I
SALESIANI E LA FIGURA DEL COADIUTORE
VOCAZIONEDA
RILANCIARE
Figura con alle spalle una storia
luminosa, costellata da numerosi santi, oggi è in crisi anche per un’inadeguata
teologia della vita consacrata. Una vocazione che ha bisogno di essere compresa
in modo nuovo per essere rilanciata.
«Secondo
la dottrina tradizionale della Chiesa, la vita consacrata per natura sua non è
né laicale né clericale, e per questo la “consacrazione laicale”, tanto
maschile quanto femminile, costituisce uno stato in sé completo di professione
dei consigli evangelici. Essa perciò ha, sia per la persona che per la Chiesa,
un valore proprio, indipendentemente dal ministero sacro.
In linea
con l’insegnamento del concilio Vaticano II, il sinodo ha espresso grande stima
per questo tipo di vita consacrata nella quale i religiosi fratelli svolgono,
dentro e fuori della comunità, diversi e preziosi servizi, partecipando così
alla missione di proclamare il Vangelo e di testimoniarlo con la carità nella
vita di ogni giorno. In effetti, alcuni di tali servizi si possono considerare
ministeri ecclesiali, affidati dalla legittima autorità. Ciò esige una
formazione appropriata e integrale: umana, spirituale, teologica, pastorale e
professionale» (Vita consecrata 60).
Questa
prospettiva è lo sfondo significativo in cui situare la riflessione che la
congregazione salesiana sta sviluppando sulla figura del coadiutore, il quale congiunge
in sé i doni della consacrazione e quelli della laicità, vivendo proprio la sua
laicità da consacrato.1 Egli opera prevalentemente in campi di lavoro secolare,
testimoniando un amore radicale a Cristo e distinguendosi per la sua competenza
professionale: è così figura particolarmente significativa in certi contesti
dove il prete viene visto come figura sacrale o cultuale. Attraverso la
consacrazione egli dimostra la presenza di Dio nel quotidiano, l’importanza di
farsi discepoli prima di essere maestri e testimonia una fede convinta che non
è legata agli impegni funzionali o di ministero.
IL LAICO
CONSACRATO
Oggi la
Chiesa usa il termine “fratello” per indicare il religioso non prete o
“religioso laico”: non è una contraddizione, perché religioso è sostantivo e
laico aggettivo, specifica cioè il modo con il quale il religioso laico esprime
la sua natura apostolica diversa e complementare di quella del religioso prete:
secolare l’una, ministeriale l’altra. Mentre nella Chiesa si sta parlando di un’ora
del laicato, sembrerebbe che gli istituti maschili di vita attiva non abbiamo
saputo coinvolgere questo aspetto nel processo di rinnovamento della propria
comunità religiosa. Eppure l’ecclesiologia conciliare e postconciliare ha
accentuato la prospettiva di una Chiesa di comunione, mettendo in evidenza la
complementarità delle diverse vocazioni, l’uguale dignità battesimale di ogni
cristiano, l’importanza di tutti i carismi, la chiamata universale alla
santità. Ciò ha portato alla giusta promozione dei laici all’interno della
Chiesa, al riconoscimento del loro apporto attivo nell’azione evangelizzatrice,
all’esigenza del superamento del clericalismo.
«L’impegno
della promozione della vocazione del laico consacrato si situa dunque in un
momento di chiara identità e rilevanza dei laici nella Chiesa; mentre al
contrario l’identità del religioso fratello è incerta e richiede uno specifico
e urgente approfondimento. La domanda irrisolta resta: perché essere religiosi
fratelli quando si possono vivere e fare le stesse cose come laici? É una vera
crisi di identità. Talvolta questo ha creato complessi di inferiorità o
insoddisfazioni vocazionali. Ciò ha portato alcuni religiosi fratelli a cercare
l’ordinazione presbiterale come unica via per la propria completa realizzazione
e per il superamento dell’incertezza nell’identità».
Non ci
si può ormai nascondere che la Chiesa stia vivendo una grave crisi della vita
religiosa: mentre sta abbandonando vecchi modelli di espressione, deve ancora
trovarne di nuovi. La crisi si accentua nel caso della vita religiosa
apostolica, toccando più da vicino le congregazioni che nella storia hanno
avuto e ancora oggi hanno un impatto fortemente sociale. Inoltre la centralità
e la visibilità del presbitero nella vita ecclesiale, congiunta con la giusta
enfasi sulla vita e missione del laico, non aiutano a dare risalto alla
vocazione religiosa in quanto tale. «La riduzione della vita consacrata ai suoi
aspetti ministeriali e funzionali, quasi che la sua missione sia limitata
solamente all’azione e alle opere, contribuisce a offuscare ulteriormente la
sua identità. In questo contesto l’identità della figura del laico consacrato è
molto più incerta di quella del religioso presbitero». L’immagine del
presbitero sembra essere prevalente rispetto a quella del religioso. Anche la
vita religiosa è vista spesso in termini funzionali, come se la missione si
riducesse a ruoli e compiti da svolgere.
NUOVI
MODELLI
DI
LAICITÀ
«Le
linee fondamentali per la promozione della vocazione del laico consacrato
riguardano la conoscenza approfondita della sua identità vocazionale, la
visibilità della sua figura, la sua formazione di qualità, l’animazione
vocazionale. Tali aspetti vanno assunti simultaneamente; essi si richiamano
vicendevolmente e, solo se realizzati insieme, possono avere efficacia».
