO
DI OPERE MUTE
I consacrati trovano la loro collocazione soprattutto
nell’esercizio dell’amore di Dio verso il prossimo. Purtroppo, però, è forte la
«sensazione di una presenza dei religiosi riconosciuta più significativa in
ambito operativo e sociologico che spirituale e carismatico». Non per nulla «la
gente oggi ci cerca principalmente per i nostri servizi, che sono una garanzia
sotto molti aspetti, più che per ascoltare parole di vita o vedere la nostra
vita».
Non è possibile eludere la sfida più forte di fronte alla
quale si trova oggi la vita consacrata, e cioè quella di ritornare al
fondamento della propria consacrazione, per evitare che «le nostre opere non
rimangano mute» e per superare nello stesso tempo un persistente atteggiamento
di contrapposizione tra vita spirituale e vita apostolica. Ciò che viene
chiesto oggi è un “cambio di mentalità”. Non è possibile parlare di “nuova
evangelizzazione” senza avere «il coraggio di mettere in questione noi stesse e
i nostri istituti, in un momento storico in cui non ci si può accontentare di
semplici ritocchi».
Se la fede nasce dall’ascolto della Parola e se solo lo
Spirito santo può aprire il cuore dell’uomo all’intelligenza della Parola, allora
è chiaro a tutti che questi “binari” del cammino di ogni cristiano diventano
dei “percorsi obbligati” per i religiosi. Dall’ascolto della Parola sarà ancora
possibile riscoprire il significato della vita fraterna e quello degli stessi
voti e comprendere il senso di un amore preferenziale per i poveri e per gli
ultimi. Questo amore preferenziale, ha precisato madre Simionato, «non è una
strategia pastorale, ma la condizione della sequela». I poveri non sono
“profit”. È questo il motivo per cui «non vengono raggiunti dal mondo
dell’economia, né da quello della comunicazione, ma dal Vangelo».
Solo partendo da un convinto “ritorno ai fondamenti” sarà
allora possibile avviare all’interno delle congregazioni religiose percorsi di
riconciliazione e di discernimento. «Non possiamo trascurare il fatto che
stiamo superando il tempo delle grandi opere e strutture, non solo perché siamo
ridotte di numero, ma perché la stessa società sta investendo molto per offrire
servizi sempre più adeguati». Ma mai come oggi «l’uomo, sempre più servito, si
riscopre senza senso dell’esistenza, senza un riconoscere la sua origine al di
fuori di sé e con l’orizzonte limitato». È esattamente in questo scenario che
viene richiesto alle religiose «di operare un attento discernimento spirituale,
cioè un discernimento compiuto da chi conosce il Signore non per sentito dire e
che lo segue non per forza d’inerzia, ma perché è stato afferrato da lui e
consegnato totalmente al Padre nello Spirito».
UNA RIFONDAZIONE
GIÀ IN ATTO
Alla relazione programmatica e di apertura della
presidente sono poi seguiti gli interventi dei quattro relatori ufficiali: tre
gesuiti Bartolomeo Sorge, Jean Louis Ska, Giuseppe Brunetta, e un dehoniano:
Lorenzo Prezzi. Padre Sorge, invitato a parlare di vita consacrata e dialogo
interculturale nella realtà multietnica di oggi, ha tentato un’ampia sintesi
storica degli ultimi decenni prima a livello universale, poi a livello europeo
e infine a livello italiano.
Come testimoniare, oggi, si è chiesto, la speranza
cristiana? Senza lasciarsi spaventare dalle tante forme di ostilità
storicamente sempre presenti nella vita della Chiesa, i cristiani sono chiamati
a essere testimoni credibili di un Dio liberatore, attraverso il duplice
percorso del dialogo interculturale, dal momento che «ogni cultura costituisce
un approccio al mistero dell’uomo e di Dio», e di quello interreligioso,
cercando di «offrire la testimonianza delle comuni convinzioni circa la dignità
dell’uomo creato da Dio». Su questi percorsi comuni si inseriscono quelli
specifici per la vita consacrata: formazione, comunione, impegno socioculturale
e contemplazione. Non basta contemplare il volto di Dio. Bisogna anche saperlo
mostrare con la propria vita agli altri.
