CONGRESSO
VC, UN TENTATIVO DI VALUTAZIONE
TRA
CONFERME, NOVITÀ E PUNTI IRRISOLTI
L’atteggiamento prevalente non è stato
quello apertamente critico e quasi demolitore nei confronti d’una certa forma
di VC; la preoccupazione è stata piuttosto quella di guardare al futuro, per
promuovere le esperienze promettenti che stanno sorgendo.
È stata una bella esperienza di
comunione, ma un po’ debole nella profezia.
Il
congresso sulla vita consacrata del novembre 2004 è stato un congresso che ha
detto in qualche modo la verità sull’attuale momento storico che la VC sta attraversando,
con le sue certezze e incertezze, speranze e timori, nel bene e nel male… In
tal senso è stato un congresso “vero”. Non si poteva certo chiedere a un
incontro come questo di risolvere i problemi della VC, ma d’indicarli o
lasciarli intravedere sì, in modo diretto o indiretto. E questo ha fatto, e non
è cosa da poco.
Tento
allora, senz’alcuna pretesa di completezza, una lettura che s’avvale anche
della condivisione con altri partecipanti, durante e dopo il congresso (ecco
perché su alcuni punti sono possibili sottolineature diverse).
NUMEROSE
CONFERME
Abbiamo
anzitutto vissuto al congresso una forte esperienza di comunione e fraternità,
in un clima molto democratico e ugualitario, spontaneo e comunicativo. C’era da
aspettarselo, ma ha fatto bene sperimentarlo ancora: il religioso è un animale
sociale (o un mistico della relazione), sempre affamato di comunione.
Così
pure è stato interessante notare la spontanea convergenza registrata attorno a
certi temi: la passione per il Signore Gesù, e per l’umanità, la centralità
della vita comune, l’attenzione al sud del mondo, ai poveri che ci
evangelizzano, la certezza d’aver un tesoro, che va condiviso, l’attaccamento
alla VC…. Questo era meno scontato, e senz’altro più forte di ciò che ci può
dividere.
Evidente
anche una grande, grandissima voglia di lavorare e continuare a lavorare nella
Chiesa, in unione coi nostri pastori, col papa (cf. l’interminabile applauso
alle parole della presidente UiSG che esprimeva il disappunto, magari un po’
risentito, per la mancata udienza col santo Padre). Questo era ancor meno
scontato, almeno per alcuni.
Chi ha
partecipato al precedente convegno che si era tenuto presso l’Augustinianum in
preparazione al sinodo, (del 1993) ha notato un atteggiamento più maturo e
realista circa la valutazione dell’attuale situazione della VC, e diverso
rispetto al giudizio drasticamente negativo emerso allora, quando si disse che
«la VC si trova in un crocevia decisivo», poiché pare «che la figura storica
che ha assunto finora si sia esaurita e sia giunta al tramonto».1 Al congresso
2004 l’atteggiamento prevalente non è stato quello apertamente critico e quasi
demolitore nei confronti d’una certa forma di VC; la preoccupazione è stata
piuttosto quella di guardare al futuro, per promuovere le esperienze
promettenti che stanno sorgendo qua e là. Anche questo (pur desiderato alla
vigilia) non era così scontato.
PRINCIPALI
NOVITÀ
C’è
stata una notevole e a tratti spietata sincerità nell’evidenziare le nostre
carenze, paure, incertezze, contraddizioni, ritardi… andando a scovare persino
strani “mariti” (cf. la relazione Aleixandre) e segnali d’una VC mezza morta…
Questa non è in sé una novità: religiosi/e sono sempre molto sinceri con se
stessi, ma ora tale sincerità è condizione per costruire una VC vera e
autentica.
Altro
dato di rilievo: un diverso approccio complessivo alla crisi globale che
attanaglia la VC. Non più un approccio di tipo scientifico e rigorosamente
teologico, come ancora nel convegno del 1993, bensì di tipo prevalentemente pragmatico
e progettuale.2 Questo ha consentito, ad es., di non porre (e bloccare) il
congresso dinanzi a problemi teorici (come, ad es, l’alternativa: rifondazione
o rinnovamento?). Ma l’ha subito provocato ad andare al pratico, e non è stato
vantaggio da poco. Anche se, come vedremo, con qualche ambiguità.
