UN TEMA CRITICO ANCHE NELLA VC
ASCESI E PRASSI ASCETICHE
Anche nella vita consacrata la parola ascesi non è più molto di moda. Eppure
si sente il bisogno di ricuperare la sua teologia e la sua prassi. Ma con il
dovuto discernimento.
Il tema dell’ascesi di questo “Speciale”, inserito nel tempo della
Quaresima, si collega molto bene con quello della preghiera del numero
precedente di “Testimoni”. Il testo, un po’ abbreviato nella prima parte per
ragioni di spazio, è di p. Jesús Castellano Cervera ocd, e fa parte di una
relazione tenuta al Corso di formazione per consigli generali e provinciali sul
tema “Quale spiritualità per i nostri istituti oggi?”, organizzato a Roma, dal
7 al 12 febbraio scorso, dalla comunità di preghiera “Mater Ecclesiae” delle
suore dorotee di Cemmo.
Il tempo santo della Quaresima, cammino
della Chiesa verso la Pasqua, ripropone, alla luce del Cristo che prega e
digiuna nel deserto, il senso dell’ascesi cristiana che, fin dall’antichità, la
tradizione racchiude nella triade preghiera, digiuno, elemosina. La preghiera
ci riconcilia con Dio, l’elemosina ci mette in contatto con i fratelli, il
digiuno è, in certa misura, una prova della nostra libertà interiore dal
superfluo e dal consumismo che ci logora.
Alla luce di questo impegno
quaresimale, vogliamo offrire alcune riflessioni fondamentali sull’ascesi
cristiana, anche tenendo conto del fatto che il dialogo interreligioso ci mette
davanti alle prassi ascetiche delle altre religioni (cf. Nostra aetate 2; Ad
gentes 18). Di recente, inoltre, il papa Giovanni Paolo II ha proposto a tutta
la Chiesa il valore del digiuno e dell’elemosina e il primato della preghiera e
della fraternità in favore della pace.
Nello specifico riferimento alla vita
consacrata dobbiamo ricordare alcuni insegnamenti della Esortazione Vita
consecrata nn. 38 e in genere i nn. 87-92 sulla sfida dei consigli evangelici e
le loro esigenze ascetiche.
UN’ASCESI
UMANA E CRISTIANA
L’ascesi che, a scanso di equivoci,
qualifichiamo come cristiana – per esprimere la sua originalità e il suo
sostanziale riferimento a Cristo, maestro, modello, ideale concreto di un
vissuto ascetico originale – è un elemento essenziale della vita spirituale del
cristiano.
Essa determina in senso concreto la
risposta alla chiamata, il cammino della sequela nella docile disponibilità e
accoglienza del lavorio dello Spirito Santo. In questo modo l’ascesi viene
liberata dal sospetto del volontarismo, viene messa sotto il regime della
grazia, diventa orientamento totale verso la realizzazione in noi della santità
cristiana, comunque questa possa essere presentata: come perfezione della
carità, come vita in Cristo e nello Spirito, come assimilazione e comunione con
Dio, come espressione in noi della perfezione dell’immagine e somiglianza,
iscritta ormai nella creazione e nel santo battesimo.1
Oggi, con una certa fatica, la parola
ascesi torna a farsi sentire nell’ambito della spiritualità cristiana. Tale
ritorno non è solo di carattere dottrinale ma di ordine pratico. la logica
dell’ascesi infatti è radicata nel battesimo e prima ancora nella natura umana.
Si attribuisce al beato Giovanni XXIII il detto: «senza disciplina non c’è
l’uomo; senza la penitenza non c’è il cristiano».2
Inoltre, l’ottimismo eccessivo che ha
caratterizzato la considerazione della natura umana e i programmi della vita
spirituale degli ultimi decenni, cede oggi il posto a una considerazione più
equilibrata delle cose, anche dal punto di vista delle scienze umane. Esiste
inoltre in diversi settori della spiritualità del nostro tempo, anche laici, un
certo ritorno alle classiche forme dell’ascesi cristiana; tutto ciò costituisce
un provvidenziale stimolo affinché gli educatori, riprendano con serietà e con
il dovuto aggiornamento le esigenze dell’ascesi cristiana.
