LA VIA IGNAZIANA E I LAICI

GUSTARE NELLO SPIRITO IL QUOTIDIANO

 

Chiamati alla santità in qualsiasi forma concreta ciascuno/a viva la propria vita nello Spirito: tutti, i laici come i “consacrati”, possiamo gustarne in ciò che siamo e facciamo la presenza e l’azione vivificante.

 

Non da molti si sa o si pensa che quando Ignazio di Loyola approfondiva i suoi Esercizi spirituali lo faceva da laico, che da laico per circa 15 anni dettò esercizi a laici e che in seguito da gesuita continuò ad accompagnare qualche laico in tale esperienza: quasi confermando anzitutto a se stesso ciò che affermava in Esercizi Spirituali 19, ossia che la spiritualità proposta era adatta a persone immerse nella gestione della cosa pubblica o dedite all’economia, era condivisibile da letterati del mondo universitario, che egli conosceva bene, come da filosofi e da scienziati.

Rinfresca queste notizie il gesuita peruviano Javier Uriarte come a fondamento della sua riflessione nell’articolo Sentir et gouter interieurement la vie quotidienne, à la manière des laïcs; un articolo che leggiamo su Revue de spiritualité ignatienne (107/2004,26-38), bollettino del Consiglio ignaziano di spiritualità che ha sede in Roma presso la curia generale della Compagnia di Gesù.

Giustamente all’autorevolezza del santo di Loyola l’articolo accosta lapiù recente autorità del concilio Vaticano II, del cui magistero «uno dei punti-chiave che hanno avuto le più forti conseguenze teologiche e pastorali è l’affermazione della vocazione universale alla santità»: un punto «del quale finora non siamo giunti a cogliere tutta la densa ricchezza»; «si tratta infatti di credere veramente che la vita quotidiana e ordinaria della famiglia, del lavoro e del riposo, della vita sociale, ecc. è un luogo privilegiato dove avviene l’incontro profondo tra Dio e i suoi amici». 

La via ignaziana a un’esperienza progressiva e continua di quell’incontro unico e letificante di indicibile preziosità offerto a tutti – tesoro nascosto e per grazia trovato – rappresenta un aiuto qualificato e praticabile anche oggi da laici e laiche.

 

SENZA USCIRE

DAL MONDO

 

«Associamo sovente – scrive p. Uriarte – la spiritualità ai tempi forti che destiniamo a qualche attività della vita interiore: un ritiro, alcuni giorni dedicati a esercizi spirituali, momenti di preghiera vissuti come parentesi in mezzo a tutte le nostre occupazioni. Facciamo fatica a scoprire la spiritualità della vita quotidiana, poiché questa ci appare molto ordinaria, lontana dalle grandi emozioni spirituali che consideriamo come grazie e grazie straordinarie». E se si pensa che la vita religiosa, intesa lungo i tempi quasi paradigma di ogni cammino spirituale, è stata definita per secoli quale fuga mundi si comprende come un pregiudizio di notevole peso abbia dovuto incombere sulla nostalgia di una santità che non cancellasse le caratteristiche della condizione di cristiani impegnati totalmente nelle realtà terrene.

La vocazione comune alla santità, sappiamo con certezza, non esclude alcuna situazione, così che ciascuna persona cerca e trova Dio secondo la propria chiamata specifica, esprimendo in modo diversamente costruttivo la propria presenza nel mondo, dal quale oggi meno che mai nessun discepolo di Cristo può fuggire abbandonandolo a se stesso. Ed è risaputo che «la caratteristica dei laici, uomini e donne, è precisamente quella di trovare Dio nella loro vita quotidiana, ovvero giorno per giorno nelle vicende coniugali e familiari, nell’esercizio della professione, nelle relazioni di vicinato, nelle decisioni etiche, nelle attività di cittadini come gli altri sul vasto tema dei diritti umani, sul terreno dell’economia, della politica, della stampa e della comunicazione in genere, nonché, evidentemente, a proposito di ogni opportuna manifestazione esplicita del loro impegno cristiano in qualsiasi ambito lavorativo».

Non una fuga dal mondo ma – ribadisce p. Uriarte – una vita tra le “realtà temporali”, «vissuta nel mondo e per il mondo, perché i laici, uomini e donne, raggiungono spazi ai quali in quanto religiosi/e o preti, a causa del nostro stile di vita, non avremo mai accesso; ed è in tali spazi che i laici esercitano il vero carattere missionario della loro presenza tra le realtà mondane».

