MALINCONIA
E DEPRESSIONE NELLA VC
IL MALE
DEL SECOLO
Le mura del convento non sono
invalicabili per il male del secolo. Di fronte ad esso persone e comunità sono
messe in questione sullo spessore di umanità che le caratterizza,
sull’attenzione alla persona e sulla qualità della vita spirituale.
Nell’esortazione
apostolica “Evangelica testificatio” (29 giugno 1971) Paolo VI scriveva così:
«Questo mondo, oggi più che mai, ha bisogno di vedere in voi uomini e donne,
che hanno creduto alla parola del Signore, alla sua risurrezione e alla vita
eterna, fino al punto di impegnare la loro vita terrena per testimoniare la
realtà di questo amore, che si offre a tutti gli uomini. La Chiesa non ha
cessato, nel corso della sua storia, di essere vivificata e rallegrata da tanti
santi religiosi e religiose che, nella diversità delle loro vocazioni, furono
testimoni viventi di un amore senza limiti e del Signore Gesù. Questa grazia
non è per l’uomo d’oggi come un soffio vivificante venuto dall’infinito, come
una liberazione di sé, nella prospettiva di una gioia eterna e assoluta? Aperti
a tale gioia divina, rinnovando l’affermazione delle realtà della fede, e
interpretando cristianamente alla loro luce le necessità del mondo, vivete
generosamente le esigenze della vostra vocazione...» (53).
Ci pare
che non ci sia premessa più appropriata di questa per introdurci nel seguente
“Speciale”, anche in vista della Pasqua che è festa di gioia e di risurrezione
e dove non ci dovrebbe essere posto, almeno nella vita di un consacrato, per la
malinconia e la depressione.
Malinconia
e depressione – che spesso nel linguaggio comune sono usati indebitamente come
sinonimi – sono forme di sofferenza che rientrano nei disturbi dell’umore, che
in questi casi risulta alterato in modo più o meno accentuato e per periodi più
o meno lunghi.
Sull’argomento
si è scritto molto: nella riflessione che segue il tema viene affrontato avendo
presente la situazione della vita sacerdotale e religiosa. Rispetto a queste
forme di sofferenza non ci sono immunità o privilegi per le persone consacrate.
Non solo: la loro particolare condizione di vita talvolta può accrescerne la
sofferenza.
LA VITA
IN RIVOLTA
CONTRO
SE STESSA
Sulla
malinconia ha scritto pagine profonde R. Guardini,1 il quale la sperimentò
personalmente – e in certi momenti, acutamente – per tutta la sua vita. Egli
afferma che la malinconia consiste in un’oppressione dello spirito. L’esistenza
del malinconico può essere ferita profondamente: «La vulnerabilità... nasce da
una sensibilità di tutto l’essere, condizionata a sua volta dalla complessità
interna delle disposizioni. Persone semplici non diventano, mi sembra,
malinconiche... Quel che ferisce è per l’appunto quel che nella vita vi è di
ineluttabile; la sofferenza diffusa dovunque; la sofferenza degli inermi e dei
deboli; la sofferenza degli animali, della creatura muta... Il fatto che non vi
si può cambiare nulla, che non si può toglierla di mezzo. Così è e così sarà. È
qui che sta la gravità della cosa. Feriscono le miserie dell’esistenza, ferisce
il fatto che sia molto spesso tanto brutta, così piatta...».2
Nella
malinconia una persona rischia di diventare autodistruttiva, avverte la
tentazione di lasciarsi andare a picco. «Fa parte del quadro spirituale del
malinconico l’impulso a tormentare se stesso»;3 egli è portato a tenersi
lontano dalla gente e non si sente a suo agio che quando è solo. «Qui sta
soprattutto l’enigma della malinconia: in una rivolta della vita contro se
stessa».4 Un’indole malinconica è particolarmente sensibile ai valori, ma con
la sua tendenza all’autodistruzione si serve proprio di essi come dell’arma più
pericolosa da usare contro se stessa: la sua sensibilità è la sua sofferenza.
Malinconia vuol dire connessione con l’oscuro fondo dell’essere: l’uomo
malinconico è più profondamente in rapporto con la pienezza dell’esistenza.
