I 150 ANNI DELLE ADORATRICI DEL SS.MO SACRAMENTO
NON SOLO UNA STORIA DA RICORDARE
L’istituto, nato da una intuizione di santa Maria Micaela, unisce nel suo carisma l’adorazione
dell’Eucaristia e l’impegno per la liberazione e la promozione della donna
emarginata, sfruttata dalla prostituzione, vittima di situazioni che la rendono
schiava.
«Voi non avete solo una gloriosa storia
da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con
voi ancora cose grandi».
Non c’è forse affermazione più
appropriata di questa, ricavata dall’esortazione apostolica Vita consecrata,
per parlare delle suore adoratrici ancelle del santissimo Sacramento e della
carità che il 1 marzo prossimo apriranno
ufficialmente, a Madrid, le celebrazioni per il 150° anniversario della nascita
della loro congregazione. La commemorazione di questo evento,
infatti, per la congregazione, non vuol essere soltanto un ricordo, ma la
celebrazione di una realtà che, al di là delle luci e delle ombre che l’hanno accompagnata lungo
la storia, continua a essere viva e a generare vita.
LA RAGAZZA
DELLO SCIALLE
La congregazione delle suore adoratrici
nasce in un modo quasi miracoloso, comunque insolito,
per quel tempo. Anche a quell’epoca
– siamo nella prima metà del secolo XIX – come oggi le strade erano popolate da
donne ridotte a sacrificare la propria dignità per un pezzo di pane, a vendere
la libertà per denaro, a scambiare l’amore con il sesso. Molte di queste
ragazze, a volte persino ricche, belle, piene di sogni e di speranze,
ingannate, finivano nei reparti ospedalieri degli infetti, dopo aver sciupato
in fretta salute, dignità, e bellezza. Perché dalla
strada all’ospedale, la distanza era davvero corta!
Ed è proprio nell’ospedale di san
Giovanni di Dio, a Madrid, in quel lontano 1840, che la giovane e brillante
viscontessa de Jorbalàn, Micaela Desmaisières Lopez
de Dicastillo e Olmeda,
trova la ragazza dello scialle, figlia di un ricco banchiere che, ingannata da
una finta marchesa, finisce segregata in una “casa di tolleranza”. Il corpo
sfigurato di quella giovane risuonerà dentro di lei come una voce martellante
che la chiama; è la voce di Dio che le dice: “Ti voglio nella mia opera”.
E la sua opera incomincia nel 1845,
nella via Dos Amigos 8, in
quella Madrid spensierata e cortigiana
che infinite volte tradì le sue promesse.
I primi dieci anni sono pieni di
difficoltà, ma anche di favori di Dio. Tre sono i fatti importati che ne
scandiscono il cammino: il reale decreto del 1856 con il quale Isabella II di
Spagna concede
il “permesso per stabilire dentro e fuori della Corte case o collegi per
accogliere ed educare le giovani traviate dal vizio, che desiderano tornare
sulla via della virtù”; la fondazione nello stesso anno di un nuovo collegio a
Saragozza; l’ approvazione temporanea della congregazione con il nome di
Signore adoratrici ancelle del santissimo Sacramento e della carità.
Ci sono parole fondanti il cui senso
pieno può andare molto
al di là del significato etimologico. Le case di Micaela sono per giovani che
desiderano tornare: nei loro riguardi c’è il rispetto del principio della
libertà personale, e insieme il riconoscimento di un bisogno che chiede,
accetta, si impegna e collabora. Su questa base si
costruisce la “pedagogia” dell’amore, della
responsabilizzazione: niente castighi né costrizioni, rispetto perfino
di una privacy che non ha bisogno di
leggi per custodire nel modo più segreto possibile i dati delle donne accolte,
arrivando ad assegnare a ciascuna un nome “finto” per tutelare l’onorabilità di
quello vero.
E per attuare questa pedagogia ci sono
le signore, perché tali le vuole Micaela: signore, la
cui autorevolezza sostituisca i rigidi regolamenti, la cui scelta esclusiva di
Dio permetta di porre la “grata” nel cuore anziché nelle finestre, il cui
portamento dignitoso e semplice possa fare a meno dei consueti vestiti
monacali, così vistosi nelle fondazioni di quei tempi; signore per la coerenza di una vita che
trascina più con l’esempio che con l’autorità che il ruolo conferisce. In una
parola; signore, come il Signore Gesù, che da ricco
che era si fece povero.
Alla base di tutto sono posti l’amore e
la vicinanza, ossia una pedagogia della libertà e della condivisione. E un atteggiamento di totale servizio in favore delle donne accolte.
