LA SCOMPARSA DI GIOVANNI PAOLO II

È STATO UN FARO DI LUCE

 

Per oltre 26 anni ha guidato la Chiesa nella fedeltà a Cristo e al Vangelo, in piena coerenza con gli orientamenti dottrinali e pastorali del concilio. In varie circostanze ha contribuito a imprimere una svolta alla storia del mondo. Per la vita consacrata è stato un infaticabile animatore e un sicuro punto di riferimento.

 

«Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (2Tm 4,7): Giovanni Paolo II se n’è andato così da questo mondo, dopo 26 anni e mezzo di pontificato, la sera del 2 aprile, circondato dall’affetto di una folla immensa di persone, di ogni razza e religione, in ogni parte del mondo. Il suo è stato il terzo pontificato più lungo della storia come numero di anni, dopo quello di Pietro e di Pio IX che aveva regnato per 32 anni, dal 1846 al 1878.

Le avvisaglie del lento approssimarsi della fine avevano cominciato a profilarsi già da diverso tempo ed egli stesso ne era consapevole. Il 19 maggio del 2003, il giorno dopo il suo 83° compleanno, aveva detto: «Sempre più mi rendo conto che è più vicino il momento in cui mi dovrò presentare al cospetto di Dio con tutta la mia vita». La salute ormai precaria non gli aveva però impedito di compiere il suo centesimo viaggio internazionale (5 giugno 2003) rimanendo per cinque giorni in Croazia e di recarsi nel settembre successivo in Slovacchia, dove però non era riuscito a leggere il discorso che aveva preparato.

Il 18 maggio 2004 esce il suo libro Alzatevi, andiamo, che è un invito a risvegliare la nostra fede stanca e insieme per lui quasi un presagio della fine ormai vicina. Scrive: «È tempo ormai di alzarsi, di levare le tende». Poi il rapido succedersi degli avvenimenti di quest’anno, segnati dai due ricoveri d’urgenza al Gemelli, uno il primo febbraio e l’altro il 24 dello stesso mese. Quindi la fine.

Nonostante avesse una fibra robusta, durante il suo pontificato ha avuto molto da soffrire per motivi di salute. Sembra che il Signore, affidandogli il grave compito di pascere il suo gregge, abbia voluto renderlo partecipe fin dall’inizio della sua Passione e delle sofferenze della Chiesa e del mondo che gli era stato affidato. È questo un aspetto non secondario del suo lungo pontificato, almeno per chi sa leggere gli avvenimenti che l’hanno accompagnato alle luce della fede e del piano di Dio.

La sua salita al Calvario comincia ben presto: il 13 maggio 1981 è ferito gravemente all’addome e a una mano da Alì Agca e viene operato due volte. Di attentati alla sua persona, fortunatamente andati a vuoto, si parlerà altre volte, come quello avvenuto a Fatima, per mano di un ex sacerdote di Lefebvre e durante altri viaggi apostolici.

Ma mentre passano gli anni è ancora la sua salute a destare preoccupazione. Il 15 luglio 1992 viene operato, ancora al Gemelli, di un tumore (dicono “maligno”) all’intestino; nel novembre del 1993 cade lussandosi una spalla; il 29 aprile del 1994 cade nuovamente fratturandosi il femore destro: operato, rimarrà claudicante e per muoversi sarà costretto a usare un bastone e una pedana mobile: l’8 ottobre 1996 è operato di appendicite.

Poi la comparsa dell’insidioso morbo di Parkinson poco alla volta pregiudicherà ancor di più la sua salute, portandolo lentamente al declino. Nonostante tutte queste vicende e le complicazioni che ne sono derivate, non si è mai risparmiato un giorno. I calcoli dicono che egli ha trascorso ben 177 giorni all’ospedale. La sua forte volontà e la consapevolezza della sua missione gli hanno consentito di seguire in piena lucidità la vita della Chiesa fino alla fine.

 

HA GUIDATO LA CHIESA

AL NUOVO MILLENNIO

 

Non è facile e non lo sarà per nessuno riuscire a cogliere tutta la grandezza di questo pontefice, non solo per l’immensa attività svolta, ma per ciò che egli ha rappresentato per la Chiesa e il mondo nel corso di quasi 27 anni di pontificato. Succeduto a Paolo VI, al quale era stato affidato il compito di concludere il concilio e di avviarne l’attuazione, si è trovato a guidare una Chiesa in pieno clima postconciliare con tutte le spinte e le controspinte che la caratterizzavano. Bisognava continuare sullo slancio di quella “nuova Pentecoste” preconizzata da Giovanni XXIII, e nello stesso tempo affrontare, nella fedeltà al Vangelo e alle linee tracciate dal concilio, i nuovi grandi problemi e le realtà che si stavano profilando nella Chiesa e nel mondo, con interrogativi che al tempo del concilio ancora non esistevano e a cui bisognava pertanto dare nuove risposte.