Desiderio
di assoluto collegato con la profonda consapevolezza che tutto è vano;
desiderio di amore; desiderio di bellezza infinita, commisto con il sentimento
della transitorietà delle cose, della propria manchevolezza e quindi con
l’inconsolabile mestizia e inquietudine che sopravvengono: tutto questo è la
malinconia. «Per conto mio, io credo che, di là da qualsivoglia considerazione
medica e pedagogica, il suo significato sta in questo che è un indizio
dell’esistenza dell’assoluto. L’infinito testimonia di sé, nel chiuso del
cuore. La malinconia è espressione del fatto che noi siamo creature limitate,
ma viviamo porta a porta con... – ebbene sì, abbandoniamo alla fine il termine
troppo prudenziale e astratto, di cui ci siamo serviti sinora: il termine di
‘assoluto’; scriviamo, al suo posto, quello che solo si addice: – viviamo porta
a porta con Dio. Siamo chiamati da Dio, eletti ad accoglierlo nella nostra
esistenza. La malinconia è il prezzo della nascita dell’eterno nell’uomo. Forse
sarà meglio dire: in determinate persone; determinate, destinate a sperimentare
più profondamente tale vicinanza, la pena di tale nascita le quali innanzitutto
sperimentano ciò che è puramente naturale e umano... Il vero significato [della
malinconia] non si rivela se non attraverso lo spirito. E mi pare che lo si debba
formulare così: la malinconia è l’inquietudine dell’uomo che avverte la
vicinanza dell’infinito. Beatitudine e minaccia a un tempo».5 Non è difficile
avvertire in diversi salmi l’eco di questa malinconia che prende l’uomo
biblico, quando considera la bellezza unita alla precarietà di tutto ciò che
esiste e vive nella nostalgia di Dio.
Da
notare la sottolineatura che fa Guardini circa la particolare sensibilità delle
persone malinconiche per i valori, soprattutto morali e religiosi: nelle nature
malinconiche la volontà di purezza e perfezione, la dedizione alla santità, il
desiderio di accogliere nella propria vita il divino, lo sforzo di realizzare
il regno di Dio possono acquistare un aspetto impossibile, senza un legame
realistico con le forze e le condizioni concrete della persona, possono portare
a forme di terrori e disperazioni, sino alle forme più estreme. Le persone
consacrate sono particolarmente sensibili ai valori religiosi: questa loro
sensibilità potrebbe facilitare, in qualche caso, un’inclinazione alla
malinconia?
Se
questa è intimamente connessa con le profondità della nostra essenza umana, e
quindi in quanto tale può essere ‘normale’ sperimentarla, la depressione è
invece un disturbo dell’umore: in un quadro di normale funzionalità psichica
non dovrebbe essere presente (almeno nelle sue forme più accentuate e acute).
Se la malinconia è una sofferenza ‘normale’, la depressione ha un carattere
‘patologico’, anche se occorre precisare subito che essa può manifestarsi in
forme che vanno dalle più comuni e ‘normali’, che non preoccupano più di tanto,
a quelle più accentuate e tali che interferiscono anche seriamente con le
funzioni psichiche di un soggetto. L’origine dei due stati psichici è diversa,
anche se spesso è impossibile distinguere chiaramente tra cause di tipo
‘esistenziale’ e cause che presentano un carattere contingente e maggiormente
circostanziato. Conseguentemente, anche le indicazioni che si possono dare per
affrontare queste forme di ‘tristezza’ saranno diverse a seconda che si tratti
di persone inclini alla malinconia o di persone che sono finite nelle spirali
dolorose della depressione (la psicoanalisi, ad esempio, può aiutare a curare
le forme depressive, ma è di scarso o nessun valore per trattare la malinconia,
così come sopra è stata descritta).
UNA
TRISTEZZA
PATOLOGICA
Variazioni
dell’umore (la depressione rientra in questa categoria) sono comuni a ogni
persona. Sorge subito, quindi, spontanea una domanda: in quali momenti della
nostra vita possiamo ritenerci normali nel variare del nostro umore e quando
invece la nostra tristezza è una sofferenza patologica?
La
risposta sicura non c’è; si può comunque offrire un criterio generale: è lecito
parlare di malattia quando non si è capaci di risposte affettive ed emotive
flessibili e adeguate alle varie situazioni o la risposta affettiva non è in
sintonia con i fatti e le situazioni, quando il tono dell’umore rimane come
bloccato verso l’alto o verso il basso, anche se non necessariamente secondo
modalità particolarmente vistose.
Segni e
sintomi di depressione
La
depressione è un fenomeno complesso, così chiamata perché caratterizzata
dall’umore depresso, dal pessimismo, da ricorrenti pensieri di morte, dalla
perdita di reattività a stimoli abitualmente piacevoli. Se può capitare che una
persona soffra “per un dolore che viene”, nel caso della depressione si soffre
“per il piacere che se ne va”. Qualcuno l’ha descritta come “il disgusto di
vivere e l’impossibilità di morire”.
