MORIRE OGGI PER LA GIUSTIZIA.
MARTIRE DELL’AMAZZONIA
Suor Dorothy Stang lavorava da vent’anni nella Commissione Pastorale della
terra (CPT) con passione missionaria e competenza. Per il sogno di un’Amazzonia
feconda nella libertà è stata uccisa.
«A morte da floresta é o fim da nossa
vida», la morte della foresta è la fine della nostra vita. Con questa scritta
stampata in petto è andata incontro a una morte annunciata irmã Dorothy Stang,
settantatreenne suora americana naturalizzata brasiliana, della congregazione
di Notre Dame de Namur, alle ore 9 di sabato 12 febbraio 2005, presso Anapú nel
sud ovest dello stato di Parà. “La morte di suor Dorothy conferma l’urgenza di
una seria riflessione nazionale sulle cause della violenza e sui modi di
superarla; mette in evidenza il bisogno di approfondire la solidarietà sociale
in Brasile, attraverso politiche pubbliche che promuovano il rispetto della
dignità e i diritti essenziali di ogni persona umana e assicurino giustizia e
pace per tutti. Inoltre mette in evidenza l’importanza di disarmare le mani e
gli spiriti, senza soccombere alle intimidazioni, in uno sforzo paziente per
promuovere una vera cultura di pace». Così recita il messaggio della presidenza
della Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani.
SORELLA
DEI SENZA TERRA
Suor Dorothy Stang, che era ormai
divenuta un’interlocutrice obbligata per parlamentari, ministri federali e
stampa brasiliana, lavorava da più di vent’anni nella Commissione pastorale
della terra (CPT), accompagnando con passione la vita e la lotta dei lavoratori
dei campi nella regione trans-amazzonica. Aveva di recente ricevuto il titolo
di “cittadina di Parà” e si era vista assegnare il premio “José Carlos Castro”
dell’ordine degli avvocati del Brasile per il suo impegno in difesa dei diritti
umani. Perciò il vescovo dom Erwin Krautler esprime il dolore di molti oggi
(anche e, forse, soprattutto dei non credenti): «La nostra martire Dorothy Stang
é stata uccisa perché credeva in un sogno diverso per l’Amazzonia, perché
difendeva i progetti di sviluppo sostenibile e lottava per l’asentamiento dei
semplici coloni che avevano bisogno di piantare e di vivere. Si opponeva
all’idea di crescita infinita del latifondo che, per ampliarsi, non accetta le
voci contrarie». E il vescovo dom Tomas Balduino, presidente della CPT, non può
non sottolineare che «la migliore forma di esprimere solidarietà è dare seguito
alle denunce che aveva fatto la religiosa Dorothy». La ministra dell’ambiente
Marina Silva (pupilla ed erede di un altro martire, Chico Mendes) e il ministro
dei diritti umani Mirando hanno accompagnato personalmente la veglia funebre
per confermare l’impegno del presidente brasiliano Lula a cercare giustizia.
I dati raccolti dalla CPT documentano
la morte di 1.349 persone, vittime dei conflitti per la terra avvenuti dal 1985
al 2003 in tutto il Brasile. Lo stato del Parà possiede uno dei maggiori indici
di impunità con 521 assassini e 13 condannati: in questa regione si concentra
il 50% delle vittime a livello nazionale.
Uno dei casi più eclatanti che si
ricordano è il massacro di Eldorado do Carajas, con l’assassinio di 19
contadini senza terra da parte della polizia militare nel 1996. Tutto ciò porta
il vescovo Pedro Casaldáliga a criticare oggi il governo Lula: «Non sta facendo
la riforma agraria perché sta giocando a favore delle multinazionali, dei
latifondisti e dei madeireros (taglialegna). Pensa solo al Fondo monetario
internazionale, a pagare il debito estero, a mantenere il paradiso delle
esportazioni per ottenere guadagni immediati. Prima del debito estero, Lula
dovrebbe attendere al debito nazionale con la gente che soffre la fame, è
disoccupata e soffre sempre più le conseguenze della politica aggressiva
neoliberale dell’agro-businness contro l’ambiente».
CONTINUA A VIVERE
NEL SUO POPOLO
«Dorothy, il tuo sogno di un’Amazzonia
con vita dignitosa per tutti, continua vivo nella lotta del popolo» hanno
ricordato migliaia di senza terra durante il funerale celebrato lunedì 14
febbraio. Suor Dorothy stava viaggiando con alcuni colleghi quando è stata
uccisa da tre colpi di arma da fuoco sparati da due sicari. «Come Chico Mendes,
ucciso 16 anni fa, suor Dorothy rifiutava di lasciarsi intimidire», ha commentato
Paulo Adario, coordinatore della Campagna Amazzonia di Greenpeace. Suor Dorothy
lavorava infatti senza risparmiarsi per difendere i diritti dei lavoratori
rurali e per proteggere l’Amazzonia dalla mafia della deforestazione.