Innanzitutto
occorre un deciso cambio di mentalità circa il modo di intendere la vocazione,
approfondendo la teologia della vita religiosa, la sua identità ecclesiale,
l’apporto della consacrazione apostolica alla missione. Infatti solo
all’interno della comune vita religiosa è possibile comprendere l’identità
della vocazione del laico consacrato. Probabilmente le comunità si sono più
facilmente adattate a sostituire la mancanza di questa figura con l’inserimento
di laici aventi competenze professionali ed educative, rischiando di perdere
così la sua specificità carismatica. Inoltre, senza una sua presenza tra i
giovani della comunità nel suo insieme e in tutte le sue dinamiche di vita
fraterna, spirituale e azione evangelizzatrice, è molto difficile cogliere la
vocazione del religioso laico.
Occorre
progettare dunque di nuovo la presenza dei religiosi laici, in modo che essi
abbiano compiti educativi; è importante metterli in contatto diretto con
ragazzi e giovani, superando l’affidamento esclusivo di compiti organizzativi e
amministrativi. Occorre pensare nuovi modelli di laicità.
La
professionalità è necessaria, ma da sola risulta insufficiente a comunicare
l’esperienza di una vocazione carismatica. «La specificità vocazionale del
religioso laico chiede che sia resa visibile la sintesi vitale di competenza
professionale, esperienza spirituale, impegno educativo pastorale. Va
irrobustita la sua presenza nelle varie rappresentanze, negli organismi di
animazione, nella distribuzione dei compiti di responsabilità». Non si
dimentichi che oggi conta molto per i giovani il contatto diretto, l’esperienza
che si fa, il “toccare con mano”, per capire e stimare una vocazione. Le
vocazioni sorgono là dove ci sono modelli in cui identificarsi.
In
particolare, a tutti coloro che iniziano il pre-noviziato occorre garantire le
stesse condizioni di ingresso dal punto di vista degli studi secondari,
richiedendo una «cultura generale di base». Il discernimento per la vocazione
di religioso presbitero e di religioso laico è fatto nel noviziato, prima della
domanda di ammissione alla professione, e deve diventare definitivo prima della
formazione specifica dopo il tirocinio. Il post-noviziato è la fase in cui, in
continuità con il noviziato, si approfondisce la comune identità religiosa e in
cui ci si prepara a essere educatori e pastori: è auspicabile che aspiranti al
presbiterato e alla consacrazione laicale vivano nella stessa comunità
formatrice, dove vedono valorizzate le due forme dell’unica vocazione.
Necessario quindi introdurre nelle comunità formatrici di pre-noviziato,
noviziato e post-noviziato questa figura con ruoli di formazione e di
insegnamento.
Sulla
formazione specifica del consacrato laico non bisogna fare sconti, perché si
tratta di rafforzare l’identità vocazionale e perché si tratta di offrire una
formazione teologica, spirituale, educativa e pastorale di qualità. Necessario
garantire tale formazione dopo il tirocinio; essa «non è da identificarsi con
la qualificazione professionale». Non è da trascurare infine la sua formazione
permanente, perché possa vivere in pienezza e fedeltà creativa la sua vocazione
oggi.
In
quest’ottica occorre «presentare la vocazione come una consacrazione al
servizio della missione. La vita consacrata è compresa spesso in termini di
prestazione di servizi e allora si riconosce soprattutto per la funzione che
svolge e poco per la testimonianza che presenta. Inoltre non si apprezza
sufficientemente la bellezza e la necessità dell’apostolato dei laici in campo
secolare. Quanti insegnanti laici vedono se stessi come apostoli nella scuola?
Quanti medici considerano l’esercizio della loro professione come un vero
apostolato? Quanti operatori sportivi vedono nel loro servizio un campo di
pastorale? La mentalità è ancora lontana dal riconoscimento dell’importanza
dell’apostolato nel campo secolare».
In
conclusione, ciò che si richiede è una vera azione organica e concreta, che
scuota comunità e confratelli e li mobiliti in questa impresa. Trattandosi di
creare gradualmente una mentalità più favorevole alla vocazione del religioso
laico, l’azione deve durare diversi anni. Lo stesso si dica dell’impegno per
renderne visibile la figura, per garantirne una formazione di qualità, per far
conoscere e proporre questa vocazione ai giovani.
Mario Chiaro
1 Ci
riferiamo al documento Cura e promozione della vocazione del salesiano
coadiutore. Un impegno di concretezza per tutto il sessennio, a firma di
Francesco Cereda (consigliere generale per la formazione): esso nasce sulla
scia della beatificazione del coadiutore infermiere Artemide Zatti e fa tesoro
di una ampia riflessione interna all’istituto a partire dal convegno mondiale
salesiano coadiutore del 1975. Oggi la congregazione salesiana conta 2.260 coadiutori
(erano 3.924 nel 1970!) che lavorano fianco a fianco con i sacerdoti in
comunità, al servizio dei giovani di tutto il mondo. Operano come educatori che
animano e gestiscono opere e attività varie come scuole, ostelli, istituti
tecnici, centri di promozione agricola, centri editoriali nell’ambito della
stampa, della radio, della televisione, centri di sviluppo sociale, legislativo
e economico.