Tenendo
conto di tale caratterizzazione di fondo, alcuni segnali e sintomi che sono
stati riscontrati con una certa frequenza nelle persone consacrate sofferenti
di depressione sono i seguenti: forme accentuate di aumento o di perdita di
appetito; mancanza di energia e di entusiasmo; disturbi del sonno; difficoltà
nella concentrazione e nella preghiera; abuso di alcol. In particolare, si è
riscontrato:
– nelle
donne (si ammalano di depressione più frequentemente rispetto agli uomini):
irritabilità; rimanere appartate; pianto; stanchezza; trascuratezza nell’osservanza
degli impegni quotidiani; poca stima di sé;
– negli
uomini: chiusura e ripiegamento su se stessi; poca stima di sé, che si
manifesta nell’incapacità di prendere decisioni e assumere iniziative; buttarsi
nell’attività senza però essere realmente produttivi; sentirsi impari e
sopraffatti di fronte a compiti che precedentemente si affrontavano
normalmente; trascurare o cessare del tutto attività piacevoli o qualche tipo
di divertimento.
Cause
della depressione
Alcune
forme di depressione sono legate a eventi della propria vita (ad esempio:
perdita di una persona cara) e alle strategie inefficaci con le quali
affrontiamo le situazioni stressanti. In generale, gli studiosi affermano che
vi è una miscela di aspetti genetici ed eventi di vita, cause ereditarie e
prime esperienze affettivo-relazionali, cause organiche e modalità di
costruzione del proprio sé. Avviene così che ognuno di noi si costruisce la
propria soglia di vulnerabilità, in base alla quale affrontiamo la vita.
Depressione
e sensazione di perdita risultano spesso collegate. Afferma W. Trobisch: «Alla
radice della depressione c’è la sensazione di aver perduto qualcosa. Possono
esserne la causa circostanze esterne: perdita di beni materiali, perdita della
salute, perdita di una persona amata, perdita di fiducia, perdita del rispetto
per se stessi a causa di una colpa, perdita di capacità, forse in conseguenza
dell’età avanzata. Si reagisce a questa esperienza con la tristezza,
l’autocompassione, la disillusione, l’invidia, la vergogna e il disprezzo di
sé. Tutti questi sentimenti confluiscono, come ruscelli, nel fiume del senso
generale di depressione».6 Lo stesso autore sottolinea in particolare – e in
ciò si trova d’accordo con Guardini e con altri esperti conoscitori dell’animo
umano – il legame che esiste tra accettazione di sé e depressione. La persona
depressa è molto spesso persuasa di essere da meno degli altri, di non essere
nulla, di non sapere nulla. Si tratta di una convinzione a priori, non dovuta
al fatto di aver subito particolari insuccessi. «Nella fenomenologia della
depressione, una maggiore o minore perdita dell’autostima sta in primo piano».7
Come già
ricordato, si possono incontrare anche consacrati che soffrono di depressione.
Le cause possono essere quelle comuni a tutte le persone, ma alcune di esse
possono essere maggiormente associate al loro particolare stato di vita.
A volte
la forte spinta al perfezionismo, nel campo morale, può portare la persona
consacrata a una sensazione di grande spossatezza, quando prende coscienza
dell’inutilità dei propri sforzi nel cercare di superare particolari situazioni
negative o forme di dipendenza da comportamenti ritenuti peccaminosi.
L’immagine di sé va in crisi e la persona può sentirsi prigioniera di
angoscianti sensi di colpa e di depressione.
La
depressione può insorgere anche in seguito al cambiamento di comunità: subentra
un forte senso di spaesamento, si è sopraffatti da una profonda solitudine
affettiva dovuta al fatto che non si è più circondati da persone amate.
Allo
stesso modo si possono sperimentare sentimenti depressivi in seguito alla
perdita di un incarico, al pensionamento, alla cessazione di un’incombenza
particolare, la quale può essere anche pesante da assolvere (come ad esempio
assistere giorno e notte una persona gravemente malata). Strano per quanto ciò
possa sembrare, ma è così: finché si è pressati da impegni e oberati da lavoro
si è immuni dalla depressione, la quale invece ci assale nel momento in cui il
peso è tolto, la méta raggiunta, la battaglia vinta, l’esame superato. Si è
pressati dai continui impegni quotidiani e non si vede l’ora che arrivi il
giorno di riposo; arriva poi la festa... e si cade in depressione.