Un documento della Santa Sede sulla
formazione dei religiosi, ha ripreso vistosamente il tema dell’ascesi e delle
sue esigenze fondamentali.3 Esso afferma in proposito, tenendo presente le
esigenze della moderna psicologia:
«L’ascesi, d’altronde, che comporta un
rifiuto di seguire i nostri impulsi e gli istinti spontanei e primari è
un’esigenza antropologica prima di essere specificamente cristiana. Gli
psicologi fanno notare che i giovani, sopratutto, hanno bisogno per strutturare
la loro personalità di incontrare degli ostacoli (gli educatori, un regolamento
ecc.), a cui resistere. Ma ciò non vale solo per i giovani, sicché la
strutturazione di una persona non è mai completata. La pedagogia messa in opera
dalla formazione dei religiosi e delle religiose dovrà quindi aiutarli a
entusiasmarsi per un’impresa che reclama qualche sforzo. È così che Dio conduce
la persona umana che egli ha creato».4
Parliamo quindi di un ritorno, perché
già molto prima del Vaticano II, una famosa inchiesta sull’ascesi in ambito
francese, confermava la disaffezione dei cristiani moderni verso il concetto e
i contenuti dell’ascesi tradizionale.5 Sarebbe erroneo pensare, però, che si
tratti di un semplice ritorno, di un passo indietro. Oggi, nell’ascesi come in
altri aspetti della vita spirituale, si coglie la novità di una sintesi, che
tiene conto della continuità con la grande tradizione ecclesiale, della
purificazione delle scorie di tipo culturale che hanno prevalso in alcune sue
proposte, del superamento di un tipo di ascesi che ha subito un netto rifiuto
in altri momenti. Si tratta di una ascesi che coglie le prospettive nuove che
vengono dalla novità dello Spirito Santo.
Il discorso sulla ascetica, infatti, va
in qualche modo rifatto con un tono di novità. Novità che nasce da alcuni
presupposti.
Il primo è quello di ritrovare una
impostazione teologica all’ascesi nel suo senso più positivo affinché si possa
cogliere il vero significato e scopo della lotta del cristiano. Un autore
ortodosso che cercava nel mistero pasquale di Cristo il vero senso dell’ascesi
cristiana, affermava: «L’ascesi cristiana non è né una frustrazione né quella
coercizione tollerata da Freud e rifiutata da Marcuse; essa è una liberazione.
La Croce di Cristo che penetra nelle nostre profondità, libera, nel senso più
letterale del termine, tutta l’energia di vita che il nostro peccato tratteneva
prigioniera. A forza di una “rinuncia di se stessi”, come dice l’Evangelo, cioè
dicendo “no” alla morte e “sì” a Colui che è la Vita. L’ascesi cristiana è
pasquale, mistica, teologale, vivificante. Per la croce di Cristo noi
diventiamo liberi ogni giorno, poiché essa sola è riconciliazione, servizio,
dono totale, âgàpe».6
Questo testo programmatico denuncia un
concetto ambiguo di ascesi spesso prevalso nella storia, e riconduce alle sue
esigenze mediante una lucida teologia che parte dal centro della fede e della
vita cristiana: il mistero pasquale.7
Un altro presupposto è il fatto di
trovarsi oggi davanti a fenomeni e pratiche ascetiche culturalmente ambigue. La
conoscenza e la penetrazione nell’ambito occidentale di prassi delle religioni
orientali hanno fatto vedere che certe esigenze – digiuno, silenzio, pratiche
corporali, esercizi ascetici per la meditazione – non sono tipicamente
cristiane, ma si trovano in tutte le religioni. D’altronde, oggi il cristiano
rischia di rimanere nei suoi impegni molto al di sotto di una ascesi laica che
valorizza lo sforzo per lo sport, le privazioni alimentari di certe diete, i
pubblicizzati scioperi della fame, l’impegno del lavoro quotidiano, la
disciplina per il successo nella società, ecc.
Per questo, l’ascesi, come altre forme
di spiritualità, deve ancora ritrovare le forme culturali più adatte.
FONDAMENTO ANTROPOLOGICO
E TEOLOGICO
L’ascesi cristiana guarda all’uomo
considerandolo nella sua realtà e nella sua vocazione. «L’umanità che
osserviamo e che costituiamo appare come una umanità decaduta. Essa lo è
anzitutto in ciascuno di noi, perché l’io è un teatro di ombre, di personaggi
neurotici che noi non dominiamo ma dai quali siamo dominati. Anche le nostre
facoltà sono separate e la loro gerarchia è sconvolta: sono una intelligenza
puramente cerebrale, che mette in contrasto un cuore oscuro, abbandonato alle
forze del subcosciente, che confonde. Siamo “capovolti” e non disponiamo più di
un centro in cui comporre il tutto. Divisi nel nostro intimo, lo siamo anche
tra di noi; siamo degli individui nemici, solitari o confusi, solitari nella
confusione stessa».8
Queste poche parole di Olivier Clément
ci donano una visione realista della condizione dell’uomo. Il suo pensiero
sfocia in una conclusione: non esiste una vera antropologia senza un movimento
di conversione; l’uomo non riesce a capire se stesso, neanche a livello
naturale, se non passa attraverso il pentimento. È la metànoia, il
capovolgimento copernicano che porta a mettere Dio al centro dell’antropologia
e ritrovare la vera natura dell’uomo e quindi la sua vocazione come immagine di
Dio, magari deturpata dall’ignoranza o dal peccato, ma tesa indefettibilmente
verso la somiglianza e la comunione con il suo archetipo: Dio rivelato in Gesù
Cristo.9
L’ascesi cristiana non è altro che il
processo iniziato dalla grazia di Cristo per illuminare la mente e il cuore,
ricomporre l’unità perduta, restaurare l’immagine deturpata, ristabilire la
comunione spezzata in un dinamismo che porti l’uomo a divenire perfettamente
somigliante al suo archetipo e pertanto ricomposto nella armonia della
creazione e dell’umanità come un volto trasfigurato.
