URGENTE RIACQUISTARE FORZA COMUNICATIVA

UNA SPIRITUALITÀ PER LE SFIDE ODIERNE

 

Spiritualità oggi è dare risposte valide all’attuale domanda di senso e produrre nuovi modelli di comportamento e nuove forme comunitarie a partire dalla vita e per la

 

Nel tentativo di uscire dalla situazione di insignificanza stanno moltiplicandosi i convegni sul tema della spiritualità che sembrano voler dire che la crisi della spiritualità è la principale causa dei tempi difficili della vita religiosa (VR).

Il fatto pone degli interrogativi. La ricerca di spiritualità è certamente determinante, infatti la fortuna delle nuove forme di vita evangelica è data prevalentemente dalla spiritualità trasparentemente perseguita, e riscontrabile in un particolare stile di vita. Però è altrettanto vero che la spiritualità nella VR è quella cosa che non può non esserci ma non è sufficiente che ci sia: è il denominatore comune di ogni forma di vita evangelica e non l’elemento differenziatore della VR che è definita anche da un insieme di tanti elementi costitutivi, comunitari e culturali.

Certamente la scelta necessaria – e oggi l’unica possibile – è quella di passare dalla prevalente pastorale dei servizi (sociali o religiosi) alla pastorale della spiritualità. Ma il discorso sulla spiritualità non è nuovo nella vita religiosa, allora la domanda da farsi è: come mai rimane muta per le nuove generazioni? Evidentemente il termine ”spiritualità” nella vita religiosa esige una faticosa riacculturazione che parte dall’accettare la transitorietà della forme di altri tempi. Spirituale era detto di chi aveva espressioni religiose, atteggiamenti pii, vita ascetica, nel significato di austera, rigorosa, lontana dai problemi della vita. Era una spiritualità percorsa da una vena di individualismo che dava rilevanza alla meditazione e agli esercizi di pietà personali, anche se fatti comunitariamente. Spiritualità oggi è quella di chi, «nutrito di Parola e liturgia, di contemplazione e discernimento, di profezia e attesa, di passione per Dio e passione per l’uomo», sa dare risposte valide all’attuale domanda di senso e sa produrre nuovi modelli di comportamento e nuove forme comunitarie a partire dalla vita e per la vita.

Si dice che i giovani, anche i più vicini, sono assenti dalle tradizionali forme: è la dimostrazione che ogni spiritualità corrisponde a un momento storico fuori del quale perde la forza significativa. Sono serviti certi canti, le lunghe cerimonie e le forme di pietà popolare, le rogazioni, i settenari, e persino l’estetismo religioso… ma oggi questo non è appellante. È vero che una percentuale di vocazioni attuali proviene dal bisogno di questo tipo di spiritualità per cui alcuni formatori traggono spunto per scelte su questa linea, ma altri, i più, vi si riferiscono per dire che la fragilità di molte vocazioni è data appunto dal ritrovarsi in questo tipo di spiritualità.

 

CAPACE DI PRODURRE

STILI DI VITA

 

Spiritualità significa vita (nello Spirito) tale da far vedere o almeno da far intuire la presenza o il fare di Cristo che salva. A tal fine non è più sufficiente una spiritualità “da religiosi” ma una spiritualità all’altezza delle sfide odierne, ricca di prospettiva laicale sempre più rivalutata nell’attuale sensibilità ecclesiale; spiritualità capace di produrre stili di vita e non soltanto pratiche di pietà, che siano risposta ai bisogni del mondo; spiritualità in cui il rapporto con Dio, da esperienza prevalentemente individuale sia esperienza che passa attraverso un rapporto con le persone perché proprio la comunione fraterna sarà l’elemento peculiare della spiritualità di domani.

Per tornare da dove eravamo partiti, si può dire che il ricorrere del tema della spiritualità all’interno della VR è dovuto alla percezione dello scarto appunto di spiritualità significante, esistente tra gli antichi e i nuovi carismi.