Anche la
prolungata inattività, l’ambiente comunitario caratterizzato da una vita
monotona e senza novità di rilievo, la mancanza di significative
responsabilità, le giornate trascorse nello svolgimento di attività futili – o
comunque senza significato per chi le compie – possono portare la persona
consacrata a stati depressivi.
La
depressione può manifestarsi anche in una persona consacrata la quale, già un
po’ avanti negli anni, va prendendo coscienza di aver compiuto una scelta di
vita sbagliata: la nostalgia per quanto avrebbe potuto godere in un’altra forma
di vita e, nello stesso tempo, la consapevolezza di non potere o di non avere
sufficienti forza e coraggio per cambiare vita possono procurare tristezza e
depressione diffusa e prolungata.
La
depressione può presentarsi, in certi casi, senza cause apparenti, assalendo a
poco a poco la persona dall’interno. Si manifesta con irrequietezza o con
inerzia passiva, viene meno la volontà di fare, si è presi da tormentose
autoaccuse e da esagerati sensi di colpa, si avverte un prepotente bisogno di
affetto e intimità, ma nello stesso tempo si evita l’incontro con gli altri e
si cerca, come un animale ferito, una ‘tana’ dove ritirarsi.
A volte
una profonda tristezza, dalla quale riesce poi difficile liberarsi anche per
lunghi periodi, sorge in concomitanza di feste o ricorrenze particolari, o
semplicemente alla vista di una scena che ci tocca in modo del tutto speciale
(ad esempio un genitore che gioca con il suo bambino, o due persone che si
scambiano gesti di tenerezza). Il nostro cuore sembra conservare anniversari
segreti, vissuti con profonda nostalgia e trascorsi in rassegnata mestizia.
Riconoscere
la depressione
Come si
sottolinea nella letteratura dedicata a questo problema, i soggetti che
soffrono di depressione sono spesso non diagnosticati come tali, oppure non
ricevono un trattamento adeguato e mirato per la loro particolare sofferenza.
«La lotta alla depressione è in gran parte problema di informazione».8 Sembra
che vi siano almeno tre motivi per cui la diagnosi di depressione in diversi
casi non viene fatta oppure è ritardata: la tendenza a sottovalutare il
problema da parte dei famigliari o dei superiori (“se si sforza, ce la fa...”;
“non vuole ascoltare nessun consiglio...”), il pregiudizio culturale (“io non
sono matto, non è proprio il caso che debba andare dallo psichiatra”) e la scarsa
preparazione di alcuni medici di base (con la conseguente prescrizione di un
trattamento farmacologico non adeguato).
Anche
quando si tratta di persone consacrate che soffrono di qualche forma di
depressione, ascoltando la loro storia si scopre che parecchie di esse soffrono
da diversi anni senza che sia stata fatta una diagnosi appropriata e prescritto
un trattamento conseguente. In certi casi l’abuso di alcol o altre forme di
comportamento dipendente hanno funzionato come una specie di “autorimedio” per la
depressione.
DEPRESSIONE
IN
CONVENTO
Facendo
riferimento alla vita religiosa, dobbiamo prendere atto che vi è più di un
motivo che induce a pensare che questo tipo di vita, in qualche caso, possa
aumentare il rischio di una mancata diagnosi e di un trattamento inadeguato. Ne
richiamo qualcuno, rifacendomi alle considerazioni fatte al riguardo da L. M.
Saffiotti.
In molti
casi si nota la tendenza a interpretare situazioni di umore depresso o di
scarsa energia o di perdita di interesse per la vita collocandosi in una
prospettiva di tipo spirituale anziché di salute mentale: ciò si verifica
soprattutto in un contesto di direzione spirituale o di confessione, dove i
sintomi possono essere interpretati come segni di aridità spirituale e non
riconosciuti quindi come forme di vera depressione. Considerato in questo modo
il problema, non si va certamente a cercare un aiuto specialistico. Ciò
sottolinea ancora una volta la necessità che i responsabili della formazione
possiedano sufficienti capacità per distinguere l’aridità spirituale da forme
di vera e propria depressione, così da affidare i soggetti che ne sono colpiti
a persone in possesso delle necessarie competenze.