L’ascesi cristiana si colloca nella
prospettiva di una antropologia concreta e realista, realizzazione coerente del
continuo passaggio dalla schiavitù alla libertà a questi livelli della vita
dell’uomo: dalla separazione del peccato alla comunione; dal peso della legge
alla libertà dello Spirito; dal dramma della concupiscenza alla fioritura dei
doni e frutti dello Spirito che caratterizzano il cuore libero e pacificato;
dalla paura della morte, alla certezza della vita; dall’esistenza sopportata a
un vita cristiana vissuta con slancio e con gioia per Cristo e per i fratelli.
La Pasqua di Cristo, nella sua dimensione di dono del Padre e di esperienza personale,
rimane la sorgente e il modello della vita dei cristiani. L’ascesi cristiana,
evento pasquale, non è altro che la costante attuazione del passaggio, a
somiglianza di quello di Cristo, dal dolore all’amore, dalla disperazione alla
speranza, dalla morte alla vita in un processo simile a quello di Cristo dove,
in perfetta sinergia, si incontrano il dono di Dio e lo sforzo umano.
La Pasqua del Signore, la sua croce
luminosa è la sorgente e il modello dell’ascesi cristiana, la sua misura e il
suo compimento, è la misteriosa convivenza in noi del Crocifisso Risorto, che
tende a portarci all’esperienza definitiva della risurrezione attraverso il
mistero della croce vivificatrice.
Il mistero della Pasqua di Cristo si
compie sacramentalmente nel battesimo. Si vive in forza del battesimo, si vive
a somiglianza del battesimo, in un dinamismo costante di morire per risorgere.
Scrive Olivier Clément a questo proposito donandoci una sintesi di quello che è
l’esistenza battesimale: «Attraverso la grazia della croce vivificante l’uomo
riceve la capacità di trasformare ogni stato di morte in stato di risurrezione.
In Cristo, nello Spirito Santo, nella Chiesa, dimora di Dio, il battezzato
ridiviene immagine di Dio tesa alla somiglianza, vale a dire alla partecipazione.
Egli potrà allora cominciare a rendere attuale la grande iniziazione
battesimale, che consiste nel morire e nello scendere all’inferno con il Cristo
per rinascere con lui ad una nuova vita feconda dell’eternità... In tal modo
l’esistenza cristiana presuppone, nelle sue tappe più importanti, ed in
definitiva in ogni istante, una “Pasqua”, una metamorfosi del nostro essere
realizzata poco a poco. La post-risurrezione battesimale diviene la chiave che
ci permette di tramutare i momenti “iniziatori” del destino: divezzamenti,
sofferenze, separazioni delle nostre “discese in inferno”, fervori, ebbrezze,
stupori dei nostri “ritorni in paradiso”. L’uomo passa in tal modo dalla morte
parziale alla resurrezione accennata, fino al passaggio ultimo, alla “Pasqua”
finale dell’agonia che, per coloro che hanno già lasciato la morte dietro se
stessi, si trasforma in un calmo sonno, nell’accesso alla comunione dei santi
più luminosa e più attiva».10
FUNZIONI
E VALORI DELL’ASCESI
Consapevoli che l’ascesi deve avere
sempre una dimensione teologale, cioè deve essere guidata e orientata dalle
virtù teologali e in particolare dalla carità, ricordiamo brevemente alcune
funzioni che essa ha assunto nella grande tradizione della Chiesa.
L’ascesi ha innanzitutto una funzione
educativa per il dominio delle passioni. Un’azione educativa che, a lungo
andare, diventa pure una funzione terapeutica.
Ha inoltre una funzione purificatrice.
Essa richiede il duplice sforzo della rinuncia volontaria e della
mortificazione – che possiamo chiamare ascesi attiva – e quella
dell’accoglienza dell’azione purificatrice di Dio che possiamo chiamare ascesi
passiva, non meno utile e necessaria; anzi quest’ultima si rivela la più utile
perché azione di Dio al di là della nostra buona volontà e dei nostri programmi.
Infine la mortificazione può avere in
alcuni momenti un autentico senso di espiazione penitenziale: una penitenza con
la quale intendiamo espiare i nostri peccati mediante la croce abbracciata con
amore, inserendoci nel movimento oblativo e sacrificale di Cristo e della
Chiesa.
Già Sacrosanctum concilium 12 aveva
ricordato questo aspetto dell’ascesi cristiana – da non disgiungere dalla
dimensione liturgica, anzi come esigenza della vita battesimale ed eucaristica
– quando afferma che l’apostolo Paolo «ci insegna a portare continuamente nel
nostro corpo la passione di Gesù, affinché la vita di Gesù si manifesti nella
nostra carne mortale. Per questo nel sacrificio della messa preghiamo il
Signore che, “accettata l’offerta del sacrificio spirituale”, “faccia di noi
stessi una offerta eterna”».