Un invito alla contemplazione è venuto anche da padre
Ska, che si è rifatto alla “storia” di Giuseppe, per parlare dei “conflitti di
famiglia” dai quali si possono scoprire luci illuminanti per affrontare
percorsi di discernimento e di riconciliazione. Molto più concreta e meno
“contemplativa” è stata invece l’indagine statistica sulla via religiosa
femminile in Italia da cui è partito padre Brunetta.
Al termine delle sue “contorsioni statiche”, come le ha
chiamate lui stesso, ha avanzato la proposta della federazione e possibilmente
della fusione dei piccoli istituti caratterizzati da una sostanziale identica
ispirazione carismatica e da uno stesso impegno apostolico. Accennando alla
gravità del problema vocazionale, «che senso hanno, si è chiesto, i nomi di
tanti istituti religiosi per un’aspirante dei nostri tempi che vive un ambiente
che è quello che è?». Quali alternative, si è chiesto inoltre, si possono
offrire a quelle religiose che hanno ancora energie da spendere per la Chiesa?
Volendo, è facile trovarne non solo nel campo educativo, scolastico, assistenziale,
ma anche in quello pastorale. Perché non esplorare – facendo eventualmente
sentire la propria voce in materia! – tutte le possibili supplenze, ad esempio,
dei diaconi permanenti là dove, pur essendocene bisogno, non ve ne sono?
L’ultima relazione era quella affidata a padre Prezzi. A
lui era stato chiesto di enunciare degli spunti per un discernimento sull’oggi
della vita consacrata. Lo ha fatto sollecitando l’uditorio a un profondo
ripensamento della propria consacrazione a partire da una triplice polarità:
violenza e fortezza, disperazione e speranza, continuità e rifondazione. Ha
sorpreso non poche religiose presenti nell’evidenziare le innumerevoli forme di
violenza che, anche senza avvedersene, contrappuntano quotidianamente la vita
consacrata di tante nostre comunità.
Se a volte non mancano situazioni di vera e propria
disperazione, si è forse oggi meno attenti a tanti segni di speranza. Oggi, la
riaffermazione della speranza dentro la vita religiosa è forse la «prova più
discreta dell’esistenza di Dio». Basta aprire gli occhi sulle nuove e spesso
piccole comunità in cui si praticano i consigli evangelici e si adotta la vita
comune. Basta saper dare, spesso, più fiducia ai giovani. «Dovremo forse
interrogarci di più non perché i giovani e le giovani non vengono a noi, ma
perché vengono e quali sono le loro caratteristiche». Una sincera risposta a
questi e a tanti altri problematici interrogativi porta inevitabilmente a una
seria riflessione sul tema della rifondazione.
Parlare di rifondazione significa parlare di crisi della
vita consacrata, che spesso si configura come «una crisi di fede e di senso».
Sempre più diffusamente manca oggi «la sufficiente esperienza di Dio che
sostenga un progetto di vita e che ne garantisca il frutto». Ciò che manca oggi
«è la presenza dello Spirito, soffocata dalle consuetudini, dai perbenismi
ecclesiastici, dai piccoli interessi personali, dall’insufficienza della stessa
teologia».
Già oggi è facile intravedere dei segnali di rifondazione
là dove si ritorna alle fonti, dove si tenta la riformulazione del carisma e
della spiritualità, dove si vive il processo di inculturazione del proprio
carisma, dove si sa accettare la diversità. Ma i segnali più profondi e dai
quali non si potrà prescindere, crediamo, nella stesura del documento finale
post assembleare preannunciato dalla presidenza Usmi, sono soprattutto quelli
della nuova rilevanza della Parola, della centralità della vita fraterna, della
cura di tutte le vocazioni ecclesiali, della collaborazione con i laici, del
sistema di governo.
Vi sono naturalmente anche molti altri segni di
rifondazione: dalla missio ad gentes, al servizio dei poveri, ai processi di
inculturazione, alle presenze comunitarie interprovinciali e internazionali, ai
nuovi servizi ministeriali. La rifondazione, ha concluso Prezzi, «non è un
gesto di volontarismo. È un processo già in atto. La fedeltà allo Spirito saprà
condurre ciascun carisma al proprio frutto».
Angelo Arrighini