Si crea così l’esigenza di una vita interiore «non deformata dalle preoccupazioni esistenziali» ma capace di una vita familiare relativamente integrata, di un’affettività aperta e sana che permetta di accogliere la tenerezza quotidiana di Dio nelle relazioni sociali come nei rapporti di coppia; così che il quotidiano costituisca una base dinamica – in cui la preghiera svolga il suo importantissimo ruolo – che sia capace di sostenere un spiritualità forte.

 

GUSTARE IL SENSO

DEI GESTI

 

Essere contemplativi nell’azione appartiene alle modalità in cui si persegue nella spiritualità ignaziana l’unione con Dio; e ciò si attaglia senza dubbio anche alla vocazione dei laici che vogliano dare alla propria vita cristiana un tono di verità che può farsi naturale testimonianza “missionaria” attraverso i gesti più appropriati della loro condizione concreta, gesti da porre con lo stesso gusto con cui è stata posta la scelta fondamentale di seguire il Signore.

Padre Uriarte sviluppa il suo pensiero mettendo in evidenza alcune caratteristiche di una formazione adeguata a condurre anche i laici più impegnati a gustare la presenza dello Spirito in ciò che sono e in ciò che fanno, anzi a sentire e gustare interiormente il contenuto stesso dei gesti che pongono nel loro quotidiano animato dallo Spirito.

Come punto di partenza segnala la normale autostima con cui le persone accettano se stesse e si amano, rendendosi in tal modo più facilmente capaci di accettare Dio e di sentirsi amati da lui; e questo in un clima di serenità che non cancella gli eventuali conflitti anche con... la volontà di Dio ma rimane aperto ad accoglierla nella fede e nell’amore; e non si spaventano per gli alti e bassi della qualità del loro rapporto con lui, sempre recuperabile sia pure talora con fatica.

Viene poi in evidenza la semplicità della vita, una peculiarità che il gesuita sottolinea nella propria esistenza e quindi tipica della sua spiritualità in quanto possibile ai laici. Ne parla infatti in prima persona: «Un’altra caratteristica che definisce la qualità della nostra esistenza è la semplicità di vita, intesa nel senso di un livello economico contrassegnato dalla sobrietà. È evidente che Dio vuole che ogni persona possa avere un livello di vita degna di questo nome, e che la prima responsabilità di ogni laico, uomo o donna, è quella di avere un’educazione di buon livello, una professione e un lavoro che gli permetta di vivere con dignità e di offrire alla propria famiglia delle condizioni di vita atte a coprire largamente tutti i bisogni fondamentali. Nessuno mette in dubbio tale esigenza, ma dove si trova il confine tra i bisogni fondamentali e quelli “predicati” dal consumismo? Dove si trova il limite fra livello di vita e imborghesimento? Possiamo scoprirlo mediante i piccoli discernimenti quotidiani a partire dalle nostre scelte fondamentali; e un ottimo criterio di discernimento sul nostro livello di vita è la prossimità con i poveri, che sant’Ignazio definiva “gli assessori del Regno eterno”. Sono essi il “principio di realtà” e se essi si allontanano dalla nostra vita è perché noi ci siamo allontanati da loro rinunciando al nostro stile di semplicità».

Mediante il tornare di continuo all’opzione fondamentale per il Vangelo si può dunque gustare il senso anche delle scelte più semplici; tornando ai criteri segnalati da Ignazio di Loyola come, ad esempio, quello di “uscire dall’interesse proprio” si può entrare sia pure con  piccole cose nel supremo “interesse” del regno di Dio.

 

RICENTRARSI

NELLA PREGHIERA

 

Un modo di uscire dall’interesse egoistico, secondo la via ignaziana che p. Uriarte propone come percorribile dai laici, è anche quello della gratuità, espressa appunto nel porre azioni disinteressate: gratuite non nel senso di una prodigalità che contrastasse con i gesti della semplicità, ma nel senso di aprire spazi di umanità che abbiano il timbro di quella “bellezza grande e piena di grazia” di cui Ignazio dice scrivendo, negli Esercizi Spirituali, intorno all’immagine dei “due stendardi”. Una gratuità che offre spazi di umanità generosa, non nello spreco eccessivo e come tale irrispettoso specialmente verso la dignità dei poveri, ma che abbia i caratteri della stessa semplicità: una umanità sorridente, che dona per condividere e non per ostentare, che veste di gioia il dono e fa cogliere «il senso della festa e di una vita colma di calore umano».