Altre
caratteristiche della vita religiosa possono interferire con la corretta
diagnosi e un adeguato trattamento della depressione. Ad esempio: a) una
perdurante diffidenza in certi ambienti nei confronti dei professionisti che si
occupano della salute mentale e degli interventi terapeutici da adottare per le
malattie mentali; b) una certa tendenza a trascurare la cura di sé, nel campo
fisico, psicologico e spirituale; c) la qualità di vita di certi ambienti
comunitari assai povera e la notevole carenza sul piano comunicativo e
relazionale, per cui diventa meno probabile che qualcuno si accorga dei sintomi
depressivi di chi gli vive accanto; d) una spiccata tendenza a non entrare in
contatto con le proprie emozioni e quindi l’incapacità di monitorare il proprio
mondo emotivo e di riconoscere significativi cambi di umore nel tempo; e) la
mancanza di abilità comunicative e di fiducia reciproca, che fa sì che
sentimenti di rabbia, paura, dolore, frustrazione non vengano manifestati e, al
contrario, ricacciati dentro di sé, favorendo in tal modo stati depressivi; f)
infine, una significativa incidenza di traumi non diagnosticati (compresi i
traumi fisici, emotivi e gli abusi sessuali), sia tra i religiosi che tra le
religiose, i quali tendono ad accrescere la loro vulnerabilità rispetto a
sintomi depressivi.
Cura e
superamento della depressione
Se ci si
chiede che cosa si può fare quando una persona soffre di depressione, è ovvio
che la risposta dipende dalla diagnosi che si riesce a fare e dalle forme
concrete in cui la sua sofferenza si manifesta.9 È noto che la depressione è
una malattia che indebolisce la volontà e, nei casi più gravi, annulla ogni
possibilità di reazione; d’altra parte, è pure doveroso sottolineare che essa
può manifestarsi con gradi di intensità assai diversi, per cui non sempre ci si
deve rivolgere immediatamente a uno specialista. Ciò che comunque è necessario
è che la persona interessata o chi si occupa di lei (superiori, formatori)
siano sufficientemente capaci di individuare da subito quando ci si trova di
fronte a manifestazioni depressive e si ricorra a ogni strategia o accorgimento
tramite i quali la persona depressa può migliorare la sua situazione.
Chi vive
con persone depresse può fare qualcosa anche di molto utile per aiutarle a
stare meglio, pur tenendo presente che questo compito è reso spesso (assai)
difficile a causa della natura ‘narcisistica’ del disturbo, che porta il
soggetto a resistere al tentativo di creare un qualche legame (transfert) con
l’altro, rimanendo inaccessibile ai tentativi di ‘persuasione’ e di
incoraggiamento di chi vuole aiutarlo. Di norma, comunque, le persone che con
fare monotono si lamentano senza nessun contatto apparente con il mondo
oggettivo sono grate a un ascoltatore attento e possono ripagare un’affettuosa
pazienza con un improvviso contatto – ma, ripeto, il compito di aiutare queste persone
non è facile.
E la
persona che soffre di depressione cosa può fare? Senza minimamente
sottovalutare la necessità di ricorrere, in casi particolari, a cure
specialistiche e a trattamenti anche farmacologici, è realistico e saggio
affermare che può e deve fare qualcosa – o anche molto, in certi casi – per
migliorare la propria situazione, anche se ciò richiede molta pazienza,
coraggio, perseveranza perché, come è stato ricordato sopra, la depressione ha
come tratto caratteristico quello di indebolire o addirittura annullare la
volontà. Il malato non può guarire se non collabora e non si impegna.
Vorrei
dunque proporre alcuni suggerimenti e spunti pratici che riguardano ciò che la
persona depressa può fare per superare il suo disagio, almeno in questi due
casi: quando si tratta di manifestazioni depressive non particolarmente acute o
quando ci si trova nella fase iniziale di una situazione che tende a evolversi
in forme più serie e gravi di depressione.
Ogni
persona consacrata, le cui giornate sono segnate da sentimenti depressivi,
vedrà che cosa fa maggiormente al caso suo: anche in rapporto alla cura della
depressione è ragionevole pensare che molto spesso ogni persona è il miglior
medico di se stessa. Ricordiamoci, in ogni caso, che non dobbiamo vergognarci
dei nostri sentimenti né pensare che, se una persona consacrata è davvero
virtuosa, non dovrebbe essere triste e depressa e, anzi, dovrebbe essere sempre
felice (“sii felice!”, si esorta in qualche ambiente religioso, con poco
riguardo per la fatica di certe persone e con ancor minore attenzione alle
leggi della psiche umana). La depressione non è di per sé una colpa; è semmai
una sofferenza, sempre.
CHE COSA
POSSO
FARE?