Detto questo però c’è da aggiungere che la debolezza di forza comunicativa della attuale VR è da ricercarsi – in misura non inferiore – anche in un altro tipo di difficoltà che provengono sia dall’interno che dall’esterno di essa. Già  si è molto parlato delle difficoltà che derivano dall’interno che sono: scarsità e defezioni di religiosi/e giovani, peso delle strutture, mancanza della generazione di mezzo, modi e tempi di vita cadenzati dagli anziani/e, tradizioni culturali e modelli di spiritualità obsoleti.  Ma ciò che è nuovo sono le prospettive teologiche che vengono dall’esterno. Fino a qualche anno fa a riflettere sulla vita religiosa erano quasi unicamente teologi religiosi, ora invece l’esplorazione su  questo versante è diventata propria anche di vari studiosi di area diocesana o laicale che in numero sempre maggiore portano a teorizzazioni diverse da quelle cui siamo abituati. Un esempio di ciò l’ abbiamo avuto all’assemblea annuale Cism 2003, nell’intervento del teologo Giacomo Canobbio, dove argomentò sulla necessità o meno di una forma di vita cristiana (quella consacrata) affinché ci sia la Chiesa.1 «Affermare che la vita consacrata (VC) ha origine divina – disse mons. Canobbio – non vuol ancora dire che appartiene necessariamente all’essenza della Chiesa. Si dovrebbe mostrare che l’origine divina coincide in tutto e per tutto con l’intenzione del Fondatore (Cristo)».1 «Essa può appartenere a una figura particolare di Chiesa, ma non è necessaria affinché si dia Chiesa anche perché di fatto questa si realizza in alcuni luoghi e si è realizzata in alcuni tempi, senza la VC».2 Qualcuno in questo argomentare può vedervi uno sconfinamento per parte di alcuni teologi estranei, altri invece vedono un dislocamento, cioè un guardare da fuori per ovviare ai condizionamenti delle precomprensioni.

E i pastori delle Chiese locali come vedono la VR? Ci sono i vescovi religiosi che in maggior numero sono sintonizzati con il pensiero teologico che è stato all’origine della loro vocazione. Ci sono poi coloro, specie di area non europea, i quali dicono che in questi trent’anni la quasi totalità delle congregazioni diocesane hanno avuto come promotori i vescovi, il che li porterebbe a dire che questi sono sensibili ai valori della tradizionale vita religiosa. Ma qui sorge qualche dubbio, non fosse altro per il fatto che a fronte di bisogni diocesani, in alcune aree, si è soliti far fronte con l’intervento di un «conveniente» istituto religioso che, se non lo si trova, si crea al fine di un servizio e non necessariamente di una spiritualità.  Penso però che la maggior parte dei vescovi si ritrovi nella risposta di un ordinario il quale, alla domanda se conoscesse quanto detto nell’esortazione Vita consecrata dove si dice che «ai vescovi è chiesto di accogliere e stimare i carismi della VC dando loro spazio nei progetti della pastorale diocesana» (VC 48), rispose che, per quanto gli constava, nelle chiese locali c’è interesse per le forme di vita evangelica di cui la vita religiosa è una delle espressioni, però oggi l’attenzione non è sulle etichette e sulle omologazioni ma sulle evidenze evangeliche che tali si definiscono dalla vita in atto più che da riconoscimenti giuridici.

Il papa ai vescovi francesi (18.12.2003) ebbe a dire che «le nuove comunità possiedono una audacia che talvolta manca agli istituti che vivono da più tempo» «attardate nella storia più che presenti alla vita». Tutto ciò sta a dire – conclude l’ordinario – che le auto-proclamazioni di vita migliore, più santa, non bastano più: tiene soltanto ciò che si vede: «vieni e vedrai».

 

OCCORRE UN ALTO

TASSO DI CREATIVITÀ

 

Dunque alla domanda perché la vita religiosa? non è più possibile rispondere con definizioni teologiche in un tempo in cui le forme di vita evangelica rispondono con la vita. La sequela se non è un fatto riscontrabile oggi come buona notizia  è soltanto teoria. Da qui l’urgenza di por mano decisamente alle fondamenta della vita religiosa vale a dire al sistema culturale che l’ ha finora caratterizzata, aprendosi a nuovi orizzonti di senso, consapevoli che la VR è sempre un progetto contestualizzato e questo è l’unico modo che le è dato «per essere a casa nel tempo». (Radcliffe)

Al presente la prima presa d’atto è che stiamo transitando a un altro modo di essere e di agire. Uno dei maggiori studiosi della società contemporanea – Zygmunt Bauman – dice che siamo passati irreversibilmente dalla “modernità solida” cioè quella fissata su organizzazioni, classi, ruoli, riferimenti stabili, alla «modernità fluida» vale a dire della società delle reti, dei flussi, dell’ incertezza, della non prevedibilità. Le impalcature sociali in cui inscriviamo i nostri progetti di vita e le nostre speranze per il futuro sono diventate improvvisamente fragili. Possono spezzarsi in qualsiasi momento, mutano molto più in fretta di quanto non riusciamo ad apprendere e gestire. Se questa è la situazione, per poter progettare e vivere nell’attuale società è necessario un alto tasso di creatività che però «non si trova nei religiosi/e e tuttavia è indispensabile per incarnarsi nei contesti concreti in cui tocca di rivivere» (Santiago Silva). In ciò è da leggersi «la povertà radicale che segna il momento presente della VC». Eppure la creatività non le è estranea, «è stata alla base di ogni nuova forma di vita consacrata: ad esempio Ignazio di Loyola non accondiscese di sottomettere il carisma di una vita apostolica alle esigenze del coro della vita monastica» (B. Bucker). E così pure «nessuno dei nostri istituti ebbe origine per essere la continuità di una situazione statica. La creatività non esige che si rinunci all’eredità ricevuta, ma che crei, a partire da quella, qualcosa di nuovo e di inedito» (T.J. Rasera).