A tale qualità della vita cristiana laicale, tuttavia, non dovrebbe mancare quella spiritualità forte di cui il gesuita ha detto e che si forma mediante un continuo tornare al proprio centro che è Dio, non tanto formulando preghiere quanto facendo della stessa vita una preghiera, sulla base di quell’orientamento fondamentale già proposto in campo gesuita da p. Arrupe nei termini di una autodisciplina: «Autodisciplina significa essere padroni della propria vita, amministrarla in modo responsabile, convinti che essa non è nostra né nella sua origine né nella sua fine; è farla rendere al massimo, come farebbe un povero veramente povero»: un povero che abbia scoperto la preghiera anche come «valvola di controllo della qualità» del proprio essere al mondo davanti a Dio.

A volte - scrive p. Uriarte – concepiamo la preghiera come uno spazio dentro il quale occorre compiere un dovere, programmiamo i tempi necessari allo scopo e cerchiamo di riempirli fedelmente: ci preoccupiamo di “fare orazione” appunto in maniera “fattiva”, caratterizzandola di un certo «attivismo scatenato che ci obbliga a difendere quegli spazi: e questo nella vita di un laico è ancor più difficile. Se invece giungeremo a renderci conto che più che pregare dobbiamo essere uomini e donne di preghiera, la qualità delle nostre vite e della nostra preghiera sarà garantita». 

 

NELLA CASA

DELLO SPIRITO

 

Ricentrarsi serenamente e di continuo in Dio, nella via  proposta ai laici, vuol dire anche accogliere oltre agli esercizi spirituali un altro elemento tipicamente ignaziano: quello dell’esame di coscienza, considerato nello stile del santo di Loyola “la pausa di ogni giorno”: «un tempo di pacificazione, di integrazione spirituale in cui guardare la nostra giornata con gli occhi di Dio – per dove passa il mio Signore – così che quella pausa diventa un momento privilegiato per rendere più profondo il nostro vivere quotidiano. Di fronte alla società attuale che promuove uno stile di vita, di conversazioni e di apparenze basato sulla superficialità, i laici devono cercare di andare con chiarezza controcorrente vivendo una spiritualità della profondità». E l’autore dell’articolo cita nuovamente p. Arrupe, il quale precisa: «L’esame di coscienza secondo s. Ignazio deve consistere nell’osservazione attenta dell’azione dell’uomo sullo sfondo dell’azione di Dio nell’uomo. È un discernere le mozioni di Dio che mi parla al cuore attraverso gli avvenimenti, è una rettificazione dell’orientamento della mia vita in funzione di una necessaria crescita umana e cristiana».

Discernimento: termine che ritorna di frequente nella riflessione di p. Uriarte. Discernere nella pausa quotidiana l’azione di Dio in noi e le nostre azioni più o meno in armonia con essa porta non solo a rendere grazie e a migliorare la qualità della vita interiore ma richiama pure momenti più distesi nel tempo, di “esami” più complessi: non di rado infatti, particolarmente nell’esperienza dei laici, si presenta la necessità di esercitare un discernimento profondo tra questioni e problemi personali, familiari e sociali al fine di giungere a soluzioni informate a saggezza umana e alla sapienza che lo Spirito può infondere nel corso di una ricerca sinceramente impostata. Lo stesso s.Ignazio può avere contribuito a illuminare, accompagnando esercizi spirituali di laici, simili momenti di discernimento.

Ma non sono trascurati i “piccoli discernimenti” , nei quali si rivelano gli “spiriti” che si oppongono allo Spirito Santo nella forma di impulsi non regolati, e nello stesso tempo si rivelano gli “spiriti” in armonia con le ispirazioni divine.

Sono i piccoli discernimenti per i quali Ignazio propone i vari esami, accompagnamento spirituale ed esercizi, questi ultimi non facili da seguire per 30 giorni nell’esperienza dei laici nelle nostre comunità cristiane. Meglio sarebbe per loro, secondo la proposta di p. Uriarte, prepararli, donne e uomini, a farsi contemplativi nell’azione, a «vivere “gli esercizi nella vita ordinaria”. Questi per essi sono i più adatti perché vi possono sviluppare ampiamente e profondamente la dimensione della contemplazione nella vita e non in un monastero: abituarli a pregare partendo dal giornale, dalle notizie, dalla conversazione in famiglia, dalle tensioni nel lavoro, dalle chiacchiere al bar o al mercato, nel mondo dei bus o della strada: “gli uni bianchi, gli altri neri, gli uni in pace, gli altri in guerra, gli uni che piangono, gli altri che ridono...” (Esercizi Spirituali 106)».

 

Zelia Pani