UN TEMPO

PER IL SILENZIO

 

La quaresima ci invita a un digiuno dalle parole e dai suoni,

perché possiamo percepire in una più fine libertà spirituale

la presenza di Dio.

 

La tradizione spirituale cristiana ha sempre letto il tempo della quaresima attraverso la metafora del deserto. È un tempo “altro” perché contrassegnato dalla prassi dello “stare in disparte”, della solitudine e del silenzio, in vista soprattutto dell’ascolto del Signore e del discernimento della sua volontà.

Questo far tacere parole e presenze attorno a sé ha la funzione di disciplinare il rapporto tra la Parola di Dio e le parole: il silenzio diventa occasione e strumento per dare priorità alla Parola, per conferirle una centralità rispetto all’intera giornata in modo che sia veramente ascoltata, accolta, meditata, custodita e, quindi, realizzata con intelligenza.

Il silenzio, inoltre, è necessario per far nascere una parola umana autorevole, comunicativa, penetrante, ricca di sapienza e di capacità di comunione: quante volte, invece, ci pare di ascoltare parole “vane” perché non originate dal silenzio, parole vuote di senso che altro non sono che rumore, affiorare vociante dei peggiori sentimenti che ci abitano.

“La bocca – ci dice il vangelo – parla dalla pienezza del cuore” e solo il silenzio interiore può far tacere pensieri, immagini, giudizi, mormorazioni, malvagità che nascono nel cuore umano.

La spiritualità cristiana ha sempre prestato molta attenzione al silenzio, esperienza vissuta soprattutto dai monaci che sono giunti perfino a progettare e realizzare una architettura del silenzio: non è un caso che i monasteri abbiano attratto sempre uomini e donne di ogni condizione offrendo loro come dono primario spazi di silenzio in vista di una comunicazione autentica con Dio e con gli altri, di una libertà spirituale affinata.

Ma oggi è diventato così difficile volere il silenzio, crearlo, viverlo... Si teme il silenzio come se fosse un abisso vuoto, da riempire a ogni costo con un rumore qualsiasi, mentre in realtà è ciò che permette di ascoltare “bene” la vita.

Nel contempo si percepisce che il silenzio è anche un’esigenza antropologica e ci si comincia a interrogare sul senso di molti comportamenti assunti negli ultimi decenni: l’invasione dell’informazione, la sua rapidità di diffusione che soffoca la persona e le impedisce una ricezione e una riflessione duratura; lo strapotere efficace dei mass-media che dettano idee e convinzioni prefabbricate, che suscitano bisogni e sanciscono il primato della finzione sulla realtà; l’uso così stoltamente diffuso della cosiddetta musica di sottofondo che abitua a un ascolto disattento e casuale...

La quaresima può fornirci l’occasione per un “digiuno” dalle parole e dai suoni, per una ricerca e una pratica di tempi di silenzio durante il giorno e di vigilanza sulle parole affinché non siano mai violente né vane. Benedetto nella sua Regola invita il monaco durante la quaresima a restringere la propria loquacità nella libertà e nella gioia dello Spirito santo.

Se Dio, secondo i profeti, chiama la sua sposa al deserto per parlarle al cuore è perché nel deserto regna il silenzio ed è possibile cogliere la presenza di Dio nella “voce di un silenzio sottile” (1Re 19,12).

Sì, si può e si deve ascoltare il silenzio della terra, dell’aria immobile, delle pietre, delle piante e dei corpi; allora si scopre un linguaggio fatto non da suoni né da parole, eppure eloquente: un altro linguaggio, un’altra musica!

 

Enzo Bianchi

da Dare senso al tempo, Qiqajon/Bose 2003