SCOMPARSA DI LIA BRUNET

HA TESSUTO UNA RETE D’AMORE

 

È stata una delle prime compagne di Chiara Lubich e da lei considerata tra le co-fondatrici del Movimento dei Focolari. Ha trascorso 44 anni in America latina, lavorando per la trasformazione sociale del continente.

 

«Ricca di umanità», «una presenza costante, silenziosa, materna, viva, dinamica, creativa, intelligente, esigente, che tutto donava, senza risparmio». È un incessante coro di gratitudine quello che giunge dall’Argentina, dalla Bolivia, dal Perù, Brasile, Messico, e dagli altri paesi latinoamericani al Centro internazionale dei Focolari, a Rocca di Papa. Le testimonianze riguardano Lia Brunet, una delle prime compagne di Chiara Lubich, da lei considerata una delle co-fondatrici del Movimento dei Focolari, deceduta il 5 febbraio scorso. Aveva compiuto 87 anni lo scorso Natale.

Il suo primo viaggio al di là dell’oceano risale al 1958. Sarà per lei l’inizio l’inizio, nel continente latinoamericano, della diffusione del Vangelo dell’unità, ora vissuto da  oltre 520.000 giovani, famiglie, persone di ogni età e categorie. In quel continente ha speso, senza risparmiarsi, 44 anni della sua vita.

 

LA CONSEGNA

DI CHIARA

 

Tutto era cominciato da quel primo viaggio in America latina, insieme a Marco Tecilla, primo focolarino, e a Fiore Ungaro. Un viaggio pieno di incognite, nella più assoluta povertà, con un’unica ricchezza, il crocefisso vivo, ed un’unica meta: «legare tutti in una rete di amore». Questa la consegna di Chiara Lubich.

È l’ultima domenica di ottobre, festa di Cristo Re. Mentre sta per lasciare l’Italia, Lia annota sul suo diario: «Riaffiorano le parole della liturgia di oggi: “Chiedimi e ti darò in eredità tutte le genti, fino agli ultimi confini della terra”». Sono l’eco di un’altra domenica di fine ottobre. Con Chiara, a Trento, nel 1945: «Da pochi mesi era finita la guerra e quella domenica, nella chiesa dei padri cappuccini diroccata a causa delle bombe, dopo un sguardo d’intesa, gli avevamo chiesto di farlo amare fino agli ultimi confini della terra per realizzare il suo testamento, Che tutti siano uno. Forse questa partenza di oggi è una risposta a quella domanda».

Sono gli anni della rivoluzione sociale dell’argentino Che Guevara. «Sì! – annota Lia – anche la nostra è una rivoluzione, ma usando l’arma più potente, l’Amore che Gesù ha portato sulla terra. Anche noi parlavamo di “uomo nuovo”, ma quello di san Paolo, e anche di “uomo vecchio” quello che cerchiamo di far morire anzitutto in noi stessi. Anche il nostro è un progetto di morte e di vita: punta a “che tutti siano uno”».

Il volto del Cristo crocefisso, il suo grido di abbandono si rende subito visibile appena messo piede in quel continente: «Le favelas, povere abitazioni dove alla miseria materiale si aggiunge spesso quella morale. Poco più in là il rione residenziale, tra giardini e ville sfarzose. Che scandalo questo abisso tra ricchi e poveri! Affiorano alla mente le parole di Gesù rivolte alle folle che amava. Anche noi abbiamo fame e sete di giustizia, ci brucia l’impegno  di far riscoprire agli uomini la fraternità universale».

 

RIMASE

LAGGIÙ 44 ANNI

 

In 12 intensi mesi, i tre getteranno i semi di questa fraternità: a Recife, San Paolo, Rio de Janiero e Bel Horizonte, in Brasile; a Montevideo, in Uruguay; a Buenos Aires, in Argentina; e a Santiago del Cile. Lia tornerà in quelle terre nel 1961. Vi resterà per 44 anni. La rete di amore si espande e rafforza, coinvolge ora oltre 520.000 persone di ogni età e categoria sociale. Oltre 35.000 sono i membri attivi del Movimento in tutti i paesi latinoamericani. Una rete di amore che ha influsso sulla vita culturale, politica ed economica di questi Paesi. Nel 1998 l’università laica nazionale, UBA, assegnando una laurea honoris causa a Chiara Lubich, nel corso di un suo viaggio, riconosce in atto «un umanesimo profetico ed emancipatore, un ideale che stabilisce ponti tra le diverse forme di sapere». Quando l’Argentina, in questi ultimi anni, attraversa una profonda crisi economica e politica, membri dei Focolari danno il loro apporto al tavolo di dialogo tra società e governo. Il Presidente della repubblica propone al paese il programma di Educacion solidaria  presentato da Nieves Tapia,  membro dei Focolari.