D’altra
parte, però, non dobbiamo sederci in disparte e compiangerci tutto il giorno.
Trobisch ricorda che un giorno sua moglie, che si sentiva piuttosto depressa,
chiese a uno dei suoi figli adolescenti: “cosa posso fare?”. Dopo alcuni minuti
di riflessione il ragazzo rispose: “Soprattutto, mamma, fa’ qualcosa! Non
startene lì a far niente!”. Era la parola giusta al momento giusto. Ed è
proprio questa la prima parola da dire normalmente alle persone che,
sospirando, se ne stanno tristi e inattive: ‘fa’ qualcosa!’.
Che
cosa? Ecco qualche spunto attinto ancora da Trobisch,10 cui aggiungo qualche
riflessione personale.
1.
Evitare di restare soli: l’isolamento è assai pericoloso per la persona
depressa. Il semplice parlare con altre persone, il sentirsi circondati da
altri fa sì che siamo come ‘costretti’ a non rimanere ripiegati su noi stessi e
quasi ipnotizzati da pensieri tristi, i quali, coltivati, si ingigantiscono,
diventano sempre più tenaci e finiscono con l’occupare quasi tutta la scena
psichica.
2.
Cercare persone o situazioni o esperienze che diano piacere: ascoltare musica, coltivare
hobby, assistere a uno spettacolo, letture, passeggiate, visione di film,
manifestazioni sensibili di tenerezza... Rivolgersi ad altri senza attendere,
in disparte, che siano gli altri a venire da noi. Ecco come si esprime una
persona depressa: «Sono diventata triste e senza gioia dentro di me. Qualcosa
mi manca... Io non ho mai rivelato i miei desideri alle altre persone, ma
vorrei tanto che esse mi diano quelle cose che io desidero. Anche adesso mi
piace che i miei amici mi diano qualcosa come espressione del loro amore, ma
non ricevo niente e mi sento male, ma io non dico niente». Rimanersene in
passiva attesa, nell’illusione che gli altri siano capaci di leggere i nostri
pensieri e desideri, non può che peggiorare la situazione.
3.
Impegnarsi ad allontanare i pensieri tristi. Si tratta di bloccare il
rimuginare e i soliloqui negativi, in quanto essi ingigantiscono apprensioni e
timori, favoriscono una percezione più ristretta della realtà e rendono
‘assenti’ rispetto all’agire quotidiano. L’importante è che si blocchino i
pensieri, non che si reprimano o si soffochino i sentimenti. Si tratta quindi
di agire come se tali pensieri non ci fossero e pensare a qualcosa d’altro
oppure volgersi a una attività impegnativa.
4.
Coltivare e rafforzare alcune convinzioni importanti. Ne richiamo alcune.
– È vero
che i condizionamenti del nostro passato continuano a influenzare il
comportamento attuale, ma non si può parlare di norma di un’influenza di tipo
deterministico, al punto che non è possibile sottrarci per niente alla loro
influenza. Cambiare è sempre possibile: con pazienza, costanza, sacrificio. La
possibilità di limitare l’influenza dei condizionamenti passati dipende tra
l’altro da: conoscenza di sé; impegno che la persona mette nel tenere sotto
ragionevole controllo un determinato condizionamento del passato; eventuale
aiuto che può venire dall’ambiente (persone disponibili e capaci di aiutarmi,
ambiente stimolante).
– Un
fattore fondamentale per lo sviluppo e la maturazione della nostra personalità
è la qualità dei rapporti interpersonali. È di fondamentale importanza sentirsi
amati, accolti, stimati. Da piccoli le esperienze relazionali non possono
essere guidate e controllate dal soggetto; nella nostra vita di adulti, invece,
essere amati non è frutto di circostanze fortuite o del destino, ma qualcosa
che di norma si concorre a determinare molto più di quanto spesso si pensa.
– Il
genere di sentimenti che proviamo dipende essenzialmente da noi. La nostra
sensibilità dipende da come valutiamo l’ambiente e noi stessi. Convinciamoci
dunque che siamo noi stessi la causa delle nostre emozioni e sentirci
responsabili del trattamento che riserviamo a noi stessi. Occorre avere premura
e cura di sé (amore di sé).
– Nella
misura in cui conosciamo e rispettiamo il funzionamento unitario della nostra
personalità, si è in grado di sfruttare al meglio le risorse di cui ciascuno di
noi può disporre.