Abbiamo tratteggiato il carattere
pasquale, liturgico e cristocentrico dell’ascesi, da non disgiungere dalla
dimensione ecclesiale di comunione sponsale con Cristo e dal compiere in noi
quel che manca alla passione di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa.
Anche questa prospettiva prettamente teologica e apostolica, cristocentrica ed
ecclesiale, va assunta in qualsiasi forma di ascesi.
Oggi si vuole sottolineare anche
un’altro aspetto dell’ascesi, la sua funzione liberatrice, in senso positivo.
Come la Pasqua, l’ascesi cristiana può essere descritta con il termine
liberazione. Il termine ha un primo significato negativo, in quanto comporta il
dominio di ogni schiavitù; ma ha anche un senso positivo: liberare energie che
il peccato tratteneva prigioniere.
Il Cristo della Pasqua è colui che
scatena nel mondo la rivoluzione con le energie nuove che sgorgano dal suo
corpo glorioso; allo stesso modo l’ascesi cristiana, lasciando libero spazio
alla vita di Cristo in noi e all’azione del suo Spirito, potenzia l’uomo,
sblocca le sue energie trattenute da egoismi, paure, complessi, ricerca di se
stessi, per un servizio agli altri; potenzia le capacità di dono di sé, abilita
per nuovi compiti, rende più disponibili ed efficaci perché invita a compiere
ogni cosa con gioia e perfezione vivendo con solennità il momento presente e
cercando di fare di ogni attimo un dono a Dio.
L’asceta cristiano è quindi colui che,
libero da tutto e specialmente da se stesso, ha rimesso tutta la sua vita e le
sue energie nelle mani di Dio, e si offre al soffio dello Spirito per un
servizio più autentico e ricco nella Chiesa. Per questo i santi, attraverso la
rinuncia personale e le purificazioni a cui vengono sottoposti da Dio, diventano
persone libere con una capacità di servizio e una fioritura di attività che
sembrano superare le loro qualità naturali. L’ascesi libera da condizionamenti
esterni e interni, e abilita per nuovi servizi nella Chiesa. Il termine
dell’ascesi cristiana è appunto la disponibilità a un’azione dello Spirito più
intensa e proficua, per una liberazione dai profondi riflessi personali e da
ampie prospettive sociali nel servizio dei fratelli.
L’ascesi inoltre ha un senso profondo
di solidarietà e di senso apostolico. Sentendo nella propria vita il disagio e
la privazione, siamo solidali con quanti soffrono a causa della scarsità del
cibo e dei beni materiali o di coloro che sono nel disagio fisico, psichico e
spirituale. Offrendo insieme con Cristo le nostre privazioni e sofferenze
contribuiamo a completare quanto manca alla passione del Signore a favore del
suo corpo che è la Chiesa. Per questo la Chiesa ha sempre considerato la vita
offerta per amore, l’ascesi e il sacrificio, anche di certe esperienze
monastiche, come espressione della comunione in Cristo con tutti i fratelli,
sorgente di fecondità apostolica e missionaria per la salvezza del mondo.
L’ASCESI
OGGI
Possiamo domandarci ora quali prassi
ascetiche tradizionali possono essere oggi al servizio del grande programma
ascetico della configurazione a Cristo e del vissuto concreto del mistero
pasquale.11
– Vi è una ascesi della generosità nel
dono di sé che si esprime anche nelle privazioni e perfino nelle penitenze
corporali, per amore del Signore, caratteristica di un momento della vita
spirituale in cui il fervore e l’amore hanno bisogno di esprimersi con
generosità, pur sotto l’obbedienza e la guida del direttore spirituale.
– Esiste anche l’ascesi del realismo
nel tempo della conversione e della lotta, nel quale sembra di far esperienza
concreta e spesso concentrata di tutte le difficoltà che possono venire dalle
sollecitazioni del mondo e dalla stessa persona, che si sente sconvolta dalle
passioni e da mille debolezze, per misurare le difficoltà e il prezzo della
sequela. È il momento del realismo che punta all’accettazione di sé, alla
vigilanza, al distacco anche materiale dalle occasioni che favoriscono
l’esperienza della propria fragilità. Tutto vissuto con una grande umiltà, con
incessante preghiera, con risposte efficaci di amore, in un vivo rapporto con
il padre spirituale o il confessore.
– Si deve poi considerare un’ascesi
della maturazione nel tempo della grazia delle prove di Dio, che sconvolge i
nostri piani e guida verso una grande apertura del cuore, verso il radicarsi
delle virtù cosiddette passive ma che sono di una violenza estrema contro
l’egoismo e la superbia: l’umiltà nei confronti di Dio, la piena carità nei
confronti degli altri, l’umile sottomissione all’autorità spirituale come
accettazione di una necessaria mediazione. In questo momento non sono gli
sforzi personali di una ascesi corporale a segnare il progresso della vita
spirituale, ma la docilità e l’accoglienza della prova.