Era asceso al soglio pontificio il 16 ottobre 1978. Pochi mesi dopo, il 4 marzo 1979 pubblica l’enciclica Redemptor hominis, la prima di un trittico dedicato alla Trinità; a essa infatti seguiranno nel 1980 la Dives in misericordia, su Dio, Padre misericordioso e, nel 1986, la Dominum et vivificantem, sullo Spirito Santo. A queste tre se ne affiancheranno altre undici, tra cui la Redemptoris mater (1987), per l’anno mariano, che è una riflessione di fede sul cammino della Madonna; la Sollicitudo rei socialis (1987)¸ nel ventesimo anniversario della Populorum progressio di Paolo VI), la Redemptoris missio (1990) a 25 anni dalla conclusione del concilio in cui riafferma con forza tutta la validità del mandato missionario della Chiesa, messo in crisi da alcune teorie che serpeggiavano qua e là; quindi la Veritatis splendor circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa (1993) e l’Evangelium vitae (1995) che è tutta una celebrazione del valore della vita umana, nella quale egli affronta nuovi gravi problemi morali come l’aborto, l’eutanasia, la pena di morte e le manipolazioni genetiche, chiedendo che si crei una strategia internazionale a difesa del “diritto alla vita” non solo da parte dei cattolici, ma di tutti gli uomini di buona volontà.

Da segnalare anche la Ut unum sint del 1995 sulla promozione dell’unità della Chiesa, e la Fides et ratio del 1998, in occasione dei vent’anni del suo pontificato, in cui auspica l’affermarsi di una filosofia forte che non rinunci a cercare risposte a domande autentiche: è un’esaltazione della ragione umana e delle sue capacità speculative, in grado di portare verso l’Assoluto e di essere anche luogo di dialogo tra credenti e non credenti. Infine l’ultima, la Ecclesia de Eucharistia, dell’aprile 2003, sul rapporto tra Eucaristia e la Chiesa, seguita, in data 7 ottobre 2004, dalla lettera apostolica Mane nobiscum Domine per l’indizione dell’anno dell’Eucaristia (ottobre 2004-ottobre 2005).

Le altre due encicliche sono la Laborem exercens (1981) sul lavoro umano, nel 90° anniversario della Rerum novarum e la Slavorum apostoli (1985) nel ricordo dell’opera evangelizzatrice dei santi Cirillo e Metodio a distanza di undici secoli.

Alle 14 encicliche bisogna aggiungere 15 esortazioni apostoliche, 11 costituzioni apostoliche e 45 lettere apostoliche, oltre le catechesi proposte nelle udienze generali e le allocuzioni pronunciate in ogni parte del mondo. Tra le lettere apostoliche ci sembra doveroso ricordare soprattutto la Mulieris dignitatem sulla la dignità della donna e la sua vocazione, emanata il 15 agosto 1988, solennità dell’Assunzione di Maria, a cui si affiancherà più tardi la Lettera alle donne, del 29 giugno 1995, in cui lancia un «appello accorato, perché da parte di tutti, e in particolare da parte degli stati e delle istituzioni internazionali, si faccia quanto è necessario per restituire alle donne il pieno rispetto della loro dignità e del loro ruolo».

Infine le esortazioni apostoliche tra cui la Familiaris consortio, laChristifideles laici, e le altre che raccolgono i frutti delle varie assemblee ordinarie e speciali dei vari sinodi dei vescovi. Per noi religiosi, la Redemptionis donum (1984) in cui descrive tutta la grandezza della vita consacrata alla luce del mistero della redenzione e Vita consecrata (1996) a conclusione del sinodo ordinario dei vescovi (1994) sul tema Vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo.

Momenti particolarmente intensi per la vita della Chiesa universale e delle chiese locali sono le assemblee generali del sinodo dei vescovi (6 durante il suo pontificato) e le assemblee speciali per i vari continenti (7 in tutto, oltre a un’assemblea straordinaria, del 1985, per il XX della conclusione del concilio Vaticano II e un sinodo particolare per i Paesi Bassi (1980).

È un magistero quello di Giovanni Paolo II che spazia a tutto campo e va al cuore dei problemi, sviluppato poi nei suoi viaggi/pellegrinaggio in cui traduce i grandi principi in orientamenti e linee pastorali proporzionate alle varie chiese particolari.