– La
convinzione dell’esistenza di qualche causa adeguata del nostro comportamento è
un presupposto importante per cercare di capire da dove nascono eventualmente
certe difficoltà che spesso incontriamo nella vita di ogni giorno. È ovvio che
non dobbiamo chiederci il perché di tutto quello che succede: normalmente
dobbiamo agire con semplicità, spontaneità, libertà. In certi casi, però, è
saggio cercare di fare un po’ di luce, ad esempio quando qualcosa ci
scombussola e ci rende inquieti o preoccupati o tesi senza che noi ne sappiamo
il perché o quando non riusciamo a vincere qualche sentimento o impulso.
5.
Parlare con persone che sanno ascoltare, che aiutano a mettersi maggiormente in
contatto con la realtà e che possono suggerire modalità concrete per superare i
sentimenti negativi. Convincersi che dalle sabbie mobili di stati depressivi
piuttosto accentuati e che si prolungano nel tempo non si esce tirandosi per i
capelli, ma è necessaria l’assistenza di qualcuno il quale, anche senza essere
uno specialista (al quale peraltro in certi casi è necessario ricorrere), ha
uno sguardo più lucido sulla realtà e può infonderci fiducia e coraggio. A
volte la consolazione degli altri può avvenire anche attraverso un abbraccio
rassicurante, un mazzo di fiori, una telefonata, uno scritto, un pranzo
consumato insieme.
6.
Pensare ad altre persone depresse o, comunque, segnate da altre sofferenze: ciò
può servire a volte a scuotere il soggetto dal suo narcisistico ripiegamento su
se stesso, che lo porta a pensare che nessuno ha mai sofferto quanto lui. Anche
decidere di occuparci di persone che stanno male o confrontarci con situazioni
di particolare sofferenza fisica può essere un modo per distogliersi da
pensieri tristi (ricordare il pensiero di Gesù: “c’è più gioia nel dare che nel
ricevere”).
7.
Cercare di vedere il lato meno triste delle cose e soprattutto coltivare
sentimenti di gratitudine (ognuno di noi ne ha più di un motivo...). La
gratitudine ha effetti benéfici: mette in moto sentimenti positivi, diminuisce
la tensione, migliora il modo con cui percepiamo e sentiamo noi stessi perché
ci si vede degni dell’amore e dell’attenzione altrui; inoltre si valuta
maggiormente ciò che di buono c’è nella nostra vita.
8. Tra i
suggerimenti per combattere la depressione alcuni propongono anche esercizi
fisici di ogni genere: correre, passeggiare, nuotare, fare giardinaggio. Collegato
a tutto ciò e in senso più ampio si può richiamare l’importanza di aver cura
del proprio decoro personale (igiene personale, abbigliamento). Il
miglioramento di una persona depressa è visibile, a volte, nella maggiore cura
che ella mette nel proprio abbigliamento e nel cercare di essere più carina
nell’aspetto. D’altra parte, è lo stesso s. Tommaso che, parlando dei “rimedi
contro il dolore e la tristezza”, ne cita cinque: la gioia (qualsiasi gioia:
mentre la tristezza sarebbe un affaticamento dell’animo, la gioia ne sarebbe il
riposo per eccellenza. Cf. quanto richiamato sopra al n. 2), il piangere, il
condividere la sofferenza con gli amici, la contemplazione della verità e –
infine – dormire e fare il bagno (cose, queste ultime, che indurrebbero nel corpo
una sensazione di benessere, la quale a sua volta si ripercuoterebbe sul piano
psichico).11 Tommaso conosce ovviamente i possibili e necessari modi per
superare ‘soprannaturalmente’ la sofferenza umana, compresa la ‘tristezza
dell’anima’ (ne accenno tra poco) e tuttavia non trascura affatto le
possibilità naturali, sensibili, come ad esempio dormire e fare il bagno, e ne
parla nel bel mezzo delle sue riflessioni teologiche (v. Summa theologica 1-2,
q. 38).
9.
Richiamare la parola di Dio e ricorrere ai mezzi soprannaturali (preghiera,
sacramenti). Nella parola di Dio, specialmente nei Salmi, si trovano promesse
che incoraggiano la nostra mente a pensare positivamente: Dio si presenta come
Colui che ama la vita e vuole la nostra gioia. Il Signore conosce il segreto
dei cuori, ascolta i nostri gemiti: “le nostre orecchie sentono le nostre voci,
le orecchie di Dio si aprono ai nostri pensieri” (s. Agostino). Il cristiano è
convinto che Dio può servirsi anche della depressione per realizzare i suoi
disegni. Esiste una depressione in cui possiamo incontrare più facilmente Dio:
sostenuti dalla fiducia in lui possiamo trovare il coraggio di amare noi stessi
malgrado la nostra depressione. Pensiamo alla dichiarazione paradossale di s.