Questo metodo ha sempre caratterizzato lo
stile e i progetti delle suore adoratrici e così viene riproposto anche nelle
attuali costituzioni: «Gesù venne a cercare quello che era perduto, accolse la
Maddalena, perdonò e liberò la donna sorpresa in adulterio e si manifestò alla
samaritana. Fu questo spirito evangelico a caratterizzare il rapporto di santa Maria Micaela con queste donne fino a dare la vita per esse, ed è ancora oggi lo stesso spirito che anima la
missione apostolica della nostra congregazione (Cost. 1987, 14) …Come la nostra
santa fondatrice ci avviciniamo alla donna alla quale siamo state inviate
rispettando la sua libertà e dignità personale, con atteggiamento di
disponibilità, ascolto e comprensione» (Cost. 1987, 17).
LA CENTRALITÀ
DELL’EUCARISTIA
Ma tutta questa creatività pedagogica, e soprattutto questa
passione di essere, non solo per ma anche con, ha una fonte ben precisa:
l’eucaristia. È il Cristo presente, fatto pane per essere mangiato che diventa
il movente di una spiritualità tutta eucaristica: «Il nome di
adoratrice e schiava del santissimo e della carità ci obbliga ad adorare
il Santissimo sempre, senza mai separarci da Gesù, come una schiava che una
catena fa camminare unita al tabernacolo dove dimora il Santissimo Sacramento,
e anche una schiava della carità, che è chiodo di amore. L’amore verso Gesù la
fa guardare al suo prossimo come a se stessa, e questo è un precetto posto da
Dio, e per compiere questo mandato siamo sue schiave»
(Regolamento interno, 1845).
«Anche oggi,
nella contemplazione, nell’adorazione continua davanti al tabernacolo impariamo
ad amare le nostre giovani e a lavorare e vivere per loro (Cost. 1987, 13). E
poi, sulle strade, la contemplazione e l’adorazione acquistano il senso più
vero nel condividere il dolore e la fatica di tante giovani donne vittime di indicibili forme di schiavitù. «Io lasciavo quell’ora di orazione nella
cappella per continuarla nell’infermeria, come se fosse una continuazione di
quella». Esiste quindi un binomio inscindibile tra l’adorazione e l’impegno di
liberazione, in perfetta sintesi e in armonioso equilibrio.
Micaela muore nel 1865, lasciando
aperte 7 case con 90 suore adoratrici, 12 novizie e molte donne nei suoi
collegi.
Dopo la scomparsa della fondatrice e
una volta approvate definitivamente dalla Santa Sede
le costituzioni (1866), la congregazione alterna periodi di maggior apertura ad
altri più rigidi e oscuri. A succedere a Micaela, in qualità
di prima superiora generale è chiamata una donna «insicura e malaticcia,
(che) carica la comunità di preghiere e devozioni come se fossimo carmelitane
scalze»”, come si legge nella Historia del Instituto, e cerca di omologare la congregazione alla vita
di clausura, appoggiandosi sul fatto che l’adorazione ci connota come suore di
vita “prevalentemente contemplativa”. Questa scelta si riflette negativamente
anche sui collegi che finiscono con l’assomigliare ai
dei luoghi di correzione e anche l’abito delle suore si adegua rigorosamente
alle “mode” monacali. Fortunatamente la terza superiora generale, madre Spirito
Santo – questo il suo nome – durante i suoi 14 anni di mandato, rimise il
carisma decisamente così come era stato voluto dalla
fondatrice.
Con l’andare degli anni, la
congregazione comincia a espandersi e a prendere le
vie del mondo: giunge prima in Italia
nel 1899, poi in Argentina, Cile, Bolivia, Venezuela, Giappone, Marocco… fino a
mettere piede in India, a Puri, cuore dell’induismo
e, nel 2004, anche in Cambogia. L’unico obiettivo che la guida è quello di
aiutare la donna là dove essa soffre, valorizzando le risorse della sua
cultura, e con l’adozione delle forme più rispettose del contesto
sociale dove si trova.
La spinta del
concilio Vaticano II che chiede a tutte le congregazioni un ritorno alle fonti,
interpella anche le adoratrici in maniera profonda. Ci sono delle correzioni da
fare, nella sostanza e nella forma, e i capitoli generali si mettono all’opera.
Quello del 1975 (XXIII) redige un nuovo testo delle costituzioni, che vengono approvate in forma sperimentale, ma si tratta
soltanto di un timido adeguamento ai tempi.