– Esiste sempre, poi, l’ascesi del
quotidiano, in una dimensione di crescente fedeltà. Senza lasciare da parte gli
atteggiamenti acquisiti, anzi rinnovandoli con generosità sempre nuova e più
purificata, essa conserva sempre viva la vigilanza davanti alla tentazione
incombente e al rischio di tornare indietro. È l’ascesi della piena adesione,
attiva e passiva, alla volontà di Dio che si dimostra santificante e si vive
con gioia nel sacramento del momento presente.
È chiaro che questo modo di proporre
l’ascesi in maniera sincronica – le forme – e diacronica – i tempi e le tappe –
vuole essere indicativo e arricchente, cercando di evitare schematismi
prefabbricati.
QUALI FORME TRADIZIONALI
DELL’ASCESI RIPROPORRE?
L’ascesi sarà sempre commisurata sui
bisogni reali della persona, sul momento caratteristico che vive, sugli aspetti
diversificanti della propria realtà, uomo e donna, sul suo carattere, sulla
situazione nella quale si trova (geografica, culturale), sulla tappa spirituale
che sta vivendo. L’accettazione della antropologia culturale, senza ignorare
quello che può essere comune in ogni tempo e in ogni luogo, condiziona pure
l’esercizio dell’ascesi. L’ascesi cristiana, per la sua caratteristica
personale-comunitaria e non individualistica – è l’aspetto ecclesiale –, ha
bisogno di una guida. Sottoporsi a una guida spirituale non è l’ultima delle
esigenze dell’ascesi cristiana.
Senza rigidità e solo con il desiderio
di una vita ascetica incarnata in grado di tradursi in forme e atteggiamenti di
intensa vita teologale e di forte personalismo, ecco alcuni suggerimenti.
L’ascesi corporale
L’ascesi corporale che non è guidata da
un concetto erroneo della materia, né si compiace in certo masochismo, può e
deve essere proposta oggi come una forma di ascesi e di mortificazione. Sarebbe
erroneo pensare che il corpo non debba esprimere la sua sottomissione allo
spirito e sarebbe mancanza del realismo dell’incarnazione voler sottrarre il
proprio corpo alla dimensione della lotta, dell’oblazione della vita.
Il digiuno, con tutta la forza
simbolica e terapeutica, e la preghiera con il proprio corpo, possono esprimere
la libertà spirituale e la sinergia con la quale il corpo diventa il miglior
alleato dello spirito, ed esprimere anche l’amore verso Dio e la bellezza
dell’ascesi cristiana. Non dimentichiamo le parole di Paolo che sono alla base
di una certa ascesi corporale: «Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in
schiavitù...» (1Cor 9,27).
Del digiuno oggi si sottolineano alcuni
valori: quello del dominio di sé in un aspetto fondamentale della vita umana:
privazione del cibo e delle bevande con sobrietà, preparazione per una maggiore
disponibilità alla preghiera, per prendere decisioni, dimensione del corpo in
attesa di Dio, esperienza del Cristo in noi che digiuna, un certo distacco
rispettoso dall’abuso delle creature che Dio ha pure posto al nostro servizio.
Ha scritto O. Clément : «Il digiuno
significa un cambiamento radicale del nostro rapporto con Dio e con il mondo.
Dio, e non l’ego, si colloca al centro e il mondo è visto come sua creazione:
dialogo degli uomini tra loro e con il creatore. Il digiuno impedisce all’uomo
di identificarsi con il mondo nella sola prospettiva del possesso,e gli fa
vedere il mondo in una luce venuta d’altrove. Ogni essere, ogni cosa diviene
allora oggetto di contemplazione. Il digiuno introduce tra l’uomo e il mondo la
distanza del rispetto e della meraviglia, permette all’uomo di avere fame anche
di Dio e di accogliere, di riflettere in sé la fame, il “sospiro” del
creato».12
È di attualità quanto ha messo in luce
la nota pastorale della CEI sul digiuno e l’astinenza, dove vengono sollecitate
anche nuove forme penitenziali in relazione ad alcuni settori del consumismo
della nostra società.13
C’è anche l’ascesi del lavoro faticoso
e umiliante che, se è espressione di servizio e di carità concreta, esprime
chiaramente il dono della vita per gli altri, la dimenticanza di sé, l’amore
incarnato, il sacrificio del proprio egoismo sull’altare del fratello.
Spesso l’esperienza della fragilità del
peccato che macchia i nostri sensi, richiede come compensazione spirituale e
psicologica l’ascesi corporale, non escluse, con discrezione, alcune penitenze
classiche come il cilicio e la flagellazione, non del tutto sparite anche nella
prassi di alcuni settori della Chiesa, non solo monastici.