Paolo: “In ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio..., afflitti, ma
sempre lieti” (2Cor 6,4.10). Infine, tutti gli atteggiamenti di fondo necessari
per favorire il nostro equilibrio psichico si sintetizzano in un atteggiamento
spirituale fondamentale: la fiducia in Dio e l’abbandono alla sua volontà.
Questo ci permette di stare nella pace, nonostante il cuore pesante. Si tratta
di far crescere in noi, con l’aiuto della grazia divina, questa convinzione
interiore: quello che io sono in questo momento è la mia situazione, diversa dalla
situazione di chiunque altro; una situazione creata da tutta la mia storia,
dalle mie vicende personali, sbagli e successi, dalle mie qualità e dai miei
limiti, da un’infinità di circostanze che mi aiutano o mi ostacolano, da tante
persone diverse che mi stimano o mi contrastano. In questa mia situazione Dio è
all’opera e così come sono io rappresento un campo dove il Signore sta
lavorando per salvarmi.
Guardare
alla nostra vita con occhi di fede, dunque. «Povera la nostra vita, che cosa è
mai: tutto e niente. Sempre preziosa a misura che dolcemente si abbandona alla
santa volontà del Signore»: così scrive papa Giovanni XXIII, un uomo che non ha
conosciuto la sofferenza della malinconia e della depressione (e i cui scritti
sono senz’altro da raccomandare a coloro che ne soffrono).
Il
prezzo che si paga quando le varie forme di depressione non vengono
riconosciute e/o adeguatamente trattate può essere anche molto alto, sia per i
soggetti che ne soffrono sia per le comunità religiose, le quali vengono private
del contributo offerto da persone sane, creative e piene di energia.
Sulla
depressione esiste un’ampia letteratura e le considerazioni fatte non possono
certamente considerarsi esaustive. Non si è accennato, ad esempio, al problema
dei vari tipi di antidepressivi, ai diversi tipi di temperamento in rapporto al
manifestarsi della depressione, ai vari disturbi che più facilmente si uniscono
a mosaico attorno alla depressione (ansia, ipocondria, bulimia,
neurastenia...); anche il problema dell’amore e dell’accettazione di sé è stato
semplicemente richiamato per la sua connessione con la depressione, ma senza
prendere in esame domande cruciali che non possono essere ignorate (accettare
se stessi: come? da chi?).
Per lo
scopo di queste riflessioni può essere sufficiente quanto detto: qualcuno potrà
essere invogliato ad approfondire il problema, qualche altro sarà aiutato a
dare un nome preciso a una sofferenza che finora lo tormentava in modo sottile
e indefinito, per qualche comunità infine servirà da stimolo per guardare con
occhi diversi alla sofferenza di qualche suo membro che finora era sentito solo
come un peso da sopportare.
Aldo Basso
1
Guardini Romano, Ritratto della malinconia, Morcelliana, Brescia 1990.
2 op.
cit., p. 37.
3 op.
cit., p. 43.
4 op.
cit.., p. 48.
5 op.
cit., pp. 71-73.
6 Walter
Trobisch, Ama te stesso, Editrice Uomini Nuovi, Marchirolo (Varese), 1985, pp.
41-42
7 Otto
Fenichel, Trattato di psicoanalisi, Astrolabio, Roma 1961, p. 439.
8 E
liberaci dal male oscuro. Serena Zoli a colloquio con Giovanni B. Cassano,
Longanesi, Milano 1994, p. 302.
9 Si può
andare dal sostegno personale occasionale, offerto da una persona
particolarmente sensibile, al colloquio sistematico con persone esperte;
dall’uso di farmaci (assolutamente necessari in certi casi) fino al ricovero
obbligatorio in strutture apposite.
10 op.
cit., pp. 55ss.
11 Che
il suggerimento non sia così strano lo conferma anche l’aneddoto che riferisce
di un antico maestro dello spirito, il quale dava questo consiglio: quando sei
afflitto e turbato, vai dal tuo padre spirituale, confidati e aprigli il tuo
cuore; se il turbamento continua, vai in chiesa e gettati ai piedi di Gesù e
pregalo con fervore; se poi la tua afflizione continua ancora, allora ritirati
nella tua camera, chiudi la porta, mettiti a letto e dormi.