Straordinariamente
positivo il lavoro di organizzazione, previo e contemporaneo al congresso, di
cui si deve essere quanto mai grati alle segreterie USG e UISG, che son
riuscite a far lavorare più di 800 consacrati/e per una settimana circa, a un
ritmo incalzante e con grande ordine. Soprattutto è da rilevare l’ottima
gestione della dinamica di gruppo, favorita dalla sistemazione attorno a tavoli
circolari, e che ha fatto dire a qualcuno: «meglio i tavoli del tavolo» (non in
senso svalutativo delle conferenze ufficiali, ma per sottolineare la ricchezza
degli scambi informali).
Al tempo
stesso il congresso ha messo in evidenza alcuni limiti o contraddizioni della
VC oggi. Ad esempio, si è avuta l’impressione d’una diversità notevole di
vedute tra una certa mentalità, di stampo nordamericano, in sostanza, e quella
di chi vive nel sud del mondo (vedi la freddezza e la sottile polemica con cui
è stata accolta la conferenza sul “dopo l’11 settembre”; o la relazione sui
voti con conseguente interpretazione proposta da una nordamericana, ecc.),
mentre non s’è sentita abbastanza la voce dell’oriente. Non è certo negativa la
diversità di vedute, anzi!, purché non sia di sostanza, e venga poi elaborata
dando luogo a una sintesi feconda, che al congresso s’è avvertita poco. Ma
forse è proprio questo il lavoro del dopo-congresso.
PUNTI
IRRISOLTI
È stato
un congresso abbastanza istituzionale, al di là delle intenzioni degli
organizzatori. Nel senso che, nonostante quanto detto circa l’apertura verso il
futuro e la voglia del nuovo da promuovere, era presente …il vecchio e il
tradizionale sicuro, o le forme di VC rigorosamente istituzionali. Molti si
sono chiesti il perché della sostanziale assenza al congresso delle forme nuove
di VC (se c’erano non si sono sentite), di certe esperienze di frontiera, di
modalità diverse d’approccio alla consacrazione. Non si trattava di proporre
queste forme come modelli, ma semplicemente di indicare i tentativi in una
certa linea.
Così pure
è stata notata una presenza molto ridotta: quella della vita monastica, della
vocazione contemplativa, specie femminile, con ciò che significa per tutta la
VC. E col rischio che sia risuonata meno una certa voce dello Spirito.
C’è chi
ha parlato di alcuni singolari silenzi al congresso.
– Ad
esempio, un certo silenzio sulla spiritualità. Nonostante una delle due icone
fosse esplicitamente dedicata a questo tema, è sembrata mancare al congresso
l’affermazione chiara e inequivocabile della spiritualità come fondamento della
VC e d’ogni forma di VC (anche in una prospettiva di ri-fondazione), ovvero
della VC come essenzialmente esperienza di Dio da condividere con l’umanità,
con tutte le conseguenze circa l’identità e la missione della VC stessa. C’è stato,
sempre in tale linea, chi ha notato una certa sproporzione tra lo spazio
dedicato alla spiritualità e la sottolineatura della missione sociale della VC,
in opposizione al neo-liberismo, come fosse la sua vera missione (e questo fin
dall’Instrumentum laboris). Insomma, s’è rilevata una certa carenza di spessore
teologico-spirituale nell’insieme del congresso. O forse è proprio questo il
vero problema della VC oggi, la sintesi tra teologia-mistagogia, da un lato, e
incarnazione-inserzione dall’altro. La spiritualità è esattamente questa
sintesi e suo frutto. Ove non c’è, noi diveniamo solo fornitori di servizi
caritativi, educativi… a gente che sfrutta tali servizi, più o meno grata, ma
che va poi a cercarsi altrove le ragioni per vivere e morire, amare e soffrire.
– In
tale linea forse non avrebbe nuociuto una maggiore insistenza chiarificatice
sul termine “consacrazione”, altro termine rimasto un po’ defilato, dato che la
nostra non è una spiritualità qualsiasi, ma di persone “consacrate”. Già prima
del congresso c’è stato chi ha detto, con sintesi felice, che la VC dovrebbe
essere più “vita” e più “consacrata”.3
– Ancora
c’è chi ha trovato strano che la relazione ufficiale sui voti abbia escluso di
proposito di trattare del voto di castità (anche nel testo scritto, “per
questioni di tempo”, ha detto l’autrice, mentre il gruppo di lavoro sullo
stesso tema ha raccolto pochissime adesioni).
– Così è
sembrata debole la lectio spiritualis su questo tempo di crisi della VC, una
lectio che avrebbe dovuto cogliere, assieme e dentro a tutte le implicanze
all’apparenza negative (calo vocazionale, minor potere e visibilità ecc.), la
grazia presente in una fase che è pur sempre condotta dallo Spirito e dunque
“pasquale”. Insomma, è parso a qualcuno che sia stato un po’ enfatizzato e
drammatizzato il momento difficile che stiamo vivendo; la storia ci racconta
che la VC ne ha conosciute e superate di crisi…
– Debole
anche la tematica mariana, che pur è importante nella prospettiva dell’identità
femminile e del riferimento a una icona fondamentale dell’offerta di sé a Dio e
al mondo.