Il digiuno spirituale
Probabilmente il digiuno nella nostra
società, senza trascurare l’aspetto di privazione o regolazione del cibo che
dovrebbe essere coltivato con più regolarità in alcuni ambienti religiosi e
monastici, acquista oggi una valenza simbolica che rimanda ad altre privazioni
e altri digiuni. La tradizione della Chiesa ha sempre considerato questa
espressività simbolica, come esprime molto bene un inno della liturgia di
Quaresima: «Utamur ergo parcius verbis, cibis, et potibus, somno, iocis et
arctius perstemus in custodia». Uso più moderato delle parole, del cibo e delle
bevande, del sonno e dei giochi per essere più vigilanti.
Oggi l’ascesi deve fare i conti non
solo con un dominio dei bisogni del corpo, ma con una società consumista che ha
moltiplicato bisogni e desideri, eccitando positivamente l’immaginazione e i
sensi e rivelando anche al nostro subcosciente il modo di soddisfare
effettivamente tali desideri.
Nella società consumistica attuale una
ripresa della propria libertà, davanti ai bisogni indotti dalla propaganda,
passa per un salutare digiuno degli occhi, fatti per contemplare altrimenti
Dio, i fratelli e le sorelle, il mondo. Si tratta anche del digiuno delle
parole che hanno bisogno di essere più sostanziali e scaturite dal silenzio,
per essere parole di amicizia vera, di sapienza, di carità. Si tratta di
assaporare con umiltà che si può vivere anche con poco e che certe abitudini
contratte di dipendenza dal fumo, dalla televisione, da giochi, sono niente
altro che schiavitù ormai accettate e davanti alle quali ci siamo arresi,
giustificando poi in mille modi, consapevoli o no, i nostri comportamenti.
Il miglior digiuno spirituale sarà
sempre il dominio di qualche atteggiamento personale difettoso o peccaminoso
che impedisce in modo concreto il passaggio in noi della linfa vitale della
volontà e dell’amore di Dio. Una vera e propria ecologia del corpo e dello
Spirito che oggi può essere praticata.
Ascesi della fedeltà alla volontà di
Dio
È imprescindibile per l’ascesi,
personale e comunitaria, la puntualità e la fedeltà con le quali si segue un
orario, un concreto programma di vita, si compiono gli impegni contratti, si è
fedeli alla parola data. E tutto questo nella complessità della vita moderna
che ci impone di essere flessibili e vigilanti per accogliere la volontà di Dio
nel momento presente. Quest’ultimo è il vero sacramento dell’accoglienza della
volontà di Dio nella nostra vita, con tutte le sorprese che ogni giorno
sconvolgono i nostri piani, per entrare nei piani di Dio, con una ginnastica
della mente e del cuore e una grande dose di carità per concentrarsi nel volere
di Dio, con il quale ci si comunica, quasi come con la sua parola e con
l’Eucaristia.
Questo tipo di ascesi richiede una
grande capacità di vigilanza, un’educazione alla vita teologale, al camminare
costantemente alla presenza di Dio, a tagliare tutto ciò che non è necessario e
non è la sua volontà, per immergersi con gioia e fatica insieme nell’attimo
presente di un impegno, di un lavoro, di un incontro, dell’ascolto di una
persona. È l’ascesi della disponibilità totale che richiede unificazione
interiore e postula anche un equilibrio che ricupera tutte le energie interiori
e tutta la libertà liberata dall’amore di Dio e del prossimo.
Si tratta di acquistare una leggerezza
ascetica, per nulla rigida, anzi sorridente e simpatica, di vivere il martirio
bianco, come lo chiamava Pavel Evdokimov, con il quale si attua la migliore
misura dell’ascesi, quella del dono della vita: dono sacrificale dell’offerta
di sé, del proprio tempo, delle proprie qualità, non vivere per se stessi ma
per Dio e per gli altri, dono oblativo santificante perché si lascia che Dio
viva in noi con la sua volontà, e salvifico per gli altri in quanto diventa
carità che vivifica.
Oggi siamo anche invitati a considerare
con realismo come esista tutta una ascesi non cercata, non programmata da noi,
ma ben intrecciata nelle vicende di ogni giorno, nella trama sociale del nostro
vivere e che richiede vigilanza e spesso anche la testimonianza della serenità
del cristiano che reagisce con calma e talvolta con sereno senso dell’umore là
dove altri manifestano palesemente il loro nervosismo, nelle innumerevoli
piccole o grandi frustrazioni della vita moderna così ben congegnata per
suscitare nervosismo e stress, nel traffico caotico della città, nelle file
interminabili degli sportelli pubblici, nelle attese che logorano...
Scrittori del nostro tempo invitano a
valorizzare anche questa ascesi moderna: «Nelle condizioni attuali, sotto il
peso del superlavoro e dell’usura dei nervi, la sensibilità cambia; la medicina
protegge e prolunga la vita, ma diminuisce al tempo stesso la resistenza alle
sofferenze e alle privazioni. L’ascesi cristiana non è che un metodo al
servizio della vita, e cercherà di accordarsi alle nuove necessità. La Tebaide
eroica imponeva severi digiuni e costrizioni: oggi il combattimento si sposta.