Spinte più decise e innovative giungono
dal XXIV capitolo generale. Nonostante una certa
fatica ad accoglierle, esse permettono la realizzazione, in contesti
diversi, di progetti muovi, più agili, più spogli, inseriti nel territorio e
più vicini alla gente. Si aprono comunità “diverse”, con poche suore, dove si
condivide con le ospiti la mensa e gli spazi domestici, dove si diventa sempre
più “lievito che si nasconde nella massa”. Il lavoro di quegli anni per
aggiornare le costituzioni fa tesoro delle esperienze di frontiera già avviate,
e così, nel XXV capitolo generale del 1987 si giunge
alla compilazione del testo definitivo. La congregazione le accoglie come
soffio dello Spirito che traccia ambiti e apre strade muove per un nuovo mondo
multirazziale e globale: «Il mistero di Cristo
nell’eucaristia è presenza della sua persona e della sua vita donata per tutti,
che ci interpella e ci spinge a scoprire il suo volto
doloroso nel mondo , e a realizzare la mostra missione». (Cost. 1987, 13)
UN CARISMA CHE HA
SAPUTO RINNOVARSI
Dagli albori degli anni 1980 in poi,
nello scenario sociale compaiono, aggravati, alcuni fenomeni devianti: droga,
tratta, multinazionali del crimine, violenza domestica. Le donne, più fragili,
meno tutelate, più esposte, hanno bisogno di spazio, di calore, di tutela. Ai
grandi collegi si
sostituiscono le piccole comunità, case in mezzo alle altre case, con uno stile
di vita austero ed essenziale. Le più diverse professionalità (avvocati,
psicoterapeuti, personale medico… alcuni volontari, altri dipendenti)
arricchiscono il lavoro delle équipes educative che,
come tali, si sforzano di fare della casa il luogo dei rapporti e degli
affetti, dei valori e dei progetti, dove la fede e la fraternità delle suore,
la gratuità dei volontari, la professionalità degli esperti, si intrecciano con il dolore e le
speranze delle donne che sognano una vita migliore. «La fedeltà alla missione
evangelizzatrice nella quale ci sentiamo impegnate, ci chiede di cercare con
audacia e creatività risposte adeguate alle forme di oppressione
esistenti e ad altre muove che possiamo scoprire nella società» (Cost. 1987,
19).
Le priorità dell’ultimo capitolo
generale si sono concentrate sull’emergenza tratta, potenziando i luoghi di accoglienza già esistenti e creandone altri, destinati a
queste donne ridotte a schiavitù. Da diversi anni la congregazione aderisce a
movimenti nazionali e internazionali (CNCA, Progetto Speranza, ecc.) che
combattono e denunciano le mafie che gestiscono il traffico delle persone: «Le
condizioni di oppressione nelle quali vivono le
persone e i settori che evangelizziamo, ci spingono alla denunzia profetica
delle strutture che non rispettano i diritti umani. Uniamo le mostre forze a
quelle dei gruppi e istituzioni che nella società s’impegnano a favore
dell’uomo, affinché l’amore di Dio si faccia reale e concreto». (Cost. 1987, 16).
Nel 2000, in Italia, è stata avviata una ONLUS, Associazione Micaela, che gestisce 4 case di
accoglienza per giovani prostituite e una comunità psicoergoterapica
per donne tossicodipendenti, alcune accolte insieme ai propri bambini. Una
suora della comunità di Roma coordina il laboratorio interno del carcere di Rebibbia e collabora con l’OIM (Organizzazione
internazionale per le migrazioni) accogliendo presso quella comunità donne con
decreto di espulsione, in attesa del rimpatrio.
Durante questo 2005, anno
dell’Eucaristia, si celebrerà a Bari il congresso eucaristico nazionale. Il
vescovo di questa città, mons. Francesco Cacucci, ha
voluto arricchire la preparazione di questo evento con
l’apertura di una comunità di suore adoratrici nella sua diocesi. La curia ha
messo a disposizione della congregazione una casa, inaugurata dal vescovo e
dalle autorità locali il 30 novembre del 2002, e destinata
ad accogliere ragazze provenienti dalla tratta.
Tra le manifestazioni celebrative dei
150 anni, la provincia italiana ha affidato uno spettacolo al gruppo Jobel Teatro, il quale rappresenterà e canterà il dolore
delle donne sfruttate e la forza dell’amore che diventa “pane spezzato” lungo
le strade della sofferenza.
Adorazione-liberazione sono le due parole chiave del carisma delle adoratrici,
un binomio unito in una misteriosa sintesi il cui scopo
è di offrire speranza ad un mondo spesso sordo al dolore dei più deboli, spesso
vittime di una società ingiusta e indifferente.
Maria Pilar Solìs Gòmez