Per la creatività si tratta di proporre nuovi tavoli di pensiero, di concertazione e di governo, che sappiano mettere più interesse nell’inventare risposte che nel ripetere formule. Quelli attuali (consulte, capitoli, consigli ecc.) non sono sufficienti anche se un certo tipo di soddisfazioni le danno perché quanto meno sanno riverniciare di buone intenzioni tutto l’apparato ma non hanno la capacità o non sono nella possibilità di mettersi alla ricerca di nuovi pozzi piuttosto che attardarsi «al pozzo lasciato in eredità dal nostro padre Giacobbe». Il tema della creatività è stato quello maggiormente ricorrente nel recente congresso internazionale di Roma. Molte espressioni ne evidenziano la sete: «Oggi più che mai abbiamo bisogno di inventare, rinnovare e avanzare liberi»; «Non impegnatevi nel continuare a offrire risposte preconfezionate che ormai sono superate. Abbandonate il vostro mondo di realtà virtuali. Non evitate le strade pericolose, perché la novità emerge sempre fuori dai luoghi sicuri protetti e convenzionali».

Da queste espressioni si coglie che il bisogno di orizzonti più vasti ha a che vedere sia con il senso della VC, sia con il modo di realizzarla. In quanto alla prima, durante il congresso è risuonata forte la voce di una relatrice: «Rallegratevi se siete rimasti senza parole significative per definire la vostra identità. Ci sentiamo stanchi di parole senza significato, abbiamo raggiunto un punto di saturazione in quanto a dichiarazioni, documenti e teorie sul carattere specifico della nostra identità, quando la cosa importante non è ciò che proclamiamo, ma quello che viviamo» (Dolores Aleixandre).

Un obiettivo irrinunciabile su cui investire la creatività è sul bisogno che ha la VR di relazioni nuove. Finora come istituti abbiamo sempre evidenziato ciò che ci rendeva diversi dai cristiani e a forza di rafforzare le diversità ci siamo resi estranei; oggi è necessario evidenziare ciò che è dono ai cristiani: «quando rinuncerete a definirvi per comparazione con gli altri emergerà la parte più autentica che è in voi», consapevoli che la differenza tra il nostro e ogni altra forma di impegno non risiede in ciò che produce ma in ciò che in esso traspare.

Quanto al secondo, vale a dire il modo di realizzarla, si sono espressi in molti: la forma con cui «essa si esprime oggi, è debole nella forza comunicativa, arretrato rispetto alle sensibilità culturali, ricalcato su altri mondi culturali ormai obsoleti. È quindi necessario un deciso aggiornamento di paradigmi e di presentazione dei grandi valori quali i voti, la comunità, la testimonianza, l’antropologia, la visione della vita, il senso dei beni e religiosità della vita, l’affettività, la corporeità, la dignità della persona, le esigenze di corresponsabilità» (Secondin). Tutto questo esprime il bisogno di uscire dal nostro piccolo mondo antico per poter «dar vita a strutture mentali, spirituali, affettive, religiose e organizzative semplici, accoglienti, poco pesanti e aperte».

Il male sottile di cui soffre  l’attuale forma di vita religiosa è l’insignificanza, per cui se vuole esserci nel futuro ha bisogno di evidenze comprensibili al giovane contemporaneo, tali da indurlo a impegnarvi la vita. Il problema maggiore dunque è quello di ridarle significato in contesto diverso dal tempo in cui è nata, i cui consueti segni non dicono più ciò per cui sono stati detti.

So bene che secondo alcuni la vita consacrata non sarà mai capita, perché – dicono – appartiene ad un mondo differente e si fonda su una esperienza trascendente che in pochi sanno apprezzare e interpretare. Costoro amano insistere sulla nota di mistero per cui deve conservare la sua irriducibilità, fino al paradosso. Non penso però che la VR abbia la funzione di conservare il mistero quanto piuttosto, quello di rivelare una buona notizia.

 

Rino Cozza csj

 

1 Canobbio G., Chiesa locale vita consacrata e territorio: un dialogo aperto-Cism pag.57.

2 id. pag 55.