Ma l’attenzione alla vita della Chiesa non lo distoglie dai gravi problemi di un mondo in continua evoluzione. Il punto di riferimento e il criterio di ogni scelta rimane per lui sempre l’uomo e la sua inalienabile dignità: in questa luce egli affronta i problemi riguardanti la pace e la guerra, la giustizia, le povertà, le malattie e soprattutto i problemi etici di fronte alla sopraffazione di una cultura materialista e di morte sempre più diffusa nel mondo.

Strenuo difensore della vita fin dai suoi inizi, condanna tutto ciò che può pregiudicarla, compresa l’eutanasia. Afferma che all’embrione deve essere dato un riconoscimento giuridico “anzitutto nel suo fondamentale diritto alla vita”. Difende la famiglia contro tutti gli attacchi disgregatori di una cultura edonistica, sciolta da ogni vincolo morale.

È costantemente attento anche ai problemi relativi alla modernità e alla postmodernità, all’ateismo pratico e il progressivo allontanarsi di tanti cristiani dalla fede, alla crisi delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, alle derive di certe frange della teologia... e segue con apprensione e sofferenza la dolorosa vicenda dello scisma di Lefebvre, ferita non più risanata, nonostante tutti gli sforzi compiuti.

 

L’ECUMENISMO

UN SOGNO INCOMPIUTO

 

Un capitolo a parte meriterebbero lo straordinario interesse di Giovanni Paolo II per l’ecumenismo e l’unità della Chiesa e tutte le innumerevoli iniziative di studio, incontro e dialogo da lui promosse in questo campo.

Oltre che seguirne e incoraggiarne gli sviluppi, all’ecumenismo ha dedicato anche l’enciclica Ut unum sint, in cui tra l’altro, consapevole che per le altre chiese uno degli ostacoli sul cammino ecumenico è lo stesso papato, chiedeva a esse di aiutarlo a «trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova» (95).

Purtroppo dopo i tanti passi incoraggianti e i notevoli progressi compiuti, tante promesse non sono state mantenute, anzi in questi ultimi anni sull’ecumenismo è calato un certo grigiore che ha indotto alcuni a parlare di un “inverno ecumenico”.

Certamente una delle sue delusioni maggiori è stata l’impossibilità di poter recarsi a Mosca a incontrare il patriarca Alessio, per le ragioni che conosciamo; una sofferenza che egli ha portato con sé nella tomba.

Ma oltre che con le chiese cristiane, il papa ha cercato quasi con ostinata tenacia il dialogo anche con le altre religioni, vedendo in esso lo strumento più efficace per vincere le diffidenze reciproche, ereditate dal passato, e costruire insieme un mondo di pace e di fraternità universale. Non quindi scontro di religioni e di civiltà, non guerre, bensì dialogo.

Memorabili soprattutto alcuni momenti, come lo storico incontro con le altre religioni del 27 ottobre 1986 ad Assisi, per pregare per la pace; incontro riproposto poi nel gennaio del 2002 ancora ad Assisi; inoltre la visita (13 aprile 1986) alla sinagoga ebraica di Roma (primo papa ad entrare in una sinagoga) in cui chiama gli ebrei “fratelli maggiori”, e il suo viaggio a Gerusalemme (26 marzo 2002), durante il quale visita il museo dell’olocausto e mette nella fessura del Muro del pianto un foglio in cui chiede perdono di tutte le offese recate dai cristiani agli ebrei; inoltre la memorabile visita alla moschea di Damasco nel 2002 in cui incontra i capi musulmani del luogo. E come non ricordare la richiesta di perdono, nel contesto del giubileo per le colpe commesse dai figli della Chiesa nel lungo corso della storia?

 

HA CONTRIBUITO

A CAMBIARE IL MONDO

 

Quando Giovanni Paolo II salì al trono pontificio, il mondo era ancora pericolosamente diviso tra est e ovest e il clima di guerra fredda dominava i rapporti a livello planetario. Sul mondo gravava l’incubo della guerra atomica. Aveva conosciuto di persona in Polonia gli effetti nefasti del marxismo, questa “tragica utopia” come ebbe a definirla. Era convinto che fosse un’ideologia nemica della fede e di conseguenza della verità e dell’uomo, pur riconoscendo che anche in essa c’erano dei “semi di verità”. Determinante fu il suo contributo, senza spargimenti di sangue, al crollo del muro di Berlino, come ebbe a riconoscere lo stesso Gorbaciov. Anche Walesa, leader di Solidarnosc, il primo sindacato libero del mondo comunista, ha riconosciuto che senza il papa il suo movimento sarebbe stato represso nel sangue. Si può dire, senza esagerazioni, che è stato un papa che ha contribuito a cambiare la storia.