L’uomo non ha bisogno di un dolorismo supplementare; cilicio, catene,
flagellazioni, rischierebbero di spezzarlo inutilmente. La mortificazione può
essere vista come la liberazione dal bisogno delle droghe: velocità, rumori,
eccitanti, liquori… Piuttosto l’ascesi come riposo imposto, la disciplina della
calma e del silenzio, periodici e regolari, in cui l’uomo ritrova la facoltà di
fermarsi per la preghiera e la contemplazione, anche in mezzo a tutti i rumori
del mondo, e sopratutto di ascoltare la presenza degli altri.
Il digiuno, anziché la macerazione che
ci si infligge può essere la rinuncia al superfluo, spartendolo con il povero,
in un sereno equilibrio. Le modalità dell’ascesi, come il volto dei santi,
riflettono il tempo in cui si vive... L’ascesi moderna va vista al servizio
dell’umano che l’incarnazione ha assunto; si opporrà perciò violentemente alla
diminuzione e alla dimissione dell’uomo... L’ascesi negativa della regolazione
si allea a quella positiva di acquisizione e di crescita dei carismi. In senso
lato l’asceta è il cristiano attento agli appelli dell’evangelo, alla gamma
delle beatitudini, che cerca l’umiltà e la purezza del cuore per liberare il
prossimo».14 Un altro autore spirituale ha scritto: «Le penitenze più indicate
per il nostro tempo sono probabilmente la preoccupazione per la gentilezza e la
proprietà, una buona igiene e una giusta misura di cibo e di sonno, poveri ma
sufficienti, lo sforzo prodotto per dominare la febbre del lavoro e riservarsi
tempi di silenzio e di preghiera, la preoccupazione per la fedeltà all’altro e
lo zelo nel rendergli servizi, piccoli e grandi».15
Oggi quindi, senza nulla togliere alle
funzioni e alle forme di una ascesi tradizionale, si cerca di proporre
l’esercizio della lotta illuminato dalla carità e quindi orientato verso la
piena realizzazione dell’immagine e somiglianza di Dio, verso la
trasfigurazione della persona in un effettivo equilibrio umano e divino. È
quindi normale che, in una ascesi che si situa in un dinamismo di crescente
fedeltà alla grazia, si insista di più sull’equilibrio degli aspetti che si
devono coltivare, in maniera che sia la carità, l’amore di Dio e del prossimo a
riordinare dal di dentro tutta la vita delle persona, affinché in essa si
esprima la perfezione dell’immagine e la maturità del cristiano che vive in
Cristo. In questo modo, in una visione che tiene conto di quanto Tullo Goffi
chiama l’antropologia culturale, la temperie spirituale del nostro tempo, la
persona possa indurre una ascesi positiva e teologale che esprima la ricchezza
del Vangelo nella propria vita.
ALCUNI ATTEGGIAMENTI
FONDAMENTALI
Bisogna ricordare che secondo alcuni
scrittori orientali, l’ascesi non solo favorisce la bontà del cuore e delle
opere, ma esprime al vertice la bellezza della persona, l’armonia della
redenzione e della salvezza. L’ascesi ha anche la funzione di ridonare alla
persona l’estetica dell’uomo nuovo, a immagine di Cristo.
Puntare sull’impegno personale
Da una parte, nel tempo del pensiero
debole, è necessario ricuperare nella prospettiva dell’ascesi cristiana, tutta
la forza del personalismo, cioè l’impegno personale, forte e maturo di fronte a
Dio, alieno dalla superficialità di programmi senza fatica e senza esigenze, o
dal collettivismo facile. La preghiera, come l’ascesi e la vocazione cristiana,
hanno una forte caratteristica personale. I programmi comuni non colmano le
esigenze del proprio carattere, della propria vocazione, delle proprie
fragilità e delle esigenze di Dio. Oggi più che mai bisogna lodare chi si sa
impegnare in prima persona davanti a Dio, alla Chiesa, ai fratelli. È chiaro
che oggi i programmi comuni non favoriscono l’ascesi e la mortificazione.
Difficilmente dal gruppo come tale provengono proposte esigenti di ascesi, di
rinuncia. Bisogna far appello alla sincerità e all’eroismo personale,
specialmente in un cammino vocazionale e nelle sue singole tappe.
Una dimensione ecclesiale e comunitaria
Il personalismo ecclesiale si misura
con la mediazione utile se non necessaria di educatori, confessori o direttori
spirituali; solo in quest’ottica l’ascesi può essere ben orientata, in modo da
salvaguardare con il confronto la sincerità della propria situazione, cercare e
applicare i rimedi più adatti, stimolare la generosità o pilotare le
intemperanze, verificare i progressi.
Inoltre, nella prospettiva di una
spiritualità più comunitaria e apostolica, l’educazione ascetica dovrà aprirsi
alla misura della carità che diventa ascesi della comunione e alla generosità
apostolica che esprime il senso positivo dell’ascesi e della mistica cristiana.