Apparteneva alla congregazione fondata da Julie Billart duecento anni fa e che
riunisce oltre duemila religiose nei cinque continenti. Negli ultimi anni si
era occupata soprattutto del Progetto per lo sviluppo sostenibile che prevedeva
l’assegnazione di terre a contadini organizzati in cooperative. Riceveva
minacce da almeno otto anni e così ha fatto la stessa fine del sindacalista
Soares da Costa Filho e del contadino Cláudio Branco. Nuovo sangue che si
unisce a quello di Mendes e Federicci, di tutti coloro che hanno perso la vita
lottando per uno sviluppo sostenibile e per la terra ai contadini.
In una terra dove si moltiplicano le
violenze di armati e incappucciati (che attaccano le case dei contadini, ne
sequestrano i beni, distruggono i raccolti, sradicano i recinti mettendo in
fuga) per impossessarsi di ettari preziosi – falsificare i documenti di
proprietà, ricavare i legni pregiati e poi incendiare la selva rimanente che
così diventa pascolo da trasformare in terreno da coltivare, magari a soia (il
Brasile è uno dei maggiori esportatori di soia del mondo!) –, Dorothy e amici,
con i loro progetti di sviluppo, hanno studiato il modo di rendere armonico il
rapporto della foresta con le esigenze socio-economiche di interi villaggi.
Nella sola Anapu oltre cinquecento famiglie hanno così trasformato un’area ben
recintata di 1400 chilometri quadrati in una comunità chiamata Esperança: qui
coltivano rispettando la natura, con un’agricoltura a bassa intensità,
prendendo i frutti della foresta. Un microcosmo ideale, ispirato agli equilibri
degli indios: un esempio troppo pericoloso per i grandi proprietari terrieri
assetati di monoculture da agro-business.
Eppure il sacrificio di questa donna
sta muovendo le acque. Duemila soldati sono oggi arrivati a presidiare l’area e
Lula ha ordinato la creazione di un parco naturale di otto milioni di ettari
proprio nella zona di azione di suor Dorothy. Anche l’Istituto nazionale di
colonizzazione e riforma agraria (Incra) si è pronunciato: l’area del progetto
Esperança sarà la prima terra a essere legalmente affidata alle cinquecento
famiglie che la coltivano. La prima di una lunga lista di espropri e
riconoscimenti che si ha intenzione di eseguire nei prossimi giorni. Oltre alle
aree intoccabili, il governo ha fissato divieti temporanei per l’abbattimento
di alberi in aree del Parà limitrofe alla Transamazzonica Br-163, l’autostrada
che è la chiave di volta della questione e alla quale è legato il destino di
suor Stang. Inoltre, Lula ha deciso di creare una task force per investigare
sugli omicidi, fermare la corsa all’occupazione abusiva di terre e raffreddare
i conflitti tra latifondisti e contadini senza terra.
L’intervento governativo in Amazzonia è
visto da più parti come un segno di svolta, dopo un periodo di forti polemiche,
nate soprattutto intorno al progetto di asfaltare la Br-163, che unisce le
città di Cuiabà e Santarem (quasi duemila km!), tagliando in due l’Amazzonia da
sud a nord. Il boom economico nelle regioni del Mato Grosso e del Parà ha
spinto Lula ad approvare il rifacimento della strada, tra l’entusiasmo degli
imprenditori e l’indignazione degli ambientalisti. I primi vedono realizzato il
sogno di imbarcare soia, grano e carne su camion, per arrivare rapidamente ai
terminal fluviali nel Rio delle Amazzoni; i secondi ricordano che la
distruzione della foresta arriva sempre dopo le colate di asfalto. La stessa
ministra Silva ha dovuto precisare che il pacchetto anticrisi «è frutto di una
lunga gestazione e oggi lo dedichiamo alla memoria di suor Dorothy».
Una memoria che rimarrà nel popolo dei
senza terra e delle religiose lationoamericane, che sapranno trovare la forza
di seguire la testimonianza di questa consacrata capace di dare la vita certa
della incommensurabile bontà del buon Dio verso i piccoli e le vittime. Era
questo infatti il cuore della sua spiritualità, che le faceva dichiarare
recentemente: «Io non voglio abbandonare la lotta di questi contadini che
vivono nella foresta senza alcuna protezione. Essi hanno il sacrosanto diritto
di aspirare a una vita migliore sulla terra dove possono vivere e lavorare con
dignità nel rispetto dell’ambiente».
M.C.