Purtroppo la caduta del muro di Berlino e l’instaurarsi nel mondo di regimi neoliberali hanno lasciato campo libero a nuove discriminazioni che tendono sempre più ad allargare il fossato tra i ricchi e i poveri. Il papa ha ripetutamente messo in guardia anche contro i rischi di una globalizzazione intesa come “una nuova versione del colonialismo”, fautrice di nuove ingiustizie. La sua attenzione è rivolta soprattutto ai paesi dove regna la povertà, in particolare al continente africano, devastato dalle guerre e dalle malattie, e a tutte le categorie dei poveri e degli emarginati su cui si scaricano le nefaste conseguenze del nuovo ordine internazionale, dominato unicamente dalla logica del profitto e del mercato. Incessanti sono stati i suoi appelli, purtroppo il più delle volte inascoltati, affinché siano adottati tutti i mezzi per risolvere queste terribili situazioni, fautrici di nuove guerre.

Riferendosi alla tragica situazione israeliana-palestinese afferma che «il Medioriente ha bisogno di ponti e non di muri”.

Una spina nel suo cuore è stato di veder sorgere un’Europa che ignora le sue radici cristiane. Fin dagli inizi del suo pontificato egli aveva auspicato un’Europa capace di respirare a due polmoni e si era fatto appassionato promotore di questo sogno. Perciò il suo profondo rammarico per come sono andate le cose: più volte ha dichiarato: «Non si tagliano le radici dalle quali si è nati».

 

LA NOSTRA RICONOSCENZA

COME RELIGIOSI/E

 

Una riconoscenza tutta particolare noi religiosi/e dobbiamo a questo papa che durante tutto il suo pontificato non ha mai cessato di esaltare e sostenere la nostra vocazione nella Chiesa e nel mondo e di essere per essa un sicuro punto di sostegno e di riferimento spirituale e dottrinale. A essa ha voluto dedicare anche un’assemblea ordinaria del sinodo dei vescovi, da cui ha tratto i contenuti dell’esortazione apostolica Vita consecrata (marzo 1996), che continua a essere una fonte di sicura ispirazione. Diversi anni prima, nel 1984, aveva scritto anche l’esortazione apostolica Redemptionis donum (marzo 1984), una meditazione teologico-spirituale sul rapporto tra la vita religiosa e il mistero della redenzione e un’esaltazione della bellezza della consacrazione religiosa da cui deve derivare “quell’amore che nel Cuore di Cristo è redentivo e insieme sponsale» e «la gioia di appartenere esclusivamente a Dio e di essere un’eredità particolare della SS.ma Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo».

Sua è anche la lettera ai vescovi degli Stati Uniti (aprile 1983), in occasione dell’anno santo straordinario, con cui introduce il documento della Congregazione per la vita consacrata, Elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa sulla vita religiosa (1983). Nel corso dei 26 anni del suo pontificato sono stati emanati anche altri importanti documenti da parte della medesima congregazione: ricordiamo tra gli altri Dimensione contemplativa della vita religiosa (1980); la Vita fraterna in comunità (1994) e quello più recente, ispirato alla lettera apostolica del papa Novo millennio ineunte, pubblicata al termine del giubileo del 2000, Ripartire da Cristo.

Costanti sono state inoltre le udienze concesse ai vari istituti, soprattutto in occasione dei loro capitoli, e altrettanto regolari gli incontri con i religiosi/e durante i suoi viaggi apostolici in ogni parte del mondo. Da uno studio comparato dei discorsi pronunciati in queste circostanze si potrebbe ricavare una specie di ricca Summa del suo pensiero teologico e spirituale sulla vita consacrata. Mai comunque la vita religiosa, nella sua lunga storia, ha avuto tanta abbondanza di dottrina e tanto sostegno come durante questo pontificato.

Un particolare da sottolineare è che Giovanni Paolo II non ha mai condiviso gli allarmismi e quel diffuso pessimismo che in questi anni non ha fatto altro che parlare di crisi. La sua è sempre stata una parola di fede e di incoraggiamento. Di questo gliene siamo infinitamente grati.

Ora egli se n’è andato dopo aver combattuto la sua buona battaglia che non è stata, come direbbe Paolo, «contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Ef 6,12).

Al mondo d’oggi lascia la consegna che aveva lanciato all’inizio del suo pontificato: «Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo».

Alla Chiesa rinnova l’invito contenuto nella Novo millennio ineunte: «Duc in altum! Questa parola risuona oggi per noi, e ci invita a fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro: Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre!» (Eb 13,8).

A noi religiosi/e ripete ciò che aveva scritto nella Redemptionis donum: «Che l’uomo dei nostri tempi trovi nella vostra testimonianza sostegno e speranza. Possa il mondo del nostro tempo... ricevere la buona novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati..., ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia di Cristo».

 

A. Dall’Osto