LETTERA DEL PAPA “IL RAPIDO SVILUPPO”

INTER MIRIFICA QUARANT’ANNI DOPO

 

La prospettiva di fondo è la valorizzazione positiva della comunicazione. La Chiesa sarebbe colpevole se non adoperasse questi mezzi. Una particolare responsabilità è riservata alle persone consacrate che, per il carisma istituzionale, operano in questo campo

 

«Gesù insegna che la comunicazione è un atto morale»: in questa affermazione lapidaria credo che stia la prospettiva più importante della lettera apostolica «Il rapido sviluppo» con cui Giovanni Paolo II commemora i quarant’anni del decreto conciliare Inter mirifica. E non a caso esso viene pubblicata con la data del 24 gennaio, «memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti».

Il mondo di internet, della radio e della televisione, della carta stampata e dei libri viene richiamato al rigore morale, per il fatto che «l’uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive». In continuità con il decreto conciliare e con l’istruzione pastorale Communio et progressio, il papa è preoccupato di «rendere le persone consapevoli della dimensione etica e morale dell’informazione» (n. 9).

Tutti sanno che i documenti dei papi e della Santa Sede prendono il nome dalle prime parole, che di solito vengono scelte con riferimento diretto al contenuto del documento. Si pensi a Rerum novarum / le cose nuove, per indicare i rilevanti mutamenti sociali dell’epoca industriale; o Populorum progressio / il progresso dei popoli, per attirare l’attenzione sul grande processo delle decolonizzazione.

 

RAPIDA MERAVIGLIA

BISOGNOSA DI REDENZIONE

 

Il titolo del nuovo documento «Il rapido sviluppo» è molto felice, se viene posto accanto e in continuità con quello al quale si riferisce. Infatti lo stupore di fronte all’era della televisione che fece titolare Inter mirifica, Tra le cose mirabili il documento del Vaticano II, nell’era di internet viene dilatata da Giovanni Paolo II con la constatazione che le cose mirabili conoscono anche uno sviluppo vertiginoso.

Il papa invita a leggere con senso critico questa rapida meraviglia che abbiamo tra mano come uno strumento che ci condiziona. È indubbio che il primo atteggiamento che percorre tutto il testo è quello di valorizzazione positiva della comunicazione. «Nei mezzi della comunicazione la Chiesa trova un sostegno prezioso per diffondere il Vangelo e i valori religiosi» (n. 7); essi sono «strumenti nuovi» che debbono essere valorizzati accanto agli «strumenti tradizionali» (n. 9), la Chiesa «si sentirebbe colpevole se non adoperasse questi potenti mezzi» (n. 2), essa «avverte che l’uso delle tecniche e delle tecnologie della comunicazione  contemporanea fa parte integrante della propria missione nel terzo millennio» (n. 2).

Tra gli aspetti positivi che vengono sottolineati: permettono «di raggiungere gli uomini in ogni latitudine, superando barriere di tempo, di spazio e di lingua» (n. 5), favoriscono «uno scambio più intenso e più immediato tra le Chiese locali, alimentano la reciproca conoscenza e collaborazione» (n. 6).

Ma «anche il mondo dei media abbisogna della redenzione di Cristo» (n. 4). Le osservazioni più acute del documento mi pare siano quelle che spingono a riflettere sulla connessione che c’è tra il linguaggio di internet e la cultura che genera (è l’antico principio ermeneutico che lo strumento non è mai neutro e che il metodo stesso diventa un contenuto). I mass media hanno raggiunto un grado di tale invasività «da essere per molti il principale strumento di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Si tratta di un problema complesso, poiché tale cultura, prima ancora che dai contenuti, nasce dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con tecniche e linguaggi inediti» (n. 3). Già l’esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Asia, del 1999, sottolineava: «Il mondo si trova a veder emergere una nuova cultura che “nasce prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici”. Il ruolo eccezionale che svolgono i mezzi di comunicazione sociale nel plasmare il mondo, le culture e i modi di pensare ha condotto nelle società asiatiche vasti e rapidi mutamenti» (n. 48).

Occorre dunque una vigilanza critica  sui processi mediatici che interferiscono sulla «formazione della personalità e della coscienza, l’interpretazione e la strutturazione dei legami affettivi. l’articolazione delle fasi educative e formative, l’elaborazione e la diffusione di fenomeni culturali, lo sviluppo della vita sociale, politica ed economica» (n. 3). Un effetto del nuovo linguaggio mediatico è certo il livellamento delle idee, dei canoni di vita, dei metri etici di valutazione e in particolare «la convinzione che il tempo delle certezze sia irrimediabilmente passato; per molti l’uomo dovrebbe imparare a vivere un orizzonte di totale assenza di senso, all’insegna del provvisorio e del fuggevole» (n. 7).

