RIPENSARE LA VITA CONSACRATA
A PARTIRE DAL GENERE
Per una chiara visione olistica della vita consacrata è importante che essa
venga vissuta in reciprocità di esperienze tra la realtà femminile e quella
maschile. Una riflessione di p.Camilo Maccise.
«Alla donna è sufficiente ascoltare una
predica e, se vuole qualcosa di più, far sì che mentre tesse al telaio qualcuno
le legga un libro»: era a questo punto, nel secolo XVI, la storia della
relazione sociale uomo-donna; ferma a quel tipo di stima della dignità
femminile che anche “uomini di chiesa” nutrivano circa il desiderio delle donne
di accedere direttamente alle fonti della spiritualità che oggi sono normali
per qualsiasi donna, in famiglia come nella vita religiosa (VR). È il punto
messo in evidenza in un testo di F. D’Osuna che p. Camilo Maccise riporta
nell’articolo Repensar a teologia da Vida religiosa a partir do gênero,
pubblicato nella rivista della Conferenza dei religiosi del Brasile (CRB)
Convergência, XXXIX-378, dicembre 2004, 608-614.
Lo scopo, esplicito nelle parole del
citato autore cinquecentesco, era quello di mantenere la donna «sotto la mano
del marito», per cui addirittura «quando vedi tua moglie andar per luoghi di
sua devozione, ritenendosi santa, chiudile la porta; e ciò non bastando,
rompile una gamba se è molto giovane, che può andare in paradiso anche
zoppicando e senza cercare santità sospette». E il divieto – oggi risaputo, del
resto – arrivava a proibire alle donne, ma pure al popolo dei fedeli, di
leggere la sacra Scrittura, a causa anche del diffuso analfabetismo.
Esemplifica ancora p. Maccise riportando un testo del più noto teologo Melchor
Cano (1509-1560), il quale censurando il Catechismo di Bartolomeo de Carranza
gode di proibir loro la lettura della Bibbia, dicendo che per quanto esse
reclamino di gustarne il frutto «è necessario proibirlo loro, e affinché non
gli si avvicini il popolo usare coltello infuocato».
PER ENTRARE
NELLA STORIA
Il pensiero che l’ex superiore generale
dei carmelitani scalzi, ed ex presidente dell’ Unione dei superiori generali(USG),
sviluppa nel suo articolo prende avvio dall’esortazione apostolica Vita
consecrata, nella quale una formazione più profonda è esigita per le donne, non
solo in vista della migliore comprensione dei propri doni, ma pure quale
incentivo alla necessaria reciprocità con gli uomini nella Chiesa e a una loro
presenza «nel campo della riflessione teologica, culturale e spirituale»;
infatti «molto ci si attende dal genio della donna in ciò che riguarda non solo
la specificità della vita consacrata (VC) femminile, ma anche l’intelligenza
della fede in tutte le sue espressioni» (VC 58).
È vero «che a partire dal Vaticano II
le donne consacrate hanno cominciato a dire la loro parola in prospettiva
femminile nel campo della teologia della VC, mediante libri, articoli,
congressi, capitoli generali e assemblee
varie. Ma siamo appena all’inizio nel raccogliere questa sfida. Ancora
predomina la riflessione teologica maschile in ciò che si riferisce alla VR
femminile, specialmente contemplativa. E ciò priva la teologia di un
considerevole ventaglio di valide messe a fuoco sulla VR non solo femminile ma
anche maschile. La reciprocità delle esperienze è molto importante se si vuole
avere una visione olistica della VC in se stessa».
Ma per poter aiutare a comprendere che
cosa comporti raccogliere la sfida di ripensare la VC a partire dal genere p.
Maccise sottolinea – in un excursus storico istruttivo benché molto sintetico –
un motivo di notevole peso teologico e culturale in quella visione
androcentrica che ha dominato nella società, ma anche nella Chiesa e nella
teologia: un’immagine di Dio sulla quale nell’antichità si è riflettuta
l’interpretazione della maschilità di Cristo, e la conseguente organizzazione
maschile-piramidale da cui la Chiesa è partita nel non valorizzare al proprio
interno i carismi femminili, in parallelo con la strutturazione della società
esterna centrata su un ordine gerarchico discriminatorio riguardo alle donne.
