CON GESÙ NEL CUORE
E SULLE LABBRA
Il presbitero, se sa penetrare in profondità questo mistero, si renderà
conto che nell’ascoltare le confessioni ascolta Gesù.
C’è una continuità fra il mistero
dell’abbassamento di Gesù al Giordano e il sacramento della penitenza.
A prima vista, non appare così
evidente.
Ma se facciamo attenzione a ciò che
il ministro dice al penitente all’inizio
della confessione, tutto si fa più chiaro: «Il Signore sia nel tuo cuore e
sulle tue labbra perché tu possa pentirti e confessare umilmente i tuoi
peccati».
Questo implica che il presbitero
ascolti la confessione delle colpe come se fosse Gesù stesso a parlare in colui
che confessa i propri peccati.
Bisogna soppesare ogni parola, perché
le conseguenze di questa visione di fede possono essere di estrema importanza.
Il presbitero, in questa prospettiva,
si identifica con Giovanni Battista. Come il Battista dovrà lasciare che Gesù
venga a lui: Gesù che stava nella folla dei peccatori, l’Agnello di Dio che ha
preso su di sé i peccati del mondo. Gesù infatti si trova anche oggi fra i
peccatori. Ha scelto l’ultimo posto, e mai lo lascerà.
Egli “confessa” ancora e sempre i
peccati degli uomini, dopo essere disceso fin nel più profondo del loro cuore
(«Il Signore sia nel tuo cuore»), e balbetta sulle loro labbra impure e sordide
le colpe più segrete («Il Signore sia sulle tue labbra»).
Il presbitero, se sa penetrare in
profondità questo mistero, si renderà conto che nell’ascoltare le confessioni
ascolta Gesù. La sua prima reazione non potrà essere che quella di Giovanni
Battista: «Chi sono io perché Gesù venga a me?». Ma al tempo stesso comprenderà
che non può sottrarsi a questo servizio della Chiesa e che deve così lasciare
che si compia ogni giustizia.
Perciò obbedirà con la stessa umiltà
del Battista ascoltando la parola del penitente come la parola stessa di Dio.
Ascolterà, anche se sa di essere
peccatore quanto l’uomo che gli confessa le proprie colpe.
Continuamente, il presbitero ripeterà:
«Tu vieni a me, Signore, quando sono io che dovrei venire da te!».
Il penitente, dal canto suo, se arriva
a percepire, per la grazia della fede che lo illumina, che Gesù è sulle sue
labbra e nel suo cuore, confesserà i propri peccati in ben altra maniera.
Nel momento stesso in cui li
manifesterà, essi non gli appartengono già più: li ha presi su di sé Gesù, che
va verso il Padre e glieli presenta con fiducia.
La confessione si trova così liberata
da ogni timore.
Essa diventa ciò che è in realtà: un
cammino di fede.
Il suo frutto è una gioia intensa: Gesù
ora parla in me. Basta che io gli offra la povertà delle mie parole, il vuoto
del mio cuore, il legno secco di tanti peccati.
A partire da questo nulla, ecco
avvenire una nuova creazione. La solitudine diventa luogo di comunione.
Sì, gioia, gioia... lacrime di gioia!
Se siamo così tristi, è perché non ci
confessiamo quasi mai.
Alla luce dell’evangelo e del battesimo
di Gesù il presbitero che ascolta le confessioni annuncerà, come Giovanni
Battista, le meraviglie di Dio.
La vita pubblica di Gesù conosce un
nuovo inizio, è attualizzata ogni volta che nel suo nome qualcuno confessa con
fede i propri peccati.
Gesù passa per la porta stretta della
confessione per annunciare ancora oggi l’evangelo al nostro tempo.
L’uomo peccatore diventa missionario in
Gesù. La parola che confessava la colpa può anche proclamare la buona novella:
la maledizione cede il posto alla benedizione.
David, che è tipo del grande peccatore
che si converte, ha percepito questa continuità fra il perdono e l’esigenza
dell’ “evangelizzazione”: «Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me
uno spirito generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie, e ritorneranno a te i
peccatori» (Sal 51,14-15).
Attraverso la confessione, in Gesù, gli
uomini sono liberati e si rialzano coscienti della loro dignità e
responsabilità. L’accoglienza del sacramento, del resto, si conclude con la
missione: «Va’ in pace!». Si potrebbe parafrasare: «D’ora in poi sii uno strumento
di pace; non vivere più per te stesso, ma lascia che sia Gesù a vivere in te e
per mezzo di te».
Jean-Pierre Van Schoote
da Miseria e misericordia, Qiqajon/Bose 1992.