Principi fondamentali della convivenza civile, come la giustizia, la solidarietà e la verità, devono essere richiamati e riproposti con forza di fronte alle logiche del mercato e dell’ascolto che sono criteri assoluti nel linguaggio dei media. Al riguardo mi piace ricordare che in occasione della presentazione alla stampa del Direttorio della comunicazione, pubblicato qualche mese fa dalla CEI, proprio i giornalisti della televisione hanno attirato l’attenzione sul tema della verità nell’informazione, in quanto principio perdente nell’attuale “cultura” televisiva.

 

L’OPINIONE PUBBLICA

NELLA CHIESA

 

La consapevolezza che il potere considera da sempre il settore dei mass media come determinante nell’organizzare il consenso e nel finalizzarlo al proprio interesse è ben presente nel testo di Giovanni Paolo II. «Per i forti legami che i media hanno con l’economia, la politica e la cultura, è necessario un sistema di gestione che sia in grado di salvaguardare la centralità e la dignità della persona, il primato della famiglia (...) e il corretto rapporto tra i diversi soggetti» (n. 10).

Al n. 12 della lettera apostolica emerge un tema che da molto tempo era assente in testi ufficiali della Chiesa, sia della Santa Sede che degli episcopati: «Grande interesse desta la riflessione sul ruolo “dell’opinione pubblica nella Chiesa” e “della Chiesa nell’opinione pubblica” (...). Pio XII ebbe a dire che qualcosa mancherebbe nella vita della Chiesa se non vi fosse l’opinione pubblica». Per chi opera nell’informazione religiosa è facile constatare che viviamo un periodo in cui l’informazione è soprattutto unidirezionale: dal centro alla periferia e non viceversa. Da un paio di decenni gli editori religiosi constatano che, dopo il clima di grande scoperta dell’immediato post-concilio, non si vendono più libri che parlano dell’Africa e dell’America latina, l’informazione sulla vita di quelle chiese è scomparsa dai giornali e dalle riviste. La Chiesa del silenzio esiste ancora, ha soltanto cambiato casa. Uscite dall’informazione, queste chiese sono uscite anche dalla coscienza del cattolico medio?

 

MASS MEDIA

E PERSONE CONSACRATE

 

Fa piacere, infine, trovare nella lettera apostolica di Giovanni Paolo II un esplicito riconoscimento alla «particolare responsabilità, in questo campo, riservata alle persone consacrate, che dal proprio carisma istituzionale sono orientate all’impegno nel campo delle comunicazioni sociali. Formate spiritualmente e professionalmente, esse “prestino volentieri il loro servizio, secondo le opportunità pastorali (...) affinché da una parte siano scongiurati i danni provocati dall’uso viziato dei mezzi e dall’altra venga promossa una superiore qualità delle trasmissioni, con messaggi rispettosi della legge morale e ricchi di valori umani e cristiani”» (n. 8).

In questo, come in altri settori della pastorale, i religiosi e le religiose hanno svolto un ruolo di iniziatori, affrontando tutte le difficoltà e i rischi di chi esplora un terreno nuovo. In passato erano soprattutto problemi di capitali economici e umani, problemi di disciplina e di pastorale.

Oggi,  a questi problemi va aggiunto quello, generale a tutta la Chiesa, della diminuzione del personale. Ma soprattutto oggi il personale religioso ed ecclesiastico impegnato nei mass media deve fare i conti, allo stesso modo e allo stesso piano del laico credente, con l’ambiguità strutturale di linguaggio e di assetto degli strumenti della comunicazione radiotelevisiva. Un’ambiguità che in certi momenti viene percepita come insuperabile, perché condiziona il messaggio in modo irrisolvibile, così che si può parlare di un’ambiguità radicale del linguaggio televisivo rispetto al fatto religioso. Ed è questo il punto sul quale, secondo me, i religiosi, il personale ecclesiastico e i laici cristiani impegnati nel settore dovrebbero riflettere e chiamare alla luce i problemi.

Il testo di Giovanni Paolo II è molto chiaro sui rischi che comportano «i nuovi linguaggi» introdotti dai nuovi media. Essi «modificano i processi di apprendimento e la qualità delle relazioni umane, per cui senza un’adeguata formazione si corre il rischio che essi, anziché essere al servizio delle persone, giungano a strumentalizzarle e condizionarle pesantemente» (n. 11).

Anche la trasmissione della fede, come la liturgia e la catechesi, «risentono dei linguaggi e della cultura contemporanea» (n. 8).

E infatti quanto è riferito alle persone può essere riferito, in grado ancora maggiore, al fatto religioso e alla fede, che attraverso i media possono essere strumentalizzati e presentati in modo ambiguo. Il che indica che anche il mondo dei mass media è un luogo in cui deve essere annunciato e vissuto il Vangelo. Perché appunto «il mondo dei mass media ha bisogno di redenzione» (n. 4) e i mass media possono essere usati come «un’“arma” distruttiva» (n. 11).

Vale dunque soprattutto per i religiosi e per quanti hanno a cuore l’interiorità dell’uomo il richiamo di Giovanni Paolo II: «A tutti è chiesto di saper coltivare un attento discernimento e una costante vigilanza, maturando una sana capacità critica di fronte alla forza persuasiva dei mezzi di comunicazione» (n. 13).

 

Alfio Filippi