DOPO LA LEZIONE
DI GESÙ
Sappiamo bene – riprende p. Maccise -
che Gesù appare come liberatore di tutte le persone specialmente ai margini
della società religioso-civile; e conosciamo dai Vangeli il suo modo di
comportarsi nei riguardi delle donne, che interpella e ascolta, con le quali
dialoga senza mai assumere atteggiamenti paternalistici. In un sistema sociale
carico di veti, di divisioni legaliste tra puro e impuro, di proibizioni nella
presa di decisioni come quella relativa al libello di ripudio, di separazioni
tra sacro e profano che escludevano le donne dal culto nel tempio, Gesù dice
una parola nuova di verità e di stima. Una parola destinata a resistere.
Infatti, «come testimoniato negli Atti degli apostoli, nei primi tempi del
cristianesimo la struttura patriarcale propria del mondo ebraico appare almeno
in parte superata, per cui si può riscontrare nelle donne anche uno statuto
attivo e responsabile».
Ma la situazione generale non tarderà a
subire altri cambiamenti, con il diffondersi del cristianesimo e nel suo
entrare in contatto con i modelli patriarcali delle diverse società, dove
l’autorità era sempre esercitata quasi esclusivamente dagli uomini.
La stessa riflessione teologica,
influenzata dal dualismo platonico e dall’androcentrismo dominante, non esiterà
a fare dell’uomo maschio il punto di riferimento nella propria elaborazione del
pensiero sull’essere umano, sulla sua dignità e i suoi diritti. Un pensiero
entro il quale l’essere umano femminile veniva considerato fisiologicamente
inferiore e, a causa dell’imperfezione del suo sesso – la imbecillitas sexus
che ne faceva, secondo un’interpretazione scolastica della genetica umana, un
maschio mancato – all’ uomo doveva rimanere assoggettata.
Dalla considerazione durata a lungo
dell’inferiorità dell’essere umano femminile, che si pretendeva espressa anche
in una debolezza volitiva e intellettuale, conseguiva la necessità che la donna
venisse guidata e orientata dall’uomo, da lui dover dipendere, a lui obbedire.
«L’educazione femminile si serviva persino della figura di Maria vista come
ideale di obbediente passività nell’ambito familiare, sociale e religioso; per
cui niente di strano se poi i monasteri di contemplative dovettero restare
sotto la custodia e la direzione della gerarchia ecclesiale e religiosa»: come
le donne sposate da custodire chiudendo bene la porta di casa.
DA TERESA D’ÀVILA
AI GIORNI NOSTRI
Osserva ancora p. Maccise che «in tutte
le epoche si sono levate voci nella società e nella Chiesa in favore della
donna, della sua uguaglianza con l’uomo e della necessità che ella abbia
opportunità di progredire in reciprocità con gli uomini. Perciò attualmente,
circa la relazione uomo-donna, si preferisce usare non il termine sesso ma
quello di genere».
Una delle voci che tentarono di levarsi
nello stesso secolo XVI era stata quella di s. Teresa di Gesù. Una voce di cui
si cercò con varie censure di abbassare il tono, in un testo della prima
redazione del Cammino di perfezione: «Signore dell’anima mia, tu, quando
peregrinavi quaggiù sulla terra, non aborristi le donne, ma anzi le favoristi
sempre con molta benevolenza e trovasti in loro tanto amore e persino maggior
fede che negli uomini... Ci sembra quindi impossibile che non riusciamo a fare
alcunché di valido per te in pubblico, che non osiamo dire apertamente alcune
verità che piangiamo in segreto, che tu non debba esaudirci quando ti
rivolgiamo una richiesta così giusta? Io non lo credo, Signore, perché faccio
affidamento sulla tua bontà e giustizia. So che sei un giusto giudice e che non
fai come i giudici del mondo, per i quali, essendo figli di Adamo e in definitiva
tutti uomini, non esiste virtù di donna che non ritengano sospetta. O mio Re,
dovrà pur venire il giorno in cui tutti si conoscano per quel che valgono. Non
parlo per me perché tutto il mondo conosce la mia miseria. Vedo però profilarsi
dei tempi in cui non c’è più ragione di sottovalutare animi virtuosi e forti
per il solo fatto che appartengono a delle donne»1.
L’articolo riparte dal secolo XIX, e
delinea rapidamente il cammino storico che arriva fino a noi: dal sorgere di un
femminismo rivendicativo mirante a ottenere gli stessi diritti di cui godevano
gli uomini alla messa in evidenza delle situazioni di oppressione di cui hanno
sempre sofferto le donne nelle società civili e religiose; dalla “scoperta”
della positività di una riflessione sull’ uguaglianza nella differenza alle
possibilità insite nella reciprocità dell’esperienza umana tra uomini e donne.