–
Ancora, per quanto riguarda i silenzi, abbiamo sentito chi s’aspettava un
maggior collegamento col sinodo sulla VC e, più in concreto, con il documento
postsinodale Vita consecrata; non sono mancate le citazioni, certamente, ma
forse si sarebbe potuto evidenziare di più la continuità con quella
riflessione.
– Bello
il clima e la fraternità, suggestiva e ispirata la preghiera all’inizio e alla
fine delle giornate, ma quanto sarebbe stato ancor più bello, allora,
“celebrare” questa fraternità con il sacrificio eucaristico! Strano che
nell’anno eucaristico non si sia trovato il modo di celebrare almeno una volta
l’Eucaristia tutti insieme durante il congresso!
Certo un
congresso non può parlare di tutto e fare tutto, ma alcuni vuoti o silenzi si
prestano a varie interpretazioni.
C’È
STATA
POCA
PROFEZIA
C’è
stato ancora chi ha detto che al congresso, frutto in sé d’una intuizione
senz’altro profetica, c’è stata poca profezia. Al di là del clima fiducioso, è
sembrato un po’ latitante un autentico spirito innovatore-profetico. Probabile
che questo sia in relazione con l’altra lacuna già menzionata, quella della
mistica o della spiritualità. È stato un congresso che ha fatto bene il punto
della situazione della VC, ha raccolto ordinatamente e ripetuto fedelmente idee
ed esperienze, ha anche sostenuto con forza e credibilità valori e progetti, ma
è stato debole nella profezia, dimensione essenziale della VC (moltissimo
accentuata nel sinodo del 1994), e che diventa indispensabile se si vuol
guardare con ottimismo credente al futuro. Se la lettura della realtà è priva
di profezia, infatti, conduce al caos. In tal senso va l’osservazione di chi ha
rilevato un certo stacco tra il discorso su Cristo (la prima parte del
congresso) e il resto (il confronto con le sfide poste dalla società), ovvero
tra analisi del presente e progetto del futuro. Questo, come gli altri rilievi,
non è in alcun modo una valutazione negativa del congresso; anzi, è un segnale
veritiero che viene dal congresso stesso e che riguarda la VC nel suo insieme
oggi. D’altronde vi sono stati tempi in cui “la parola del Signore era rara e
le visioni non frequenti” (1Sam 3,1). Il riconoscere umilmente la povertà del
nostro sguardo (mentre la Parola ci è data in abbondanza) significa indirizzare
in modo mirato i nostri sforzi, perché in questi tempi incerti aumentino ancora
fame e sete della Parola e lo Spirito susciti chi sappia interpretarla e
fraternità che sappiano viverla e proclamarla con forza.
Dei 15
gruppi di lavoro, quelli che hanno avuto più adesioni sono stati nell’ordine:
inculturazione, formazione permanente, missione e sete di Dio. Non hanno
raccolto grandi consensi i gruppi che proponevano una riflessione sull’arte
nella VC, sulla verginità, sulla collaborazione coi laici, sulla dimensione
ecclesiale e sulla Sacra Scrittura sempre nella VC. Probabilmente anche queste
due graduatorie non erano tanto scontate e hanno un certo senso per il futuro
che c’attende.
L’Instrumentum
laboris un po’ enfaticamente indicava il congresso come una “pietra miliare”
nella storia della VC. Noi, più discretamente, preferiamo dire che tale
congresso, sufficientemente snobbato dalla grande stampa (come mai?), è stata
una meravigliosa esperienza ecclesiale, nella quale abbiamo proclamato la
nostra gioia d’esser consacrati al Dio della vita, e la nostra convinzione che
la VC sia una delle cose più serie e più belle nella Chiesa oggi. Ma esperienza
che attende ora d’essere ripresa in varie forme e d’essere tradotta nella
realtà viva delle nostre comunità e delle nostre chiese. Perché la VC sia più
vera.
Amedeo Cencini
1 C.
Maccise, cit. da L.Prezzi, Nuovi modelli, nuove prassi, in “Il Regno”,
22(2005), 752.
2 Cf.
Prezzi, ibidem.
3 Cf. J.
Arnaiz, Per un presente che abbia futuro. Vita consacrata oggi: più vita e più
consacrata, Milano 2003.