Infatti l’ascesi, per riprendere l’immagine cara a Giovanni della Croce, segue
la logica della trasformazione del legno verde in fuoco incandescente che
illumina e riscalda; e la massima espressione del cristiano, purificatosi e
purificato da Dio, è in tutte le tappe della progressiva risposta vocazionale
un cristiano che ha vinto in sé l’egoismo che accentra in sé e paralizza, e lo rende
trasparente e generoso uomo della carità, capace di donarsi senza stancarsi. Si
tratta di orientare l’ascesi nella dimensione della carità e della comunione,
un aspetto forse nuovo nell’impostazione attuale della spiritualità.
La necessità e la bellezza dell’ascesi
nel mondo di oggi è tutta misurata dalla bellezza di una vita cristiana piena,
di una esperienza della comunione con il Signore, in una esistenza che assapora
per connaturalità del dono il modo di essere e di vivere di Cristo, impossibile
senza un’immedesimazione con i sentimenti di Cristo Gesù. Sta qui la misura e
l’impegno di una vera ascesi al servizio della vera vita in Cristo e sotto
l’azione dello Spirito.
Essa dovrà ritrovare le sue radici
nelle esigenze della sequela, nella grazia della comunione con lui, per
rileggere in modo personale le scelte caratterizzanti di un vissuto “cristico”
che chiamiamo ascesi. Basterebbe pensare al periodo ascetico di Gesù posto
all’inizio della sua vita pubblica: l’esperienza del deserto e della solitudine,
il digiuno e la preghiera, la tentazione subita e vinta, la risposta esemplare
data alla triplice tentazione superata; la misura ascetica delle beatitudini e
delle esigenze del discepolato, la libertà da ogni condizionamento umano... Ma
qui bisognerebbe riprendere tutto il discorso evangelico e scoprire l’ascesi
“cristica” per viverla dal di dentro, dalla vita in Cristo.
Cristo rimane la misura e la
motivazione essenziale di ogni ascesi che non può non prospettare come limite
il vissuto del mistero pasquale, la morte risurrezione o la morte vivificante,
come dicevano i Padri; e ciò non è possibile senza un amore che sia fondamento
di ogni ascesi.
La radicalità dell’ascesi cristiana,
come cammino verso la conformazione a Cristo, mette in luce la triplice
esigenza fondamentale della verginità per il regno, della povertà e
dell’obbedienza, che la tradizione cristiana ha individuato come consigli
evangelici che sono insieme imitazione esteriore e configurazione interiore a
Cristo. E non deve essere tralasciata nell’orizzonte della propria esperienza
la prospettiva del martirio, quello violento che immerge nel sangue stesso di
Cristo, e quello quotidiano, il “martirio bianco” della perseverante fedeltà
nell’amore.
P. Jesús Castellano Cervera ocd
1 Per una visione generale dell’ascesi
cristiana cf. BERNARD Ch - GOFFI T., Ascesi, in Nuovo Dizionario di
Spiritualità, Ed.. Paoline 1987, pp.65-85, ANCILLI E., Ascesi, in Dizionario
Enciclopedico di Spiritualità, Roma, Città Nuova, 1990, pp. 211-216. AA.VV., Ascesi
cristiana, Roma, Teresianum, 1977.
2 Citato da ANCILLI E., Impegno umano e
grazia divina, in AA.VV. Ascesi cristiana, p. 22.
3 Congregazione per gli istituti di
vita consacrata e le società di vita apostolica, Potissimum Institutioni,
Direttive sulla formazione negli istituti religiosi, nn. 36-38.
4 Ivi, n. 37.
5 L’inchiesta, promossa dalla rivista
Christus nel 1956, è stata riportata in sintesi da BARRA G., Cristianesimo
adulto, Milano 1962, pp. 249-252.
6 Cfr. HAZIM I., La Resurrezione e
l’uomo di oggi, Roma, Ave, 1970, p. 78.
7 L’ascesi cristiana come evento
pasquale, in AA. VV., L’ascesi cristiana, pp. 285-303. Di questo articolo
riprendiamo alcuni concetti nella parte teologica.
8 CLEMENT O., Riflessioni sull’uomo,
Milano, Jaca Book, 1975 (20 ed.) p. 15.
9 Ivi
pp. 15-45; i titoli dei due primi capitoli di questo libro indicano il
contenuto: Conversione come fondamento dell’antropologia (più esattamente
secondo l’originale francese: Une antropologie où l’on entre par le repentir),
L’uomo come immagine di Dio.
10 CLEMENT O., o.c., pp. 147-148.
11 GENTILI A., Dio nel silenzio, Milano
1986, pp. 167-174.
12 O. ClEMENT, Alle fonti con i
Padri, Roma, Città Nuova, 1987, p. 138.
13 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il
senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, Roma 1994.
14 P. EVDOKIMOV, Le età della vita
spirituale, Bologna 1964, pp. 60-61.
15 L. Leloir, citato da A. Gentili in
Dio nel silenzio… p. 168.