Si tratta di risultati dei
cambiamenti/miglioramenti – sottolinea p. Maccise – avvenuti «nella visione
antropologica dell’essere umano che hanno influito anche sulla Chiesa». Si
possono trovare in Vita consecrata, secondo la quale «non si può non
riconoscere la fondatezza di molte rivendicazioni concernenti la posizione
della donna in diversi ambiti religiosi e sociali, ed è doveroso rilevare che
la nuova coscienza femminile aiuta anche gli uomini a rivedere i loro schemi
mentali, il loro modo di autocomprendersi, di collocarsi nella storia e di
interpretarla, di organizzare la vita sociale, politica, economica, religiosa,
ecclesiale» (VC 57); e nella Marialis cultus di Paolo VI, che ribalta
l’immagine segnata di passività della madre di Gesù in quella di una donna
libera, vivente una fede non alienante o irresponsabile, assertrice di un Dio
che vendica i poveri e gli oppressi e rovescia i potenti dai troni (cf. MC 37);
nonché nella lettera apostolica di Giovanni Paolo II significativamente
intitolata Mulieris dignitatem. Sono,
anche questi dopo tanti secoli, segni dei tempi che lo sguardo acuto di Teresa
d’Avila vedeva profilarsi, ma alla VR occorre tuttora un ritorno più serio ai
propri elementi essenziali.
DAL GENERE
ALL’ESSENZIALE
Nel 1983 la Congregazione per i
religiosi – prosegue p. Maccise - pubblicava un’istruzione nella quale
ricordava come Elementi essenziali della VR la vocazione divina, la
consacrazione mediante la professione con voti pubblici dei consigli evangelici
e una forma stabile di vita comune; e si dilungava, per gli istituti dediti a
opere apostoliche, su un ampio corollario di elementi “secondari” che tuttavia
diceva suscettibili di modifiche a causa della prevista evoluzione storica e
culturale.
Tredici anni dopo, infatti, VC
presentava una serie di cambiamenti nel modo di intendere gli stessi elementi
essenziali e li raggruppava attorno alla consacrazione, alla comunione e alla
missione. E lo stesso Giovanni Paolo II che firmava il documento invitava a
continuare la riflessione sugli elementi così raggruppati. Come a dire che la
storia non si ferma e un ripensamento oggi degli elementi essenziali della VR
esigono un’attenzione diversa a segni nuovi: sia per la cosiddetta vita attiva
che per la vita monastica, dove le donne dovrebbero poter riflettere da
protagoniste «gli orizzonti teologici della loro vocazione e missione nella
Chiesa», letti fino a oggi con sguardo maschile.
Tra i segni rilevanti è dunque la
riflessione a partire dal genere, già proposta mediante le affermazioni dell’esortazione apostolica
post-sinodale che l’articolo di p. Maccise riprende.
Sotto l’aspetto della consacrazione, un
approccio da considerare partendo dal genere dovrebbe «approfondire il suo
significato sponsale, particolarmente vissuto dalla donna consacrata»;
quantunque la sponsalità sia propria a tutta la vita spirituale nella Chiesa,
vi si possono individuare atteggiamenti più propri al femminile come, per il
voto di castità, la capacità di comunione e di cura della vita e la dimensione
di fecondità spirituale nella dedizione a Dio e nel servizio al prossimo che
non può non riflettersi anche sul voto di povertà. E più ancora il voto di obbedienza
dovrebbe essere rivisto con sguardo femminile per trovare motivazioni nuove,
diverse da quelle tradizionali ereditate da società patriarcali: per giungere a
una «nuova comprensione dell’esercizio dell’autorità e a un’obbedienza favorita
da dialogo e corresponsabilità nella ricerca della volontà di Dio».
Riguardo all’elemento comunione, mentre
al maschile emerge la funzionalità della vita fraterna e il dinamismo
apostolico che ne deriva, al femminile i rapporti hanno uno stile più segnato
da affetto reciproco e dalla tendenza a servire, che nella missione viene
vissuta nell’amore ai più poveri, la solidarietà con la condizione femminile
nel mondo e la presenza in campo sanitario.
Si tratta di modalità diverse che in
parte derivano dal genere ma da armonizzare saggiamente a vantaggio comune.
Perciò, concludendo l’autore ribadisce l’urgenza di intensificare la
riflessione circa le prospettive femminile e maschile, destinate a reciprocità
più viva e concreta.
Zelia Pani
1 La traduzione del testo di Teresa
d’Avila è presa da CETTINA MILITELLO, Il volto femminile della storia, Piemme
1995, 218.