Lia curerà in modo particolare la nascita e lo sviluppo della cittadella di O’Higgins che diventerà un bozzetto della nuova società argentina con un polo imprenditoriale che sarà punto di riferimento per le aziende ispirate al progetto dell’economia di comunione lanciato da Chiara Lubich proprio in America latina, in Brasile, nel 1991.

Quale ruolo ha avuto Lia Brunet in tutto questo? Lasciamo ancora la parola ai testimoni. Da Città del Messico così viene tratteggiata la sua personalità: «Gracile nell’aspetto e fortissima nello spirito, mi ha sempre impressionato di lei la perenne ricerca dell’orizzonte successivo, del guardare sempre oltre, cosciente che il “che tutti siano uno” si avvicina decisamente, con una fiducia straordinaria nello Spirito Santo con cui pareva avesse particolare familiarità. Molti parlano di quella sua capacità di amare che permetteva «di far grandi gli altri sapendo cogliere in loro, con una delicatezza squisita quel dono di cui erano portatori, perché lo mettessero al servizio di tutti». C’è chi parla di Lia anche come di una persona “scomoda”, perché «risoluta nel perseguire quella meta che un lampo di luce soprannaturale le aveva fatto intravedere, lasciando così trasparire la stoffa del santo, così poco compiacente con le titubanze umane».

 

CHI ERA

LIA BRUNET?

 

Ma chi era Lia Brunet? Il suo nome è Natalia, nasce a Cembra di Trento, proprio nel giorno di Natale del 1917. Sua madre appartiene alla borghesia di Trento, mentre suo padre è figlio di contadini di un piccolo paese sulle montagne trentine, Tonadico. A 16 anni è provata dal dolore: il padre muore improvvisamente.

A 18 anni insegna materie letterarie in un scuola di avviamento professionale. Incontra un giovane e si fidanza. Poco dopo scoppia la guerra. Quel giovane partirà per il fronte. Il dramma della guerra la disorienta e «fa crollare – come scrive nelle sue note autobiografiche – a uno a uno i miei interessi». È allora che un’amica le parla di un gruppo di ragazze che “possono interessarla”. È così che si trova nel piccolo appartamento di piazza Cappuccini, dove incontra Chiara che le parla della scelta  radicale di Dio di una giovane bella, e ricca, Chiara d’Assisi. Scriverà: «Non sapevo più se era la storia Chiara d’Assisi o la sua o... la mia. Anch’io mi trovai sulle labbra quella stessa parola, anch’io volevo scegliere Dio come ideale della mia vita». Una scelta che si concretizzerà con il far fagotto di tutto: vestiti, pellicce, cosmetici e gioielli. «Ma – scrive – non mi sarà altrettanto facile staccarmi dagli affetti». Proprio in quel momento il fidanzato torna dal fronte: «Nel fondo una voce sottile che non volevo sentire: “Dammelo… Vieni e seguimi”». Poi la resa, sigillata con il dare alle fiamme le sue lettere e fotografie. «Pur nello strappo che mi lacerava – scrive – sperimento in fondo all’anima una gioia sottile e pura».

Una scelta di Dio che ha suscitato una fecondità testimoniata anche da persone di altre fedi con cui, in questi anni, ha intessuto un dialogo profondo. Un buddista, rivolgendosi ora a lei, scrive: «Ora tu sei lì e ci attirerai sempre di più verso l’eternità; e arriveremo rinnovati dall’amore, come ci dicevi». E Chiara, annunciando la sua partenza a tutto il Movimento scrive: «Non si sente questa separazione, perché l’unità con lei è sempre più forte».